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Il magistero della Legge dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti non è quello di "Mammona" ("Deus caritas est", 2006)!

EUROPA: EDUCAZIONE SESSUALE ED EDUCAZIONE CIVICA. ITALIA "NON CLASSIFICATA"!!! Per aggiornamento, un consiglio di Freud del 1907 - con una nota introduttiva di Federico La Sala

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domenica 9 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
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E COME ‘NASCONO’ I GENITORI?!
Una nota introduttiva alla
“Istruzione sessuale dei bambini” (1907)
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di Federico La Sala *
Quali discorsi si fanno nella stanza dei bambini? Ma quali discorsi si fanno nella camera dei genitori e, ancor di più, in (...)

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> EUROPA --- IL BAMBINO E IL DESIDERIO DI APPRENDERE.«Il desiderio di sapere è una delle facce del desiderio di vivere. Gli adulti devono imparare a non ostacolare questo moto spontaneo». Parla Martine Menes (di Roberto Arduini - Nati per imparare).

venerdì 18 gennaio 2013

Nati per imparare

I bambini sono predisposti all’apprendimento

Parla la psicoanalista Martine Menes: «Il desiderio di sapere è una delle facce del desiderio di vivere. Gli adulti devono imparare a non ostacolare questo moto spontaneo»

di Roberto Arduini (l’Unità, 18.01.2013)

RARAMENTE IL PROBLEMA DEL FALLIMENTO SCOLASTICO È COLLOCATO ALLA SUA ORIGINE: CIÒ CHE NEL BAMBINO RENDE POSSIBILE L’APPRENDIMENTO, CIOÈ IL SUO DESIDERIO DI APPRENDERE. MA COME NASCE E SI SVILUPPA QUESTO DESIDERIO? Dai primi studi sulla psicoanalisi infantile si aprono oggi nuove esigenze, soprattutto quella di «aggiornare» la risposta che Freud ha dato a partire da ciò che l’esperienza clinica metteva in luce nel contesto culturale della sua epoca.

Conviene, tuttavia, porre nuovamente la questione in un mondo in cui le trasformazioni dei legami e delle regole che li definiscono, sconvolgendo in particolare le condizioni di nascita ed educazione, vanno così veloci e sono così radicali che non ci si può non domandare se e come il sistema descritto da Freud sia sempre attuale per leggere una realtà in cambiamento. Nel momento in cui la pedagogia si ripiega su se stessa cercando di spiegare tutto con la mancanza delle conoscenze, quando non chiama in causa le deficienze organiche o genetiche, Martine Menes apre una strada di particolare interesse nel dibattito sull’assistenza ai bambini con disturbi nell’apprendimento.

Psicoanalista francese, membro della Scuola di Psicoanalisi dei Forum del Campo lacaniano, insegna al Collegio Clinico di Roma e di Parigi. È in Italia per presentare, oggi a Roma alle ore 18 a San Luigi dei francesi, il suo ultimo libro, Il bambino e il sapere (Edizioni du Seuil, 2012, euro 17,50), che conclude il discorso iniziato in Un trauma benefico: «La nevrosi infantile» (Edizioni Praxis del Campo lacaniano, 2011, euro 20).

«I bambini apprendono a ritmi differenti», dice in esclusiva a l’Unità. «Ma queste differenze rivelano un aspetto essenziale del rapporto al sapere: non ci sono solo le facoltà cognitive. Il loro sviluppo dipende da ciò che entra in gioco nella costruzione della personalità. Sono predisposizioni all’apprendimento che possono essere facilitate oppure ostacolate dal modo in cui il bambino si costituisce in quanto soggetto di desiderio, accede alla parola e alle relazioni all’altro. Al cuore della personalità interferisce in silenzio questo straniero familiare che si chiama inconscio».

Il desiderio di sapere esiste, quindi, fin dall’inizio in ogni bambino?

«Sì, eccetto che in situazioni estreme e patologiche (in particolare in caso di autismo); ogni bambino sente spontaneamente il desiderio di apprendere, semplicemente perché ciò è vitale per lui. Sin dalla sua uscita da quel luogo chiuso e protetto in cui vive per nove mesi, il neonato è costretto, per sopravvivere, a imparare a cogliere e utilizzare tutte le risorse disponibili nel suo ambiente per la propria crescita. D’altronde, per la psicoanalisi, il desiderio di sapere non è che una faccia del desiderio di vivere, che si può chiamare anche libido o energia vitale. Guidato naturalmente verso gli oggetti del suo sapere, il neonato impiegherà più settimane per capire che c’è dell’altro anche sul suo cammino...».

Questo altro influisce sull’accesso al sapere?

«Ci possono essere problemi quando l’altro (e per questo s’intende l’adulto che ha in carica la sua educazione) è troppo assente o troppo presente. Nel primo caso, questo è stato osservato soprattutto nei bambini in orfanotrofio, poi spostati da una famiglia ospite all’altra; la reiterazione delle separazioni e l’instabilità costringono il bambino a ricostruire ogni volta il suo mondo interno ed esterno. È qui che l’apprendimento può fare sintomo: appaiono delle difficoltà a entrare nei codici stabili della scrittura, la lettura ecc. All’altra estremità, un altro troppo ingombrante costringe il bambino a resistere per esistere. Lo vediamo soprattutto nei bambini iperattivi. Agitati, si sono costruiti una corazza e sono troppo occupati a cercare l’aria per concentrarsi. Quando i loro genitori mi descrivono l’agenda pienissima dei loro figli, chiedo loro: A che ora si annoia? Poiché fantasia, vuoto e noia sono necessari al bambino per entrare in contatto con il proprio desiderio».

In questo lungo cammino di apprendimento, ci sono dei periodi più difficili e «a rischio»?

«Sì, il desiderio di sapere può essere notoriamente ostacolato proprio da ciò che il bambino scopre. Così intorno ai 5-7 anni, nel momento in cui comincia a capire il funzionamento dell’esistenza umana, il bambino si chiede da dove viene e cosa succederà quando non sarà più qua. Prende coscienza della finitezza dei suoi genitori che finora credeva onnipotenti. Questo genera molta angoscia in alcuni bambini, che possono puntualmente prendere la posizione di non voler sapere più niente. Appaiono spesso difficoltà ad addormentarsi, o anche fobie, che mobilitano la vita psichica. Un altro periodo caotico è, ovviamente, la pubertà, in cui riemergono tutte queste questioni, con in più l’enigma dell’incontro con l’altro sesso».

Nel libro scrive che per imparare bisogna «accettare di ricevere dagli altri». Può spiegarsi meglio?

«Credo che ci troviamo in una cultura del senza limiti, in cui il bambino ignora che non è onnipotente, che non gli è accessibile tutto. Ora, per aprirsi alla conoscenza bisogna accettarsi imperfetti, mancanti. Certamente, bisogna anche sapere che ci si può riuscire, ma solamente per tappe e all’interno di un processo in cui occorrerà allo stesso tempo mettere del proprio e cooperare con gli altri».


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