[...] Noi viviamo nell’ambito della tradizione giudaico-cristiana e non sappiamo affrontare la morte se non affidandoci a speranze ultraterrene. Abbiamo un concetto molto alto di noi, meritevoli di immortalità. Ma questa credenza è rivelatrice di una verità o di uno spropositato amore di sé? Perché, nel secondo caso, forse varrebbe la pena di consegnarci con largo anticipo al nostro limite, seguendo la saggezza greca là dove insegna: "Chi conosce il suo limite non teme il destino" [...] (...)

Non ho cognizioni sufficienti sulla dottrina morale di Socrate e non ostante l’educazione cristiana ne ho poche e personali su quella di Cristo. Entrambe forse troppo distanti dalla comprensione persino di quanti furono loro più vicini: l’invito a fuggire dei discepoli di Socrate, la spada di Pietro e la sua abiura. Eppure provo a dare una mia lettura, Socrate era sereno per aver completato il suo ciclo, Cristo forse sentiva di non essere riuscito a comunicare il suo insegnamento (ove fosse dato per certa la sua precognizione della morte imminente nel Getsemani).