Lazzaro e la croce dei sopravvissuti
di GOFFREDO FOFI (Avvenire, 26.01.2008)
Nel 1955 lo scrittore Jean Cayrol, che era stato prigioniero dal 1942 al 1945, arrestato trentenne dalla Gestapo come membro della Resistenza, nel lager di Mauthausen con il triangolo rosso dei politici, ci divenne noto come autore del testo di un film documentario che ci sconvolse, Notte e nebbia di Alain Resnais. L’«operazione Notte e Nebbia», in tedesco Nacht und Nebel, abbreviata NN, fu quella, così battezzata dai nazisti, della deportazione e di milioni di persone, ebrei, resistenti, zingari, omosessuali...
Jean Cayrol, scomparso nei primi giorni di febbraio di due anni fa, ebbe anche lui la vita segnata dall’esperienza concentrazionaria e in questi giorni la sua figura è al centro di un grande convegno organizzato dall’Università Roma 3 e dal Centro studi italo-francesi, che si chiude domani in occasione della Giornata della memoria («Jean Cayrol. Dalla Notte e dalla Nebbia»).
La sua attività di saggista, poeta e romanziere, e in quanto dirigente delle Editions du Seuil di personaggio autorevole e influente nella storia della cultura francese dagli anni del dopoguerra in avanti, non poteva che tornare più e più volte su quel vissuto, sul suo ’estremismo’ e sul modo in cui questo aveva modificato la sua prospettiva su tutto: della vita, della società, della comprensione e della reazione al mondo. Per sé ma anche per gli altri.
È singolare (ed è imperdonabile) che un testo di eccezionale importanza come il suo saggio Lazare parmi nous, del 1950, elaborazione di un articolo apparso su ’Esprit’ un anno prima con il titolo D’un romanesque concentrationnaire, venga tradotto solo ora in Italia, grazie a Marco Dotti e alla casa editrice Medusa, con il titolo di Il ritorno di Lazzaro. È singolare (e imperdonabile), perché esso è di un’intensità teorica sconvolgente, e però a suo modo luminosa anzi incandescente. Esso è in qualche modo una risposta alla domanda di Celan, che fu tra l’altro il traduttore in tedesco del commento per Notte e nebbia (e più tardi di Sartre) se fosse possibile ancora scrivere e poetare dopo Auschwitz, ma Cayrol non si domanda se si può scrivere, e si sofferma piuttosto su come sarà possibile al sopravvissuto di scrivere, sul «romanzesco concentrazionario» dei Lazzari tornati vivi dai campi della morte.
«Scrittore deportato» e non deportato diventato scrittore dopo il ritorno alla vita, come Dotti precisa, Cayrol parla di «un’arte che già, forse, ha trovato il suo primo indagatore e il suo primo storico nell’inquieto Albert Camus». Quest’arte può solo descrivere «la più strana delle solitudini» che possa capitare a un uomo di sopportare, la scomparsa dell’erotismo dalla vita vera, il vedere in ognuno la folla e il plurale e non più il singolo, la differenza di quel che si sogna rispetto a ogni interpretazione precedente, lo sdoppiamento di chi si guarda come si guarda a un morto, e lo sguardo portato sugli altri da lontano, come dal mondo dei morti...
Cayrol dice che «in ogni invenzione letteraria, si arriva dunque a un’impenetrabilità degli esseri che si evolveranno in un mondo infinitamente diviso. Si arriva anche a un’incomunicabilità fra interlocutori, da qui l’abuso del monologo, la ricerca di frasi lapidarie, d’inscrizioni bibliche. L’eroe non ama che gli si risponda. Basta a se stesso, desidera lasciare in sospeso la domanda. Non teme il mutismo e talvolta noterà, con una certa soddisfazione, il crescente malessere dell’altro. Siccome ogni parola, un giorno, gli è stata vietata, si è disabituato al meraviglioso movimento delle labbra, al colore del parlato, al verbo fatto carne», e a tratti ci è impossibile non pensare a certe opere di Primo Levi. «Insomma, l’eroe lazzariano non è mai là dove si trova. Deve compiere un immenso lavoro di riflessione, pensare senza sosta che si trova là e non altrove, che ha vissuto un mondo che non si trovava da nessuna parte e le cui frontiere non sono segnate, perché sono le frontiere della morte».
«Un uomo così ha un bisogno folle di amore», conclude Cayrol, e il secondo saggio raccolto in questo libro, Attesa, appena più rasserenato e disteso, parla infatti della speranza, di come sia difficile ma anche di come possa essere possibile passare «dal Venerdì Santo alla Pasqua». Cayrol trova nel cristianesimo la sua soluzione, e lo dice a piena voce, rivendicando una sorta di umanesimo essenziale e primario, che è bensì tragicamente condizionato dal fatto che «la speranza chiede uomini infinitamente riconciliati, uomini che non risistemano i bagagli ogni giorno per preparare una nuova fuga».
Questo volume ha un ultimo dono da offrire al lettore, un piccolo gruppo di poesie scritte da Cayrol prigioniero: «Ecco venire il tempo delle libertà insanguinate»... «Pensiamo a quelli che sono morti / cantando con la bocca chiusa»... Di Jean Cayrol vorrei anche ricordare che per Alain Resnais fu autore della sceneggiatura di un film bellissimo, Muriel o il tempo di un ritorno (1963). Vi si parlava pur sempre di Lazzaro, ma stavolta il ritorno era dalla guerra d’Algeria.
Jean Cayrol
IL RITORNO DI LAZZARO
Medusa. Pagine 88. Euro 11,00