Ebrei, politici e soldati: gli italiani nei lager
In una mostra al Vittoriano il racconto, settant’anni dopo, della liberazione dei campi di sterminio nazisti
di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 23.01.2015)
ROMA «Il senso di questa mostra è chiarire che la liberazione dei campi non fu, come si crede, un momento felice». Lo storico Marcello Pezzetti, direttore della Fondazione Museo della Shoah, schiaccia un tasto e le immagini mostrano dei movimenti incerti sotto un cumulo di cadaveri, gambe che si ritraggono, dita che s’aggrappano al terreno, «negli ultimi giorni i nazisti avevano ricavato pure degli Sterbelager, depositi di moribondi», i giovani ricercatori dello staff le avranno viste infinite volte eppure anche loro, tutt’intorno, hanno un moto di orrore e pietà. Hanno setacciato per mesi campi e sottocampi del sistema di sterminio per aggiornare i dati e recuperare documenti, oggetti, immagini inedite o rarissime, tra i filmati degli Alleati ci sono anche quelli girati da Hitchcock.
Martedì, settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, verrà inaugurata al Vittoriano di Roma la grande mostra su «La liberazione dei campi nazisti». Un racconto senza precedenti della drammatica Endphase decisa dai nazisti accerchiati fin dall’estate del 1944, mentre da Ovest e da Est avanzano Alleati e russi. Tra le «marce della morte» da un campo all’altro e gli ultimi massacri, in poche settimane morirono più di trecentomila dei settecentomila prigionieri rimasti.
Il 27 gennaio 1945 i sovietici liberano Auschwitz-Birkenau ed è diventata la data simbolo, il Giorno della Memoria. Ma l’«ultima fase» ha un prologo già nella notte tra il 22 e il 23 luglio 1944, a quattro chilometri da Lublino, quando l’Armata Rossa entra nel lager di Majdanek. E prosegue con le liberazioni di Groß-Rosen (sempre ad opera dei sovietici, 13 febbraio), Stutthof (sovietici, 9 maggio, ma l’evacuazione era iniziata a gennaio), Mittelbau-Dora e Buchenwald (americani, 11 aprile), Bergen-Belsen (inglesi, 15 aprile), Flossenbürg (americani, 23 aprile), Sachsenhausen (sovietici, 22-23 aprile), Dachau (americani, 29 aprile), Ravensbrück (sovietici, 30 aprile), Neuengamme (inglesi, 2 maggio) e Mauthausen (americani, 5 maggio).
È il compimento della Shoah e insieme una svolta. Campo per campo, al Vittoriano viene elencata in particolare la sorte degli italiani: gli ebrei ma anche i «politici» - antifascisti, persone che si erano rifiutate di aderire a Salò - e gli internati militari. Dopo Auschwitz, si moltiplicano le marce forzate dei prigionieri. «All’interno dei lager cominciano a cadere le motivazioni razziali», spiega Pezzetti. «Il criterio di selezione dei nazisti comincia a diventare tra abili e non abili al lavoro. Anche un “politico” può essere selezionato per il gas. Ebrei e non ebrei si trovano a morire assieme».
Da Berlino non arrivano più direttive chiare, Himmler si contraddice, prendono potere i capi locali. Tra le cose più notevoli della mostra, la grande mappa animata che rappresenta l’avanzata dei fronti e le evacuazioni progressive dei campi. Ci sono foto scattate da tedeschi che da casa vedevano passare le colonne di prigionieri. Una donna con la sua bambina riesce a saltare giù da un treno. È l’impazzimento finale.
A Stutthof un vagone ferroviario viene adattato a camera a gas, tremila ebrei vengono portati su una spiaggia del Mar Baltico e lì massacrati da SS, Hitlerjugend e popolazione. A Gardelegen, il 14 aprile, gli americani scoprono un capannone con più di mille prigionieri bruciati vivi dai nazisti il giorno prima.
Denutrizione e malattie fanno il resto: solo a Bergen-Belsen cinquemila persone muoiono nei dieci giorni dopo la liberazione. Tra i documenti, la prima lettera che Primo Levi manda da Katowice a casa, il 6 giugno 1945: «Come i pochi compagni italiani superstiti, io sono vivo per miracolo».