Il Concilio che fa la differenza
di Enzo Bianchi (La Stampa, 29 gennaio 2012)
«Il concilio Vaticano II, come evento intenzionalmente pastorale, non ha aggiunto verità da credere, ma ha riflettuto sulla globalità della vicenda cristiana nel mondo contemporaneo. Per attivare un cristianesimo vivibile, comunicativo, credibile». Così Ugo Sartorio chiude l’introduzione a Fare la differenza. Un cristianesimo per la vita buona (Cittadella, pp. 254, 15,80), con un rimando esplicito al concilio di cui il prossimo ottobre ricorre il cinquantesimo dell’apertura. Un rimando che è anche la chiave di lettura di queste pagine, volte a ripensare la presenza cristiana nella realtà postmoderna. L’autore, francescano conventuale, ha una rara capacità divulgativa: già docente di teologia fondamentale, dirige sia la rivista Credere oggi che il mensile cattolico, Il Messaggero di Sant’ Antonio.
Il lettore si può così incamminare fiducioso in un percorso che tende a ricollocare il cristianesimo attraverso la categoria della «differenza»: lungi dall’ essere una presa di distanza dal mondo, la differenza cristiana qui proposta è innanzitutto uno «stile di vita» che riesce a veicolare il messaggio evangelico meglio di qualsiasi discorso apologetico e a suscitare interesse in una società sempre più indifferenziata quando non addirittura indifferente. Stile di vita che non è «forma» contrapposta al «contenuto», bensì incarnazione della speranza, corpo offerto all’ideale evangelico.
La riflessione di Sartorio si articola così in due blocchi complementari - «pensare la differenza» e «vivere la differenza» che da un lato stimolano la necessaria elaborazione di un pensiero su Dio e sull’umanità radicato nel dettato evangelicoe nella millenaria storia della testimonianza cristiana e, d’altro lato, evidenziano alcune esperienze storiche di «differenza»vissuta: il rapporto tra chierici e laici, il significato della vita religiosa, la complementarietà tra celibato per il regnoe matrimonio cristiano.
Non manca un’attenta disamina delle «figure» che l’annuncio cristiano ha assunto in questa stagione del postmoderno: nuova evangelizzazione, inculturazione, testimonianza sono prese in esame per farne emergere al di là delle diverse terminologie e dei relativi approcci la convergenza attorno al Vangelo stesso e alla figura di Gesù Cristo. Lì e non altrove, infatti, continua a giocarsi la serietà della presenza cristiana nella società di ogni tempo e stagione, come osserva acutamente Armando Matteo nella postfazione al volume: «L’efficacia dell’annuncio di quella vita buona che sgorga dal Vangelo di Gesù dipenderà sempre di più dalla capacità del pensiero e della testimonianza cristiani di farsi pazientemente, rispettosamente e intelligentemente carico di ciò che oggi possiamo e dobbiamo nominare la fatica postmoderna del credere». Ed è forse proprio questa l’impegnativa eredità lasciataci dal concilio.