IL DANTE DI BENIGNI NEI LUOGHI ( E NEI NON LUOGHI) DELL’OGGI
Dateci di questa poesia
di GABRIELLA SARTORI (Avvenire, 02.12.2007)
Benigni e Dante: non lasciamo cadere l’argomento. È vero che, nella serata del televisiva del 29 novembre, la parte dedicata alla satira politica si è protratta troppo a lungo, che certe battutacce erano scontate (e qualche volta volgarotte). Ma sarebbe fuorviante fermarsi qui. Limiti come questi, nulla tolgono al fatto che la serata sia stata infine memorabile. Per vari motivi.
Primo, perché la grandezza umana, poetica e cristiana di Dante è stata fatta arrivare direttamente al cuore e alla mente di dieci milioni di italiani: Roberto Benigni - uno che ha cominciato come comico, e perfino comico di partito - da quando ha incontrato di nuovo sulla sua strada il nostro massimo poeta, ne è uscito irrimediabilmente arricchito, trasformato nel profondo. Come accade a tutti coloro che sono capaci di incontri veri. Definire chi sia oggi il Benigni che - più che leggere, spiegare, recitare - vive Dante nella sua carne di uomo e di personaggio da palcoscenico, è difficile; e forse non è neppure importante.
Quello che si può constatare, è che per la rinascita della nostra poesia nazionale, e ancor prima, per la sua conoscenza a livello di massa, il Benigni della Divina Commedia, assistito in questa sua veste, dai migliori dantisti italiani, sta facendo molto di più e meglio di quanto non riescano a fare, da anni, la nostra scuola e la nostra università. E magari anche molti convegni o happening, più o meno ’letterari’, siano essi di accademia o di strada. Per parlare al grande pubblico di poesia, ci vuole già un bel coraggio e ce ne vuole ancora di più per farlo in un clima culturale post-moderno, umanamente inaridito (e tanti casi di cronaca, da Perugia a Garlasco, continuano tragicamente a ricordacerlo). Riuscire a farlo, poi, attraverso il mezzo televisivo, sempre più spesso usato in modo da costituire la negazione stessa di tutto quello che è pensiero fondante, arte di qualità, emozione alta, diventa quasi un miracolo. E c’è di più. Incontrando dal vivo un credente della statura di Dante, Benigni non può far a meno di imbattersi nel profondo delle ’radici cristiane’ e umane della nostra fede.
C’era, la sera di giovedì, nella sua ’performance’, il riferimento alto a Tommaso d’Aquino e ad Agostino, due autori che i manuali scolastici «aggiornati » hanno praticamente cancellato.C’era, intero e vivo, il nome nuovo che Cristo ha dato a parole fondanti come vita, libertà, amore, bellezza ,verità.
C’era la «pietas» che, non per niente, è «cristiana». C’era l’invito a non «perdere » quell’ «attimo» capace di rivelarti il senso profondo dell’esistenza... Qualcuno, spenta la tv, ha detto: «Mai vista e sentita una catechesi così bella». Esagerato? Forse. Eppure si potrebbe davvero provare a tornare all’antico, a quando Dante si leggeva in chiesa (e in certe chiese, già lo si fa, ma pochi lo sanno, pochi ne parlano: anche se la cosa affascina, e il pubblico è sempre folto e molto attento). Avendo un Dvd a disposizione - e qualche amante del genere: un professore in pensione, un giovane di belle speranze, un prete di buoni studi... -, potrebbero riuscirci tante parrocchie. Trovando l’angolo e la ’guida’ adatti, si potrebbe provare a proiettarlo, un Benigni come questo, pure in quei non luoghi di cui parla Marc Augé: stazioni ferroviarie e della metro, sale d’aspetto degli aeroporti, ipermercati, discoteche. Là dove si accalcano, per riti collettivi senza nome, masse di giovani e non giovani, ai quali nessuno, oggi, dice mai quelle ’parole di vita’ che la poesia di Dante sa dire scaldando il cuore. Parole di cui tutti hanno bisogno, magari senza saperlo.