MARCIA DEL SALE, CON GANDHI 80 ANNI DOPO
di MARCO RONCALLI (Avvenire, 11.03.2010)
Giornata da non dimenticare, e non solo per la storia dell’India, il 12 marzo di ottant’anni fa. Informato il viceré di quanto voleva fare, Gandhi, che da tempo come leader del Partito del congresso si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico e che già nel 1919 e nel 1921 aveva lanciato due grandi campagne «satyagraha» (non violenza), dava inizio alla sua più grande azione resistente non violenta: la Marcia del sale.
Si trattò di uno dei grandi eventi del XX secolo, forse la mobilitazione più unificante del Paese, dopo che Bapu (il Padre) aveva individuato nell’obbligo di pagare alla Corona la tassa sul sale - percepita come ingiusta da tutti e nefasta per le classi più povere - il simbolo della dipendenza coloniale. Una scelta che metteva in scena e sotto i riflettori mediatici la rivendicazione di indipendenza del suo Paese legandosi a un prodotto di prima necessità, per di più locale.
Lasciato il suo «ashram» (eremo) nei pressi di Ahmedabad, insieme ad un’ottantina di amici e alcuni giornalisti, marciò per 24 giorni arrivando la mattina del 6 aprile a Dandi, sull’Oceano Indiano, nello stato del Gujarat. Percorse così 241 chilometri. Proprio come le 241 stilografiche a oltre ventimila euro l’una - serie limitata con l’immagine del Mahatma in cammino - che la Montblanc giorni fa ha ritirato dal commercio, dopo le accuse di distruggere il simbolo della quintessenza della semplicità. Ma torniamo al traguardo della marcia che lungo la strada aveva visto crescere a dismisura gli accompagnatori.
Giunto a destinazione, Gandhi avanzava nell’acqua e raccoglieva nelle sue mani alcuni cristalli di sale con un gesto presto emulato da migliaia e migliaia di persone che, nonostante le percosse a colpi di bambù piombato, non cessavano la loro protesta, ma senza rispondere alla violenza. Un atteggiamento disarmato e disarmante subito ripetuto in tante regioni dove gli indiani facevano evaporare l’acqua marina raccogliendone il sale sotto gli occhi degli inglesi prima esitanti e poi pronti ad arrestare Gandhi e con lui 60 mila pacifici disobbedienti.
Nei fatti però da allora la nonviolenza dei «satyagrahi» divenne un problema non più controllabile dalla Corona. «Sembrava fosse scattata improvvisamente una molla in tutto il Paese», disse Nehru, scusandosi di avere messo in discussione l’efficacia della scelta gandhiana. Invece funzionò. Più del boicottaggio delle merci inglesi, dei digiuni, dell’isolamento dei funzionari britannici. Stringendo quei cristalli di sale sulla spiaggia, Gandhi non diede avvio solo alla successiva abolizione dell’impopolare gabella.
In realtà, con questa marcia - come ha scritto Lanza del Vasto - «il Popolo e il suo Capo ebbero la prova tangibile della loro irresistibile forza allorché un anelito unanime li muoveva, e la prova che, oggi, domani, e sempre non avrebbero avuto bisogno di nessun altra forza e di nessun altra arma, ma solo di quel soffio. Di conseguenza, Gandhi considerò l’indipendenza dell’India come cosa fatta».
E se è vero che questa sarebbe stata definitivamente conquistata anni dopo (anche a prezzo di una guerra religiosa, di una scissione fra India e Pakistan, del sacrificio della Grande anima), la Marcia del sale avrebbe costituito da allora in poi un modello per tante future proteste: dalle marce per i diritti dei neri americani, guidate da Martin Luther King, a quelle che ricominciamo a vedere anche in casa nostra.