condannato anche John William Yethaw
Nuova condanna per San Suu Kyi
L’Onu chiede il «rilascio immediato»
Il tribunale ha condannato il premio Nobel per la pace agli arresti domiciliari nella casa di rangoon
RANGOON- Altri 18 mesi agli arresti domiciliari. Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione birmana, rimarrà nella sua casa-prigione ancora un anno e mezzo. L’accusa per il premio Nobel per la Pace è di violazione degli arresti domiciliari. Secondo molti è semplicemente una scusa che il regime birmano ha individuato per togliere di mezzo l’attivista in vista delle elezioni del prossimo anno, dopo l’iniziativa di John William Yethaw, cittadino americano di religione mormone, che il 3 maggio scorso raggiunse a nuoto la casa di Suu Kyi. L’uomo, processato anche lui, è stato condannato a sette anni di lavori forzati. A sostegno della leader birmana scende in campo il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban ki Moon, chiedendo «al governo della Birmania di rilasciare immediatamente e senza condizioni Aung San Suu Kyi». Dura reazione alla condanna della leader birmana da parte dell’Ue, che minaccia sanzioni. E anche il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, come l’Onu, ha chiesto la liberazione immediata e incondizionata di Aung San Suu Kyi.
GLI ARRESTI- La leader della Lega Nazionale per la Democrazia è stata condannata per aver ospitato il 4 e il 5 maggio Yethaw ed è stata immediatamente ricondotta nella sua abitazione di Rangoon dopo la sentenza. Un tribunale speciale, riunito nel complesso carcerario di Insein, a nord della capitale, ha riconosciuto Suu Kyi colpevole di aver violato i termini che, dal 2003, regolano la sua detenzione domiciliare, per aver fatto entrare nella sua abitazione il pacifista americano.
LA CONDANNA- San Suu Kyi è stata condannata a tre anni dal tribunale militare. Una pena che il generale Than Shwe, capo della giunta militare al potere, ha tuttavia deciso di ridurre, commutandola in un anno e mezzo agli arresti domiciliari. Con questa nuova reclusione, Suu Kyi viene esclusa dalla elezioni che la giunta militare intende organizzare nel Paese per il 2010. Il premio Nobel ha trascorso 14 degli ultimi 20 anni in stato di detenzione, per lo più agli arresti domiciliari. La 64enne avrebbe finito di scontare la sua pena il 21 maggio. La donna, figlia di uno storico oppositore al regime militare birmano, è agli arresti domiciliare dal 1989. Ed è diventata simbolo della lotta per la libertà birmana.
IL PACIFISTA - Più pesante il verdetto a carico del co-imputato di Suu Kyi, il 54enne statunitense John Yettaw, in tutto sette anni di lavori forzati: tre ancora per violazione delle leggi sulla sicurezza, altrettanti per immigrazione illegale nel Paese asiatico, e infine uno per violazione delle norme municipali sull’attività natatoria. L’americano aveva raggiunto a nuoto la residenza della donna dopo aver avuto a suo dire «una visione nella quale sarebbe stata assassinata».
LE REAZIONI - All’appello delle Nazioni Unite per il rilascio di Suu Kyi si unisce quello di numerosi capi di stato e di governo. «L’Unione europea condanna il verdetto di colpevolezza emesso contro Aung San Suu Kyi e risponderà con sanzioni supplementari verso i responsabili della condanna», si legge in un comunicato della presidenza della Ue. «Il processo contro San Suu Kyi è ingiustificato e va contro il diritto nazionale e internazionale», spiegano da Bruxelles. «Stiamo preparando nuove sanzioni contro la Birmania, che comprendono restrizioni commerciali contro compagnie di Stato e il divieto di ingresso nella Ue per i quattro responsabili della sentenza di oggi» ha poi aggiunto il premier svedese Fredrik Reinfeldt, guida di turno della Ue, in un comunicato diffuso dalla presidenza. Una posizione confermata anche dalla Farnesina. «Laddove alla signora Suu Kyi, a seguito della nuova pena inflittale, fosse impedita la partecipazione al processo elettorale previsto per il 2010», ha affermato a sua volta il ministro degli Esteri, Franco Frattini, «ritengo che ciò costituirebbe una gravissima lesione ai principi della democrazia». Il primo ministro inglese Gordon Brown si è detto «costernato e in collera» per l’ennesima condanna al premio Nobel. Insieme alla reazione di Brown è giunto anche un appello del governo della Malaysia per una riunione d’urgenza dell’Associazione dei Paesi del sud est asiatico, Asean.
* CORRIERE DELLA SERA, 11 agosto 2009 (ultima modifica: 12 agosto 2009)