Testimoni del nostro tempo
Gandhi in Vaticano
di Giancarlo Zizola, Il Sole 24 Ore, domenica 3 febbraio 2008
(Ringrazio l’Autore, che mi ha fornito il testo originale dell’articolo. Gran parte di queste notizie sono tratte dal libro informatissimo di Gianni Sofri, Gandhi in Italia, Il Mulino 1988, pp. 156. Salvo mio errore, non ricordo di aver letto nel libro di Sofri il richiamo agli articoli della Civiltà Cattolica qui riferiti da Zizola. ). Enrico Peyretti, 4 febbraio 2008
Il 13 dicembre 1931 Gandhi arriva a Roma, reduce dalla II Conferenza della Tavola Rotonda a Londra. La riunione si è risolta in un nuovo fallimento per le divisioni del movimento nazionale indiano, abilmente sfruttate dal governo per rinviare ogni decisione sul programma di partnership tra India e Inghilterra proposto da Gandhi. Winston Churchill si è rifiutato di riceverlo e la stampa britannica lo classifica “il fachiro nudo”. Lui ha preferito cogliere nelle manifestazioni d’onore di cui è circondato in Europa il segno dell’attrazione di un messaggio, come il suo, che fa leva sulla forza intrinseca della verità, sulla soglia dei totalitarismi in Europa.
Le accoglienze popolari, ma anche di scrittori, filosofi, politologi londinesi gli hanno fatto balenare la speranza di un avvicinamento del mondo cristiano a questi ideali. Per questo gli sembra plausibile progettare un incontro con Pio XI. Ha a disposizione solo tre giorni per la tappa romana, dovendo poi imbarcarsi a Brindisi per l’India e rende noto alle autorità vaticane il suo desiderio. Si presenta l’opportunità di un incontro unico fra la Chiesa romana e il movimento della Nonviolenza. Gandhi è incoraggiato dall’articolo pubblicato nella prima pagina dell’ “Osservatore Romano” del 27 novembre, intitolato Come Gandhi parla di Dio. A firma di “X”, il giornale vaticano ha commentato con sorprendente calore la sua conferenza alla Columbia Grammophone Company e ha rintracciato nel suo linguaggio“reminiscenze di Aristotele e di S. Tommaso” augurandosi che “la voce di Cristo riesca a farsi ascoltare anche da quest’uomo eccezionale, che mostra tanto amore per la verità che rende liberi”.
Tuttavia Gandhi aveva incontrato da tempo la figura di Gesù. Sulla parete di fango della sua capanna era appesa una stampa in bianco e nero con la figura del Cristo e la scritta: “Egli è la nostra pace”. Leggendo il Nuovo Testamento egli era stato rapito dal Sermone della Montagna: “E’ il Sermone che mi ha fatto amare Gesù. Leggendo tutta la storia della sua vita in questa luce, mi sembra che il cristianesimo resti ancora da realizzare. Fintanto che non avremo sradicato la violenza dalla nostra civilizzazione, il Cristo non sarà ancora nato. E’ il Sermone della Montagna che mi ha rivelato il valore della resistenza passiva. Io fui colmo di gioia leggendo: ‘Amate i vostri nemici,pregate per coloro che vi perseguitano’ ”.
“Voglio vedere il papa, mi ha mandato un buon messaggio” ha confidato Gandhi a Romain Rolland, patriarca del pacifismo europeo e suo biografo, di cui è stato ospite a Villeneuve, in Svizzera, tornando da Londra.. “Se lo vedo, potrò trattare meglio con gli indiani cattolici romani; e vedrei volentieri il loro capo, come vedo i capi musulmani”. In una riunione a Losanna Gandhi ha affermato che prima pensava che “Dio è verità”, ora invece era convinto che “la verità è Dio”. Egli ha confermato di sentirsi attirato dalla figura di Gesù Cristo, ma di essere frenato dal cristianesimo così come è stato distorto dalla mente greca di Paolo e riciclato dalla cristianità in Occidente. Un giorno ha chiesto: “Come può essere fraterno chi crede di possedere la verità assoluta?”. Aveva esposto questa convinzione in un discorso all’YMCA di Colombo nell’isola di Ceylon nel 1927: “Se dovessi considerare soltanto il Sermone della Montagna e l’interpretazione che io ne do - aveva detto - non esiterei ad affermare che sono cristiano. Ma purtroppo bisogna ammettere che molto di quanto viene spacciato per cristianesimo è una negazione del Sermone della Montagna”.
La richiesta di udienza non viene accolta dal Vaticano, che comunica che Pio XI è oberato di impegni in quei giorni e che potrebbe ricevere il Mahatma solo dopo qualche tempo. Secondo i rapporti della polizia fascista il rifiuto vaticano potrebbe esser dipeso da banali questioni di abbigliamento, perché Gandhi “non voleva assoggettarsi ad un vestimento più decente”. Mussolini, lui, ha trovato bene il tempo per riceverlo a Palazzo Venezia. Altra spiegazione è che il papa temesse, ricevendo il “ribelle”, di fare uno sgarbo all’Inghilterra, dove conserva amici nella Chiesa anglicana, teologi e intellettuali fin dai tempi del suo lavoro alla Bodleian Library. Una terza ipotesi sarà formulata alcuni anni dopo da Jawaharial Nehru: il rifiuto sarebbe stato motivato dal fatto che “la Chiesa cattolica non approva i santi o i mahatma al di fuori della propria circoscrizione” e poiché alcuni ecclesiastici protestanti avevano definito Gandhi un grande religioso e un vero cristiano, “per Roma era diventato assolutamente necessario distinguersi da questa eresia”.
Se non può vedere il papa, almeno riesce a visitare coi segretari i Musei Vaticani, fuori orario, per uno strappo concessogli in segno di cortesia. Mahadev Desai, uno del seguito, riferirà che ad attirare specialmente Gandhi non sono i tesori d’arte, ma il grande Crocifisso del XV secolo che sovrasta l’altare della Cappella Sistina. Così avviene che la porta chiusa dalla realpolitik vaticana apra al profeta della nonviolenza l’incontro con la figura del Cristo in croce, nel cuore del Vaticano ed è questo Cristo che lo emoziona nel profondo. Per molti minuti Gandhi rimane a contemplare il grande Crocifisso,gli si avvicina, lo osserva da sinistra, poi da destra, quindi da dietro, sempre più rapito e commosso; torna sui propri passi, gli gira intorno più volte, come per eseguire il rito indiano della circumambulazione di un oggetto di culto: “Non si può fare a meno di commuoversi fino alle lacrime” è il suo commento immediato. Tornerà più volte a ricordare la commozione provata allora, fino al pianto, di fronte alla rappresentazione di un Uomo che aveva saputo morire sulla croce per la salvezza dell’umanità.
I biografi di Gandhi, sia in Europa che in Asia, concordano nell’affermare che il soggiorno a Roma lo fece diventare ancora più critico verso l’Occidente e ancora più convinto che non v’era altra soluzione per combattere i regimi totalitari al di fuori della nonviolenza. Egli considerava il fascismo, la guerra, i delitti e la corruzione come altrettante dimostrazioni del trionfo della violenza occidentale sulla morale cristiana e sentiva pertanto che la violenza non poteva curare i mali che essa stessa aveva procurato.
Meno di due mesi dopo la mancata udienza, “La Civiltà Cattolica” dedica al leader pacifista due ampi articoli nei quaderni del 6 e 20 febbraio 1932, senza firma, sigillo di autorevolezza istituzionale. Si possono cogliere qui i motivi per i quali non si era considerata matura né opportuna l’udienza papale. Nel primo, si raccolgono i principali elementi della biografia e della teoria denominata Satyagraha (cioè fermezza della verità) dell’“agitatore nazionalista indiano”, la cui assimilazione a San Francesco anche da parte di cattolici è vista come una “deplorabile profanazione”, mentre si critica come nefasto il suo programma di por fine al dominio britannico.
Il secondo articolo critica l’universalismo religioso gandhiano, attribuendogli la mira di induizzare il cristianesimo per renderlo subalterno al suo programma nazionalista, o al meglio per diluire il senso cristiano nel mare dell’indifferentismo sincretista. Gli si addebita di essere “infatuato dell’umanitarismo pseudocristiano di Tolstoi”. Lo si paragona a Machiavelli, benché gli si conceda la buona fede di lottare per un ideale di giustizia per il suo popolo.
Dovranno passare trentasette anni per poter leggere,nella stessa “Civiltà Cattolica” (I,1969), un saggio, Gandhi e la nonviolenza, in cui si riconosce che “molte sue concezioni e metodi sono diffusi in tutto il mondo, entrando a far parte del retaggio dell’uomo moderno, del quale ispirano la lotta per la liberazione umana”, e hanno consentito di “conquistare per il popolo dell’India l’indipendenza da una delle più potenti nazioni imperialiste della storia”. Ad essere apprezzato è il fatto che “per tutta la vita il Mahatma restò un grande ricercatore della verità, perché credeva fermamente che la verità è inattaccabile ed inespugnabile”: “E’ strano - è la conclusione - che, mentre nazioni cristiane ricorrono alla violenza per conseguire i loro scopi, e cercano di giustificare la violenza, abbia dovuto essere un indù, fedele e convinto, a scoprire il legame tra verità e nonviolenza per realizzare il cambiamento sociale”.