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> GIORDANO BRUNO, LE "TRE CORONE" E -- IL "CENTONE BRUNIANO". Il martirio del filosofo non come la morte di un qualsiasi eretico, ma come «la morte trasfigurante di Socrate, di Gesù e di Boezio» (Antonello Gerbi).

giovedì 3 gennaio 2019

Pensatori

Giordano Bruno, l’universo infinito

Allargò i confini dello spazio e insegnò il gusto della libertà: un saggio inedito di Antonello Gerbisul filosofo curato da Francesco Rognoni e Silvia Berna (Sedizioni)

di Mario Andrea Rigoni (Corriere della Sera, 03.01.2019)

La grandiosa figura di Giordano Bruno è nota a tutti se non altro per la sua tragica fine di eretico arso vivo nell’anno 1600 dall’Inquisizione cattolica nel Campo de’ Fiori a Roma, dove tuttora si erge la sua statua. Ma è difficile farsi un’idea abbastanza attendibile e univoca della sua opera, in parte scritta anche in latino, straordinariamente complessa, labirintica e rivoluzionaria, soggetta ad una varietà di interpretazioni, al di là di quella vulgata del libero pensatore moderno caro a certo ingenuo laicismo.

A questo proposito sarà sufficiente ricordare che le ricerche di un’eccellente quanto insospettabile studiosa inglese del Warburg Institute di Londra, Frances Yates, condussero non solo alla smentita, ma addirittura al rovesciamento di quella rappresentazione, documentando che molti aspetti del pensiero di Bruno, dal suo antiaristotelismo al suo anticristianesimo, si inquadravano nella tradizione dell’ermetismo rinascimentale e nella prospettiva di un recupero dell’antica religione magica degli Egizi, come risulta dal celebre libro Giordano Bruno e la tradizione ermetica (1964).

Alcuni dati senza i quali non si spiegherebbe il pensiero di Bruno sono tuttavia tanto vistosi quanto certi, a incominciare dagli eventi che nel Rinascimento sovvertirono una millenaria concezione del mondo: la rivoluzione spaziale conseguente all’impresa di Cristoforo Colombo, la rivoluzione cosmologica e astronomica operata dalla teoria eliocentrica di Niccolò Copernico e dalle scoperte scientifiche di Galileo Galilei spalancarono letteralmente agli occhi degli uomini una «nuova terra» e un «nuovo cielo», con ripercussioni decisive nella filosofia, nella letteratura, nella poetica e nell’arte visibili già nell’età barocca.

Da questa cornice generale muove inevitabilmente anche un saggio inedito su Giordano Bruno di Antonello Gerbi (1904-1976), adesso recuperato, per merito di Francesco Rognoni, in un’accuratissima ed esemplare edizione, sotto un titolo evidentemente dettato dall’understatement dell’autore (Centone bruniano, a cura di Francesco Rognoni e Silvia Berna, con uno scritto di Sandro Mancini, Sedizioni editore).

Gerbi è stato una rilevante figura della storia culturale e civile italiana. Laureato con una tesi su La politica del Settecento (1928) pubblicata con il patrocinio di Benedetto Croce, allievo in Germania di Friedrich Meinecke, antifascista, intimo dei fratelli Rosselli, amico di Raffaele Mattioli dal quale venne nominato capo dell’Ufficio studi della Banca commerciale italiana, fu autore di varie opere (La politica del Romanticismo, 1932; Il peccato di Adamo ed Eva, 1933) fra le quali un capolavoro storiografico, La disputa del Nuovo Mondo, incentrato sul pregiudizio nei confronti dell’America che andò formandosi nella cultura europea a incominciare dalla metà del Settecento (Ricciardi 1955; Adelphi 2000).

Costretto dalle leggi antiebraiche all’emigrazione in Perù, nel corso degli anni Quaranta Gerbi da un lato pubblicò una prima versione spagnola della Disputa (1943) e trattò in La natura delle Indie Nove. Da Cristoforo Colombo a Gonzalo F. De Oviedo (apparso solo nel 1975 da Ricciardi) il tema dei primi viaggiatori in America e delle questioni connesse alla conquista del nuovo continente; dall’altro si dedicò all’opera di Bruno, componendo un saggio che fonde le qualità del grande storico delle idee con quelle del brillante scrittore.

      • La riflessione di Bruno è animata da una ribellione e un dinamismo morale che già preludono allo storicismo romantico

Costretto dalle leggi antiebraiche all’emigrazione in Perù, nel corso degli anni Quaranta Gerbi da un lato pubblicò una prima versione spagnola della Disputa (1943) e trattò in La natura delle Indie Nove. Da Cristoforo Colombo a Gonzalo F. De Oviedo (apparso solo nel 1975 da Ricciardi) il tema dei primi viaggiatori in America e delle questioni connesse alla conquista del nuovo continente; dall’altro si dedicò all’opera di Bruno, componendo un saggio che fonde le qualità del grande storico delle idee con quelle del brillante scrittore.

Il Centone bruniano mostra come il cosmo delimitato e chiuso della tradizione esploda nel pensiero di Bruno in un universo infinito, immanente e omogeneo, senza più centro, inesauribilmente vivo, fecondo e proliferante, popolato da mondi abitati al di fuori della Terra. In tale modo Bruno accoglie e, nel contempo, supera e trasvaluta l’eliocentrismo di Copernico, nel quale si conservava ancora l’idea della finitezza del cosmo e della sua struttura gerarchica.

Ma la particolarità del dottissimo quanto godibile lavoro di Gerbi consiste nella tesi dell’aspetto «politico» della riflessione di Bruno, animata da una ribellione e da un dinamismo morale che già preludono, insieme col gusto dell’individualità, della diversità e del mutamento, allo storicismo romantico. In questo senso l’autore considera Bruno «il maggior “filosofo politico” tra Machiavelli e Vico». Più che al pensatore metafisico Antonello Gerbi guarda infatti al filosofo avverso alla trascendenza, alla Rivelazione e all’ascesi, insofferente di ogni autorità e di ogni limite fino al libertinismo speculativo e linguistico, credente nel «valore assoluto dell’azione».

Si avverte nelle pagine del libro un tale consenso e una tale partecipazione all’avventura tragica di Bruno che l’autore considera il martirio del filosofo non come la morte di un qualsiasi eretico, ma come «la morte trasfigurante di Socrate, di Gesù e di Boezio».


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