Il genetista Cavalli-Sforza racconta i meccanismi che hanno scandito il progresso
dell’Homo sapiens. L’appuntamento al Festival della Mente
L’evoluzione culturale batte quella biologica
Così la specie umana ha conquistato il pianeta
di Luigi Luca Cavalli-Sforza (Corriere della Sera, 29.8.2009)
Che l’uomo sia un animale, non vi sono dubbi. Che abbia alcune caratteristiche diverse dagli altri animali, è chiaro. Ma se ci avviciniamo al problema con il solo aiuto dell’osservazione e del ragionamento, cioè scientificamente, quali sono queste caratteristiche? Vi sono naturalmente differenze biologiche tra l’uomo e gli animali, anche quelli più vicini a noi.
Sappiamo che le differenze biologiche tra individui e tra specie stanno nel programma che serve a un individuo per costruire se stesso. Sappiamo che questo programma è scritto nel Dna e l’eredità biologica è resa possibile dalla copiatura, a ogni generazione, del Dna di ogni individuo per passare il Dna copiato a un figlio, che la usa come modello per costruire se stesso, ma anche per farne copie per i suoi discendenti e così via. Ma sappiamo che in ogni processo di copiatura possono avvenire errori e gli errori di copiatura del Dna sono trasmissibili, perché i figli costruiscono se stessi e poi copiano il modello che hanno ricevuto, per passare il programma ai loro figli (introducendo nuovi errori).
Gli errori di copiatura sono chiamati mutazioni genetiche e sono responsabili dei cambiamenti ereditari. Più spesso questi cambiamenti sono in peggio, perché gli errori di copiatura del Dna sono casuali e possono recare danno anche fatale in un organismo delicato e complesso come quello di un vivente. Ma qualcuno può essere benefico, ad esempio vi è sempre una possibilità che uno di essi porti una maggior capacità di resistere a una delle tante cause di malattie, magari molto diffuse come è, e anche da noi era, la tubercolosi.
Se il portatore della mutazione è resistente, così potranno essere i suoi figli che portano il Dna copiato e lo trasmettono e il tipo mutato aumenterà automaticamente di frequenza nelle generazioni successive. Questo è un esempio di quella che Darwin ha chiamato selezione naturale. Ma specie in organismi lenti come noi, che impieghiamo trent’anni a riprodurci, in media, e formiamo coppie che hanno solo pochi figli, possono essere necessarie migliaia di anni, magari anche molti di più perché una popolazione in cui è avvenuta una mutazione in un individuo divenga interamente del tipo mutato.
Archeologia e genetica ci hanno mostrato che la nostra separazione dalla scimmia più vicina a noi vivente oggi, lo scimpanzé, cominciò circa sei milioni di anni fa in Africa. I nostri più vecchi antenati scesero dagli alberi e svilupparono la capacità di correre sulle gambe e liberare le mani, cominciando a usarle per fabbricare strumenti: i primi oggi riconosciuti hanno tre milioni di anni. Gli strumenti furono perfezionati al punto che un po’ meno di due milioni di anni fa l’uomo cominciò a espandersi, dall’Africa all’Asia e all’Europa, probabilmente anche grazie all’aiuto dell’uso del fuoco. La testa dell’uomo e con essa il cervello cominciarono a crescere di volume molto presto e l’aumento continuò fino a portare il volume del cervello a quattro volte il valore iniziale, che invece nello scimpanzé e in altri primati rimase invariato.
Una delle cause più importanti nell’aumento del cervello fu l’acquisizione del linguaggio, cioè la capacità di articolare i suoni in modo da scambiarci facilmente idee e informazioni. Aumentò così molto la velocità di quella che chiamiamo evoluzione culturale, cioè l’accumulo di nuove conoscenze. Anche gli animali hanno evoluzione culturale, ma molto meno intensa e meno facilmente trasmessa agli altri che nella nostra specie. Le novità culturali sono nuove idee: invenzioni, scoperte, innovazioni, molte della quali hanno lo scopo di migliorare le condizioni di vita. Le novità culturali non sono cambiamenti del Dna; a differenza di essi possono trasmettersi a un largo numero di individui nel corso di una generazione e con i moderni mezzi di comunicazione in tempi brevissimi. Inoltre, mentre le novità genetiche, cioè le mutazioni sono casuali, quelle culturali sono dirette a scopi precisi, di solito benefici.
L’evoluzione biologica ha quindi perduto molta importanza nella nostra specie, perché quella culturale soddisfa le nostre necessità assai più presto. Anche per questo, troviamo che le differenze genetiche fra le popolazioni umane viventi oggi sono modeste. Oggi siamo sei miliardi; poco più di 55 mila anni fa eravamo una piccola tribù africana di forse mille o duemila individui, ma tutti i suoi membri avevano un linguaggio sviluppato come quelli esistenti oggi. Tutti vivevano di caccia, pesca, raccolta di vegetali, cioè di cibo naturale.
In un tempo breve si sparsero in tutto il mondo, comprese America e Oceania, raggiungendo circa 10 mila anni fa la saturazione demografica permessa dalle risorse locali, che furono sufficienti per arrivare a un numero di abitanti del mondo stimato fra uno e 15 milioni. Ma cominciò allora, in diverse parti del mondo, la produzione del cibo mediante la coltura di vegetali e l’addomesticamento di animali e permise una nuova crescita demografica fino ai sei miliardi di oggi, un aumento di circa mille volte negli ultimi 10 mila anni.
La selezione naturale continua a essere importante, ma è ora largamente diretta dalle novità prodotte dall’evoluzione culturale assai più che da quella biologica. Per darne un semplice esempio: quando 30 mila anni fa i nostri antenati popolarono la Siberia, non ebbero bisogno di attendere la comparsa di mutazioni che permettessero la crescita di una fitta pelosità o altri meccanismi biologici di difesa dal freddo. Quella pelosità che avevamo in comune con le scimmie, da cui siamo separati da almeno sei milioni di anni, era scomparsa da tempo, forse per i pericoli cui è esposto un animale peloso che vive vicino al fuoco (anch’essa una selezione naturale indotta da un’innovazione). Per popolare la Siberia si vestirono di pelli di animali cucite con ago e filo e costruirono case molto resistenti al freddo, tutti prodotti di invenzioni utili. In questi e molti altri modi il numero di appartenenti alla nostra specie è aumentato in modo enorme e questo è il grande successo di selezione naturale che dobbiamo largamente all’evoluzione della cultura, ma l’evoluzione biologica ha avuto poco tempo per agire e quella culturale ha sopperito largamente alle necessità di adattamento ad ambienti diversi.