In Calabria alla scoperta di un sistema ostaggio delle cosche
che controllano gli appalti. Viaggio alle origini di un male italiano
Calabria, tangenti e paura
la Piovra in corsia
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI *
REGGIO CALABRIA - Solo un bambino, un bambino morto, ci può raccontare la maledizione che sono gli ospedali della Calabria. Flavio che giocava sulle giostrine dell’oratorio, Flavio che nove ore e settantacinque chilometri dopo già non c’era più. Era appena scivolato in quella grande fogna che è la Sanità ai confini d’Italia. Soldi, soltanto soldi. Tangenti, soltanto tangenti. Paura, soltanto paura. Le chiamano Asl ma sono covi. Dove però ci vogliono stare tutti. È come un’ossessione. Si sbranano e a volte anche si uccidono per una nomina in più o una nomina in meno. Sono tutti all’assalto di quei 3 miliardi e 204 milioni di euro che ogni anno devono saziare la Calabria più famelica.
E lì dentro vogliono comandare tutti. Partiti. Famiglie mafiose. Burocrazie.
L’Udc, il Pd, Forza Italia, Alleanza nazionale, destra, sinistra, quelli che erano di qua e sono andati di là, i capi della ’ndrangheta che hanno fatto diventare primari i loro figli e i loro nipoti, i direttori generali, i commissari straordinari, i contabili, gli infermieri e i portantini, anche i magazzinieri. C’è un livello per ogni spesa e ogni scorribanda. Non li ferma nessuno. Gli scandali, gli arresti in massa. Non li ferma neanche la vergogna. Di chi sono le mani sulla dannata Sanità calabrese? "Di tutti, nessuno escluso", risponde il governatore Agazio Loiero che in questi mesi deve fare i conti con i troppi voti presi e con i troppi creditori che reclamano elargizioni, incarichi, favori, prebende.
Nella sua Calabria dove si annuncia un’altra lunga tempesta il governatore è inquieto e avverte: "La Sanità può uccidere ancora, dopo l’omicidio di Francesco Fortugno ne possono ammazzare un altro".
Cominciamo dalla sventura di Flavio questo resoconto sulle oscenità ospedaliere calabresi, una delle tante, una di quelle che fa sopravvivere tutti gli altri che dalla Sanità succhiano il 65 per cento del bilancio della Regione. Flavio Scutellà, dodici anni, muore il 25 ottobre del 2007 in mezzo a sette ospedali nella Piana di Gioia di Tauro che non lo potevano curare, sette ospedali inutili voluti dai signorotti locali o dai "sottopanza" di qualche ministro di turno. Flavio batte la testa sul selciato e per un piccolo ematoma - che ora dopo ora si allarga sempre di più - non trova in quei sette ospedali un pronto soccorso o un’ambulanza o una sala operatoria. Palmi. Polistena. Rosarno. Taurianova. Oppido Mamertina. Gioia Tauro. Cittanova. Ospedali finti. Flavio se n’è andato dopo quattro giorni di agonia e magari in quel momento, da qualche parte in Calabria, qualcuno stava già fantasticando sui quattro nuovi ospedali che saranno costruiti con decreto emergenziale della Protezione civile. Ce ne sono già 42. E 38 sono le cliniche private.
Nelle sudicie periferie calabresi gli ospedali aprono come gli ipermercati e i capannoni industriali. Appalti. Spartizioni. Passaggi di valigette strapiene di banconote. Minacce. In ogni Asl c’è un colpo in canna. Nel vecchio ospedale di Vibo si muore per un’appendicite, un ascesso tonsillare, una broncopolmonite. Dodici i casi negli ultimi diciotto mesi. Una mezza dozzina le inchieste che si incrociano.
E 803 le "infrazioni" già accertate dai carabinieri dei Nas. Il nuovo ospedale non ci sarà per molti anni ancora per colpa delle mazzette.
"L’azienda di Vibo è l’azienda di Tassone, hai capito?", diceva al telefono a un imprenditore Santo Garofalo, direttore generale dell’Asl 8. A Vibo Valentia avevano già posato la prima pietra del nuovo ospedale, l’aveva portata un costruttore della ’ndrangheta.
E il direttore generale dell’Asl 8 spiegava con stupefacente normalità quali erano le "regole" in quella provincia: "Non ti dimenticare, Vibo è di Tassone e non di Ranieli né di quegli altri né di Stillitani. Le tre aziende: una di Galati, una di Tassone e l’altra è di Trematerra". Telefonate di appena due anni fa. Mario Tassone è un parlamentare dell’Udc. Come Pino Galati. Come Gino Trematerra. Michele Ranieli è un ex eletto alla Camera. Francesco Stillitani all’epoca era assessore regionale. Anche loro dell’Udc.
E’ l’Udc che era padrona ed è ancora forse oggi padrona dell’Asl di Vibo Valentia La mappa del potere sanitario della Calabria è alla vista di tutti, praticamente ufficiale, scontata nella sua sfrontatezza.
Non ci sono capi dei capi della sanità come in Sicilia, un Totò Cuffaro a occidente e un Raffaele Lombardo a oriente. E’ polverizzato il dominio, barattato, molto trasversale. A Cosenza comandano i Gentile, Nino che è deputato e Pino che è consigliere regionale, tutti e due di Forza Italia, una famiglia dedicata alla Sanità. Ma non sono soli. Ha una certa influenza anche Nicola Adamo, capogruppo regionale del Pd ed ex vicepresidente della giunta Loiero.
A Cosenza c’è pure Ennio Morrone, parlamentare dell’Udeur con interessi anche nella sanità privata. A Catanzaro c’è solo Agazio Loiero. A Reggio Calabria detta legge Alleanza nazionale, però il presidente da quando c’è il centrosinistra è Leo Pangallo. L’hanno messo lì i Democratici di sinistra. A Crotone il più "infilato" in corsia è Enzo Sculco, un consigliere regionale della Margherita che qualche mese fa è stato cacciato per una condanna in primo grado a 7 anni per corruzione. Il governatore Loiero ha così piazzato i suoi fedelissimi a Crotone, Sculco però ha sempre i suoi compari.
A Palmi e a Locri, invece, i partiti contano niente. Conta solo la ’ndrangheta. I Piromalli. I Molè. I Morabito. I Cordì. I Cataldo. I loro rampolli hanno invaso gli ospedali. Medici di rispetto. Uno di loro è riuscito a prendere lo stipendio perfino in carcere.
Pasquale Morabito era lo psicologo di Bovalino dal 1992 al 2002. Quando l’hanno arrestato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, glielo continuavano a spedire. "La Asl se n’è accorta e non ha nemmeno avviato azioni di recupero", scrive nella sua relazione Paola Basilone, il prefetto mandata a Locri dal ministero degli Interni dopo l’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno.
"Il mio è stato un viaggio di andata e ritorno all’inferno", dice Doris Lo Moro, una bella signora che fino al 30 novembre del 2007 è stata l’assessore alla Sanità della Calabria. E’ sempre scortata, dal primo giorno della legislatura. L’hanno fatta fuori come assessore. Sono stati i suoi, i ds del Partito democratico.
Non li faceva "entrare" negli ospedali. Alla prima occasione hanno chiesto la sua testa a Loiero. "Se vuoi ti diamo un altro assessorato, ma la Sanità no...", le hanno fatto sapere. "La cattiva politica nella Sanità è peggio della ’ndrangheta, senza la cattiva politica mafiosi e affaristi non potrebbero fare niente", spiega Doris Lo Moro mentre ricostruisce i suoi tormentati quasi mille giorni nella giunta di Catanzaro.
Per provarci ci ha provato. Ma l’assessorato alla Sanità non ha cambiato volto. Era circondata. Il suo direttore generale si chiamava Peppino Biamonte. E’ è lo stesso Peppino Biamonte che falsificava carte per far avere altri 500 mila euro alla clinica Villa Anya di Domenico Crea, l’onorevole boss che si sentiva un dio all’Asl 11 di Reggio Calabria. "Agli ordini", gli rispondeva il direttore generale dell’assessorato quando Crea telefonava per chiedere conto della sua pratica su Villa Anya.
Tutti gli alti funzionari regionali sognano la Sanità. "Ci sono troppe incrostazioni, ci sono collusioni che noi nemmeno immaginavamo quando tre anni fa abbiamo cominciato a governare", racconta il presidente Loiero che l’altro giorno ha "azzerato" i dipartimenti della Sanità, un repulisti. L’altro giorno ha finito la sua prima missione in Calabria anche il prefetto Achille Serra, inviato dal ministro Livia Turco a riferire sulla Calabria che fa morire i calabresi nei suoi ospedali. Il 14 di aprile il prefetto Serra consegnerà il suo rapporto.
Ma la Calabria è la Calabria. A volte è anche invisibile. Sono 80 mila i pazienti fantasma - per lo più emigrati e morti da decenni - che erano iscritti regolarmente negli elenchi dell’assistenza sanitaria regionale. A volte è anche imprevedibile. Fra gli indagati in una vicenda di Sanità c’è anche il governatore Loiero, abuso di ufficio e turbata libertà degli incanti per un’ingarbugliata aggiudicazione di forniture elettromedicali. A volte è indegna. In tanti rubano e in tanti fanno rubare. Ma mai c’era stato un monsignore che si era arricchito sulla pelle di poveretti che erano fuori di testa, 363 degenti di una casa di cura che don Alfredo Luberto faceva vivere con la scabbia addosso e nel lerciume dei padiglioni della casa di cura "Papa Giovanni". Raccattava anche lui soldi all’assessorato alla Sanità ma non li portava mai nella clinica che la Curia gli aveva affidato sulle Serre, alle spalle di Cosenza.
Si comprava quadri il monsignore, si arredava l’appartamento con mobili di lusso, aveva acquistato dodici automobili e riempito i suoi conti correnti. Don Alfredo era diventato milionario con la Sanità.
* la Repubblica, 2 febbraio 2008.