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EVANGELO ED EUROPA. "NOSTRA AETATE": MEMORIA DELLA LIBERTA’ E STORIA DELLA LIBERAZIONE. SALVATI DALLA SPERANZA DEL DIO-AMORE ("CHARITAS") NON DAL DIO-MAMMONA ("CARITAS")!!!

IL PAPA HA DECISO DI DARE IL VIA AD UN NUOVO CONCILIO, AL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II. PACE E DIALOGO SU TUTTA LA TERRA, TRA TUTTI GLI ESSERI UMANI, TUTTE LE RELIGIONI, TUTTI I CREDENTI E I NON CREDENTI. QUESTA LA DICHIARAZIONE DI APERTURA - a cura di Federico La Sala

A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo
lunedì 22 ottobre 2012 di Maria Paola Falchinelli
DISCORSO DI PAPA GIOVANNI XXIII PER L’APERTURA DEL CONCILIO VATICANO II *
"Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo (...)

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> IL PAPA HA DECISO DI DARE IL VIA AD UN NUOVO CONCILIO, ---- Il Concilio che fa la differenza. Un cristianesimo per la vita buona

sabato 28 gennaio 2012

Il Concilio che fa la differenza

di Enzo Bianchi (La Stampa, 29 gennaio 2012)

«Il concilio Vaticano II, come evento intenzionalmente pastorale, non ha aggiunto verità da credere, ma ha riflettuto sulla globalità della vicenda cristiana nel mondo contemporaneo. Per attivare un cristianesimo vivibile, comunicativo, credibile». Così Ugo Sartorio chiude l’introduzione a Fare la differenza. Un cristianesimo per la vita buona (Cittadella, pp. 254, 15,80), con un rimando esplicito al concilio di cui il prossimo ottobre ricorre il cinquantesimo dell’apertura. Un rimando che è anche la chiave di lettura di queste pagine, volte a ripensare la presenza cristiana nella realtà postmoderna. L’autore, francescano conventuale, ha una rara capacità divulgativa: già docente di teologia fondamentale, dirige sia la rivista Credere oggi che il mensile cattolico, Il Messaggero di Sant’ Antonio.

Il lettore si può così incamminare fiducioso in un percorso che tende a ricollocare il cristianesimo attraverso la categoria della «differenza»: lungi dall’ essere una presa di distanza dal mondo, la differenza cristiana qui proposta è innanzitutto uno «stile di vita» che riesce a veicolare il messaggio evangelico meglio di qualsiasi discorso apologetico e a suscitare interesse in una società sempre più indifferenziata quando non addirittura indifferente. Stile di vita che non è «forma» contrapposta al «contenuto», bensì incarnazione della speranza, corpo offerto all’ideale evangelico.

La riflessione di Sartorio si articola così in due blocchi complementari - «pensare la differenza» e «vivere la differenza» che da un lato stimolano la necessaria elaborazione di un pensiero su Dio e sull’umanità radicato nel dettato evangelicoe nella millenaria storia della testimonianza cristiana e, d’altro lato, evidenziano alcune esperienze storiche di «differenza»vissuta: il rapporto tra chierici e laici, il significato della vita religiosa, la complementarietà tra celibato per il regnoe matrimonio cristiano.

Non manca un’attenta disamina delle «figure» che l’annuncio cristiano ha assunto in questa stagione del postmoderno: nuova evangelizzazione, inculturazione, testimonianza sono prese in esame per farne emergere al di là delle diverse terminologie e dei relativi approcci la convergenza attorno al Vangelo stesso e alla figura di Gesù Cristo. Lì e non altrove, infatti, continua a giocarsi la serietà della presenza cristiana nella società di ogni tempo e stagione, come osserva acutamente Armando Matteo nella postfazione al volume: «L’efficacia dell’annuncio di quella vita buona che sgorga dal Vangelo di Gesù dipenderà sempre di più dalla capacità del pensiero e della testimonianza cristiani di farsi pazientemente, rispettosamente e intelligentemente carico di ciò che oggi possiamo e dobbiamo nominare la fatica postmoderna del credere». Ed è forse proprio questa l’impegnativa eredità lasciataci dal concilio.


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