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Giornata Mondiale contro l’Hiv/Aids

PRESERVATIVO. NON «CONDOM», NON «PRECAUZIONE». "SALUTE SALVI". SU YOU TUBE, IN TUTTE LE LINGUE. La parola entra a tutti gli effetti nel vocabolario istituzionale con lo spot del Ministero della Salute 2008 - a cura di pfls

martedì 4 dicembre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il video spagnolo che compare su YouTube ha vinto il Primo Premio Cinema giovane 2007 ed è stato il miglior spot al V festival di cortometraggi "Cinema e Salute". E anche in questo caso il preservativo fuori di metafora è il miglior attore protagonista in un cast di ragazzi giovanissimi. Lui, il giovane innamorato attraversa la città come un eroe dei fumetti per portare alla bella che lo aspetta un regalo vitale. Un preservativo che «protegge il loro presente e salva il loro futuro» (...)

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> PRESERVATIVO. ---- Benedetto XVI sbarca in Africa. "Contro l’Aids, no ai preservativi" (di M. Politi) - Il tabù del pontefice (di Adriano Prosperi) - Suore, scienziati e volontari "Così si fa solo disinformazione" (di Cristina Nadotti).

mercoledì 18 marzo 2009

Benedetto XVI sbarca in Africa

"Contro l’Aids, no ai preservativi"

"Preghiera e astinenza, ma le cure siano gratis"

di Marco Politi (la Repubblica, 18.03.2009)

YAOUNDE - Papa Ratzinger ne è convinto: la Chiesa non sbaglia a opporsi alla distribuzione di preservativi per combattere l’Aids. Anzi, insiste, incoraggiarne la diffusione rende più acuto il problema.

Nel continente simbolo del flagello della sindrome da immunodeficienza Benedetto XVI non deflette di un millimetro dalla posizione classica della Chiesa cattolica: astinenza sì, profilattico no. Per la prima volta in assoluto i giornalisti del seguito papale sentono pronunciare da un Pontefice la parola «preservativo». Finora erano sempre state usate frasi circonvolute per affrontare l’argomento ma Ratzinger parla senza perifrasi. Non si può superare il problema dell’Aids solo con i soldi, dice, e «non si può superare con la distribuzione di preservativi, al contrario aumentano il problema». Con i giornalisti il Papa rivendica con fermezza il ruolo cruciale delle organizzazioni cattoliche nell’assistere e curare i malati. Cita la comunità di Sant’Egidio, «che fa tanto visibilmente e invisibilmente», i religiosi Camilliani, le suore che sparse in tante nazioni «sono a disposizione dei malati».

Il Pontefice rilancia la sua tesi di un contrasto all’Aids che si basi essenzialmente su una diversa gestione della sessualità. Parla di rinnovamento spirituale, sottolinea l’esigenza di comportarsi diversamente con il proprio corpo e nelle relazioni con l’altro. E poi mette l’accento sulla solidarietà quotidiana, difficile ma sistematica, che bisogna avere con i sofferenti. Serve anche una disponibilità a fare sacrifici e a operare rinunce personali. E’ questa la carta che la Chiesa getta sul piatto. «E’ la giusta risposta» che produce veri progressi, replica deciso Benedetto XVI alle critiche, ringraziando tutti coloro che sono impegnati nella battaglia anti-Aids. E al suo arrivo a Yaounde, salutando le autorità, il Papa ha avuto parole di elogio per il governo del presidente cattolico Biya. «E’ encomiabile - ha esclamato - che i malati di Aids in questo paese siano curati gratuitamente».

Certo la questione non si chiude così facilmente. Jean-Luc Montagnier, lo scienziato che ha scoperto il virus, venne in Vaticano ai tempi di Wojtyla per perorare che la Chiesa almeno come soluzione di «misericordia» lasciasse educare all’uso del profilattico per porre un freno alla pandemia. E alcuni teologi moralisti, fra i quali il cardinale Tettamanzi, da tempo hanno inserito nei loro scritti la clausola della «legittima difesa»: cioè il diritto del coniuge cattolico di usare il profilattico o di esigerlo se il proprio partner è a rischio o infetto. Né Wojtyla né papa Ratzinger hanno però modificato la linea ufficiale del Vaticano. Dopo l’elezione di Benedetto XVI il ministro vaticano della Sanità, cardinale Barragan, annunciò la preparazione di un dossier sulla malattia da sottoporre al Pontefice. Non se n’è saputo più nulla.


Il tabù del pontefice

di Adriano Prosperi (la Repubblica, 18.03.2009)

Basta una parola e l’interesse si accende. Quella parola del papa: preservativo. È la prima volta. E tutto il resto passa in secondo piano. Quella parola riassume la realtà di un intero continente in una immagine che salda rapporti sessuali e malattia. Ma è la consistenza tutta materiale dell’oggetto che colpisce: è come se all’improvviso si incrinasse l’aura di meditazione di quello studio papale dal quale siamo abituati a veder uscire libri e discorsi su temi delicati e materie spirituali. Ma nessuno sull’uso del preservativo.

Si vorrebbe evitare di cadere nella trappola che quella parola mette sul sentiero di una delle rare occasioni che si hanno in Italia di parlare delle realtà e dei problemi dell’Africa. L’Africa, infatti, ci è vicina non solo fisicamente. Il viaggio papale potrebbe richiamare l’attenzione sulla realtà e sui problemi di un continente sulle cui speranze di crescita economica e civile la crisi attuale fa gravare di nuovo lo spettro di barriere protezionistiche negli scambi commerciali e di restrizioni perfino nell’offerta di lavoro nero e più o meno apertamente schiavistico.

Ma la parola che si è affacciata sulla bocca del papa ci ricorda che quel continente ha per gli italiani il volto delle prostitute delle nostre periferie urbane, cioè quello della minaccia dell’Aids. E di associazione in associazione vengono in mente tante cose: i tentativi di qualche ministra di cancellare la vista di quelle donne a suon di circolari, accettando e nascondendo così la realtà della schiavitù femminile fatta di corpi a buon prezzo - perché intanto la prostituzione resta l’unica carta di ingresso valida per le donne, specialmente per quelle africane. Ma la frase del papa non è certo casuale. Essa anticipa il senso di questo viaggio e gela in partenza ogni speranza di mutamento nelle posizioni ufficiali della Chiesa. Si ribadisce così una condanna ecclesiastica dei contraccettivi che dura da decenni, che ha sollevato dubbi e critiche anche all’interno del mondo cattolico e che continua a indirizzare l’azione dei missionari cattolici opponendoli all’opera di quelle organizzazioni sanitarie internazionali che insistono sulla necessità di combattere l’Aids anche con i preservativi: anche, non solo.

Perché sicuramente il papa ha ragione quando dice che l’epidemia «non si può superare con la distribuzione dei preservativi» e quando chiede cure gratis per i malati di Aids. Ma quell’aggiunta - «anzi, i preservativi aumentano i problemi» - sembra piuttosto discutibile. Non è forse vero che quella barriera meccanica tutela le donne e può impedire la trasmissione del virus dell’Hiv? E dunque perché ostinarsi a proibirne l’uso? Perché non avviare un’educazione sanitaria alla sessualità che, nelle mani delle potenti reti missionarie della Chiesa, inciderebbe rapidamente e profondamente nella realtà di quel mondo?

Abbiamo conosciuto nelle nostre università generazioni di medici cattolici che hanno dato un contributo generoso di lavoro volontario negli ospedali delle missioni, specialmente in Africa. A persone come loro è diretto l’invito papale alla condivisione fraterna, a "soffrire con i sofferenti". Ma che cosa accadrà a chi usa il preservativo?

La durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina brasiliana e i medici che ne hanno salvato la vita facendola abortire non è stata un bell’esempio di condivisione delle sofferenze. Perfino in Vaticano qualcuno ha avuto l’impressione che si sia esagerato: ma forse solo perché la reazione delle coscienze offese è stata immediata e unanime. Di fatto non risulta che quella scomunica sia stata cancellata. Il corpo della donna resta ancora per questa Chiesa un contenitore passivo di seme maschile, un condotto di nascite obbligatorie, segnato dal marchio biblico della maternità come sofferenza. L’anima di una bambina brasiliana o di una donna camerunense è meno importante di quella di un vescovo antisemita e negazionista.


L’immunologo Aiuti: "Si rischiano nuove epidemie"

Suore, scienziati e volontari "Così si fa solo disinformazione"

di Cristina Nadotti (la Repubblica, 18.03.2009)

Una cosa è parlare sorvolando l’Africa a bordo di un aereo, un’altra è vivere tutti i giorni a contatto con chi di Aids muore e con chi, sebbene sieropositivo, cerca di vivere una vita normale. Ancora una volta le idee di un papa sull’uso del preservativo scatenano reazioni che sottolineano la distanza tra le elaborazioni teoriche e la prassi quotidiana.

Suor Laura Girotto, salesiana fondatrice e anima di una missione ad Adua, commenta dall’Etiopia: «È vero quanto afferma Benedetto XVI, l’Aids non si ferma solo con i preservativi, è necessaria soprattutto una corretta informazione scientifica, un’educazione puntuale perché qui l’ignoranza è abissale. Non si può accettare di sentire gli uomini ai quali viene consigliato di usare il preservativo dire che se lo usassero sarebbe come mangiare una caramella senza scartarla. È giusto dire che i preservativi non bastano a risolvere il problema, ma bisogna anche dare informazioni corrette». E in Africa le scelte sono spesso dettate da quello che anche la religiosa chiama «buon senso» piuttosto che dalla dottrina: «Non si può dire a una coppia di ventenni, di cui uno sieropositivo, che non dovranno più manifestare il loro amore anche attraverso la tenerezza. L’amore fisico non ce lo siamo inventato, ce l’ha dato il buon Dio. E allora in quel caso il profilattico è una sicurezza, consigliarne il suo uso non è più un fatto morale, ma una questione di buon senso».

Le parole della religiosa sono riprese anche da ong laiche. Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid, sottolinea: «Benedetto XVI si oppone all’uso del preservativo, ma non possiamo dimenticare che esso rimane un’arma decisiva per la prevenzione, perché riduce drasticamente le possibilità di contrarre il virus durante i rapporti sessuali». Non ha dubbi sul valore scientifico dell’uso del preservativo l’immunologo Ferdinando Aiuti: «Ovunque il profilattico è stato utilizzato nelle campagne di prevenzione della malattia, adottate da alcuni governi africani, l’infezione è stata contenuta. La Chiesa può non condividere l’uso del preservativo - ha detto il medico - ma non può dire che non è un’arma o lasciare passare il messaggio che può creare più problemi: è una disinformazione che può portare alla ripresa delle epidemie»


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