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Pianeta Terra. "Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere" (Michel Serres: Distacco, 1986)

ITALIA: GIORNO DELLA MEMORIA (LEGGE 211, 20 LUGLIO 2000). LAGER DI WIETZENDORF, 1944. Basilica di S. Ambrogio, Natale 2000: il Presepio degli Internati Militari Italiani. In memoria di Enzo Paci e a onore del Cardinale Martini. Una nota del prof. Federico La Sala

lunedì 8 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Uscire dai cerchi di filo spinato che delimitano dappertutto il nostro presente storico è la scommessa. Come fecero i militari italiani internati nel lager tedesco di Wietzendorf (cfr. il Presepio del lager - Natale 1944, ricostruito nella Basilica di sant’Ambrogio, a Milano, nel Natale 2000) e fece Enzo Paci, anch’egli in un[nello stesso, fls] lager tedesco nel 1944 (cfr. Nicodemo o della nascita, in Della Terra..., cit., pp. 120-125), oggi non possiamo che riaprire la mente e il (...)

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>GIORNO DELLA MEMORIA (LEGGE 211, 20 LUGLIO 2000). LAGER DI WIETZENDORF, 1944. --- IN MEMORIA DI GIOVANNINO GUARESCHI (di G.A. Ferrari - E nell’Aula irruppe lo Spirito Santo)

giovedì 3 ottobre 2013

E nell’Aula irruppe lo Spirito Santo

di Gian Arturo Ferrari (Corriere, 03.10.2013)

E così alla fine lo Spirito Santo si è poi deciso a scendere nell’aula tutt’altro che sorda e grigia (ma quella era Montecitorio...), bensì rutilante di rosso e oro, del Senato. Ma che cosa c’entra lo Spirito Santo, si chiederà il lettore? C’entra, c’entra. Perché è stato evocato - prudentemente, cautamente, copertamente, cioè indirettamente e obliquamente - da Enrico Letta. Il quale nel suo discorso di cui adesso, a cose fatte, si possono apprezzare le asciutte eleganze, ma che deve essere stato pronunciato con la bocca secca, ha inserito una nobile e severa citazione di Benedetto Croce.

«Ciascuno di noi - disse Croce alla Costituente l’11 marzo 1947 e ha ripetuto Letta - si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non prepararsi, col suo voto poco meditato, un pungente e vergognoso rimorso». Una frase da etica protestante, che riecheggia la lapide posta nell’Abbazia di Westminster di fronte alle tombe delle sorelle regine, Maria (cattolica) ed Elisabetta (anglicana), dove si auspica che «vengano qui ricordati tutti coloro che nell’età della Riforma diedero la vita per amore di Cristo e di fronte alla propria coscienza».

Un richiamo alla coscienza, specie se profonda, non abituale nella nostra cultura e nel nostro costume. Quest’aria più fina (Letta aveva iniziato citando un altro padre della patria, Luigi Einaudi) deve aver colto un po’ di sorpresa i senatori e fatto correre un brivido nelle loro menti. Che così spronate hanno cercato di mostrarsi all’altezza, rispolverando antichi soprammobili ovvero cercando di far fuoco con la legna che avevano sottomano. E dunque il senatore D’Anna ha riagguantato un Voltaire (non dei più incisivi, per la verità): «quando i diritti di un uomo sono minacciati, sono in pericolo i diritti di tutti», l’uomo essendo naturalmente Berlusconi.

Il medesimo Berlusconi, in anticipo sul discorso di Letta, aveva fatto ricorso, nell’intervista di Panorama, a Giovannino Guareschi e al suo bellissimo «non muoio neanche se mi ammazzano». Ma scambiando la prigionia nazista con la molto successiva condanna penale per diffamazione, aveva destato le ire dell’Anrp, Associazione nazionale reduci dalla prigionia, e del suo presidente, Enzo Orlanducci, dato che la frase di Guareschi è il motto dei militari italiani internati in Germania per non aver voluto aderire a Salò. I quali internati non gradiscono che il loro motto venga fatto proprio da chi è stato condannato per evasione fiscale.

Da ultimo l’ineffabile senatore Scilipoti, dicendosi intenzionato a seguire ad oltranza Enrico Letta, ha concluso trionfalmente «Insomma, per dirla con una citazione della Primavera di Praga, “continuons le combat”». Incurante del fatto, ma qui la lingua avrebbe dovuto insospettirlo,che il «continuons le combat» (continuiamo la lotta), preceduto dal canonico «ce n’est qu’ un debut» (non è che l’inizio), costituisce non uno qualsiasi, ma «il» motto per eccellenza del Maggio francese e nulla ha a che vedere né con Praga né con la sua primavera. Per non dire che si fa un po’ fatica a immaginare il medesimo Scilipoti, ma se è per questo anche Enrico Letta, nei panni di un sessantottino o di un giovane praghese di fronte ai carri armati.

Per tornare o meglio per venire allo Spirito Santo, il saggio Letta nella sua citazione del discorso di Croce che risale al 1947 ha omesso il seguito. Che suona così: «Io vorrei chiudere questo mio discorso, con licenza degli amici democristiani dei quali non intendo usurpare le parti, raccogliendo tutti quanti qui siamo a intonare le parole dell’inno sublime: “Veni, creator spiritus, mentes tuorum visita, accende lumen sensibus, infunde amorem cordibus”. Soprattutto a questi: ai cuori». E proprio in cuor suo, senza dirlo, Enrico Letta deve aver sperato che lo Spirito Santo visitasse quelle menti. È stato accontentato, ma oltre ogni più rosea aspettativa. Lo Spirito Santo, tenuto come una carta coperta dentro la citazione di Croce, ha dato prova della sua potenza esplosiva. Non conosce mezze misure. Li ha illuminati tutti, anche Berlusconi. Troppa grazia.


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