Presentato al Nuovo Sacher "Meduse" di Etgar Keret e Shira Geffen, distribuito nel nostro Paese
dal regista del "Caimano". Che in conferenza stampa si improvvisa intervistatore...
Sorpresa, in Israele non c’è solo guerra
In Italia il film-cult amato da Moretti
Un’opera corale, intimista, su temi come l’abbandono, la solitudine e i legami familiari
Gli autori: "A Tel Aviv non solo morti e bombe, ma anche la vita vera"
di CLAUDIA MORGOGLIONE *
ROMA - Sono due i motivi di interesse di Meduse, film israeliano, grande successo in patria e in Francia, che sbarca nelle nostre sale il 16 novembre. Primo: è una storia ambientata a Tel Aviv, ma non ha nulla a che fare con la guerra, col terrorismo, con l’infinita questione palestinese. Visto che si concentra sui drammi interiori, sulle ferite familiari e sentimentali dei personaggi. Secondo: qui in Italia il film ha uno sponsor eccellente, Nanni Moretti. Che lo distribuisce, con la sua Sacher; fa da padrone di casa all’anteprima e conferenza stampa di oggi; e nell’occasione si improvvisa pure moderatore e giornalista, ponendo lui le domande alla coppia di registi, Etgar Keret e Shira Geffen (marito e moglie, nella vita).
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Insomma, un Moretti più che mai deciso ad appoggiare l’uscita della pellicola. Proprio qualche giorno prima della presentazione ufficiale della sua nuova avventura, quel Festival di Torino di cui è diventato direttore artistico. Ma se pensate che, viste le esigenze promozionali di Meduse, il regista del Caimano cambi il suo modo di porsi verso la stampa, sbagliate di grosso: è sì generoso nel porre i quesiti ai due autori, ma poi, alla prima domanda di un cronista a lui, scompare. Proprio nel momento in cui i due cineasti ospiti fanno un elogio al suo modo di fare cinema: "Per noi Moretti è un eroe, siamo fan di tutti i suoi film - raccontano - per noi è un punto di riferimento, che la libertà e il coraggio di esprimersi nella maniera che ritiene giusta".
Intanto, però, lui ha ormai lasciato la sala. E per fortuna che Meduse - storia corale centrata su alcuni personaggi, soprattutto donne, che si incontrano o si sfiorano, in una Tel Aviv malinconica ma assolutamente pacifica - è piaciuto, a una buona fetta della platea di critici. Come dimostra l’applauso a fine proiezione.
E, come inevitavile, la curiosità dei presenti è tutta per la scelta dei due registi di abbandonare completamente il cliché del Paese in guerra. "Qui non parliamo del conflitto esterno, ma di quello interno dei protagonisti", spiega Shira Geffen, il cui prozio è il leggendario generale israeliano Moshe Dayan. E suo marito aggiunge: "E’ vero che il problema mediorientale per noi è importante; e quindi è naturale che tanti autori girino film su questo argomento. Ciò che non è naturale, invece, è che vengano fatti film solo su questo tema: noi lì non è che viviamo dentro la Cnn, dentro un notiziario h24, ma dentro la vita vera. In cui non ci sono solo uccisioni, esplosioni, tensioni, ma anche altro. E comunque bisogna ricordare che anche nelle situazioni di guerra le cose che contano sono sempre le stesse: i problemi familiari, il partner che ci lascia...".
Tutte situazioni su cui è, appunto, centrato il film. Costruito su una serie di personaggi tra loro diversi. Come Batya (Sarah Adler), di famiglia benestante ma lacerata, che lavora come cameriera ai matrimoni, e che in spiaggia incontra una bambina (Nikol Leidman) che le cambia la vita. Come Keren (Noa Knoller), che si rompe una gamba il giorno delle nozze, e che nella sua improvvisata luna di miele in un albergo di Tel Aviv viene in contatto con una donna affascinante e misteriosa. O come Joy, filippina immigrata che ha lasciato a casa il figlio di cinque anni, badante di un’anziana con un rapporto difficile con la figlia attrice. Storie parallele, unite da un filo sottilissimo, che affrontano temi seri, come l’abbandono, la solitudine, il suicidio. E in cui la speranza appare come qualcosa di pallido, di tenue.
Il tutto in un’atmosfera lieve, dolente, come sospesa. "E’ vero - confermano i registi - abbiamo scelto di evitare un tono iperrealista, preferendo un approccio più da fiaba". Un’operazione che, almeno a giudicare dalle reazioni dei paesi in cui il film è stato distribuito, al pubblico piace: "Credo che sia perché gli spettatori si sentono in sintonia con i temi centrali della storia, e cioè il passato e l’infanzia", spiega Shira Geffen. "Ma credo ci sia anche dell’altro - aggiunge Etgar Keret - come dimostra il sollievo che hanno provato i nostri produttori francesi, quando gli abbiamo parlato di Meduse: ’E’ il primo film israeliano’, ci hanno detto, ’in cui la gente non uccide, non urla, non tira bombe!’".
* la Repubblica, 31 ottobre 2007.