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Calabria

Appunti dalle città invisibili: scarsa solidarietà a Francesco Saverio Alessio. La Calabria è vittima di se stessa

venerdì 2 novembre 2007 di Emiliano Morrone
Francesco Saverio Alessio, con me autore di "La società sparente", un libro sulla Calabria vinta dalla ’ndrangheta e dal clientelismo politico, è stato minacciato lo scorso 26 ottobre. Ha ricevuto a casa un biglietto non firmato. Lo abbiamo interpretato quale scherzo cattivo, per ora.
Come da copione, la notizia è stata data in Calabria solo da pochi organi di stampa, i quali da tempo seguono con grande sensibilità i temi forti in loco. La Rai regionale ha taciuto completamente, invece. E (...)

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> Appunti dalle città invisibili: scarsa solidarietà a Francesco Saverio Alessio. La Calabria è vittima di se stessa --- Sarà noioso ricordarlo, ma ... nel nostro Paese il potere, un potere molto pesante, è seduto sul giornalismo (di Furio Colombo).

martedì 30 ottobre 2007

Quell’elogio del giornalismo

di Furio Colombo *

Lucia Annunziata, editorialista de La Stampa e già direttore del Tg3, non ascolta Radio Radicale. È un peccato, e poiché la stimo, la prego di farlo e le spiego il perché.

Varie volte al giorno quella radio trasmette uno spot in cui due attori interpretano rispettivamente Bruno Vespa, il noto conduttore di Porta a Porta, e Salvo Sottile, il noto assistente di Gianfranco Fini. Le voci sono teatrali ma le parole sono tratte dai verbali giudiziari. È la famosa telefonata, diventata pietra miliare nelle scuole di comunicazione (perfetto esempio di ciò che non si fa), in cui i due iscritti all’ordine dei giornalisti italiani discutono sul come creare intorno a Fini, allora ministro degli Esteri del governo Berlusconi, la migliore, la più adatta e favorevole trasmissione possibile.

Il conduttore offre amichevolmente tutti gli aggiustamenti immaginabili, finché, attraverso il portavoce Sottile, il ministro Fini (che, ci viene detto dai due, sta assistendo alla conversazione) accetta la composizione del gruppo «come un vestito tagliato su misura» (parole di Vespa).

Ho parlato diffusamente dello spot di Radio Radicale perché ha il merito di avere racchiuso in alcune battute, rigorosamente vere, un’intera epoca del giornalismo italiano. È l’epoca descritta dall’Economist, da Der Spiegel, dallo Zeit, da Indro Montanelli, quando ci ha raccontato come e perché ha lasciato la direzione de Il Giornale, da Enzo Biagi quando ha ricevuto la celebre raccomandata con ricevuta di ritorno perché accusato di «giornalismo criminoso».

Storie passate? Certo, per fortuna. Ma non è passato il conflitto di interessi. Sarà noioso ricordarlo, ma la vasta proprietà Berlusconi non è insediata nel campo dell’alluminio o dell’ottica (in quelle dimensioni una simile ricchezza a disposizione di un politico che guida assalti quotidiani a un governo farebbe paura comunque) ma sta proprio al centro di tutti i tipi di comunicazione italiana e, in parte, anche europea. Dunque, nel nostro Paese il potere, un potere molto pesante, è seduto sul giornalismo.

Tutto ciò è una replica a quanto Lucia Annunziata ha scritto - con vigore indignato - contro le poche e precise affermazioni sui media fatte da Walter Veltroni a Milano nel suo discorso di investitura. Riassumo le parole di Veltroni con quel tanto di parzialità che i lettori mi riconoscono: «Oggi è importante per un leader politico andare poco in televisione perché si entra in un paesaggio alterato in cui fai solo spettacolo». Veltroni ha anche accennato alla stampa scritta che monta intorno a ogni evento un “prima” e un “dopo” (anticipazioni e retroscena) che portano qualsiasi notizia e qualunque dichiarazione nella direzione voluta di volta in volta, a piacere.

Lucia Annunziata sa tutto questo perché ha fatto la giornalista in America, ha studiato giornalismo ad Harvard. In Usa ha imparato perché, nei mesi scorsi, i direttori di due grandi giornali, il New York Times e il Los Angeles Times, hanno chiesto scusa ai lettori per avere diffuso come vere notizie preparate da centri politici non giornalistici. Lucia Annunziata lo sa perché conosce la vicenda di Judith Miller, l’autorevole notista politica del New York Times che ha lavorato a una lunga campagna di disinformazione attraverso il suo giornale ignaro (notizie false ricevute da una fonte ritenuta ineccepibile) finché la brutta vicenda è stata rivelata non da inchieste giornalistiche ma da un’inchiesta giudiziaria.

Per questo, con stima e rispetto, mi sento di ritenere priva di fondamento (e - ho appena dimostrato - non solo nella vita giornalistica italiana) la frase finale dell’articolo domenicale di Lucia Annunziata: «Nella recente ondata di antipolitica è stata messa in discussione la credibilità dei politici, non dei media. Ed è attraverso i media che in questi mesi di tensione le élite di questo Paese stanno tenendo aperta una linea di contatto con i cittadini».

Saranno i retroscena abili e gustosi di Augusto Minzolini, sarà Porta a Porta e i tanti programmi simili, a garantire questo contatto? E ancora: potrebbe esserci un disordine così intenso e anarcoide nel rapporto fra cittadini e politica senza il ruolo attivo e interessato di televisioni e giornali che stanno al gioco o conducono il gioco? Infine: accade tutto ciò per un periodo così prolungato nelle democrazie su cui non grava un gigantesco conflitto di interessi nel cuore del sistema delle comunicazioni?

* l’Unità, Pubblicato il: 30.10.07, Modificato il: 30.10.07 alle ore 11.34


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