Attenzione a parlare in nome della natura
Ancora oggi si contrabbandano come «naturali» posizioni del tutto soggettive
di Nuccio Ordine (Corriere della Sera, 03.01.2016)
Tra gli slogan che caratterizzano i vari «Family day» e il dibattito di questi giorni sulle unioni civili e le adozioni, campeggia anche quello a difesa della cosiddetta «famiglia naturale»: è «naturale» solo la famiglia al servizio della riproduzione, mentre qualsiasi coppia (legata da unioni «sterili») non deve essere considerata socialmente e giuridicamente una famiglia. Anche sul piano delle relazioni, c’è chi ha stabilito che è «naturale» solo l’amore eterosessuale e che, invece, debba essere considerato «contronatura» qualsiasi forma di amore tra esseri dello stesso sesso.
Bisogna leggere il prezioso volume intitolato Natura, pubblicato da il Mulino (pp. 244, e 18), per capire quanto sia pericoloso arrogarsi il diritto di parlare in nome della «Natura». Roberto Bondì e Antonello La Vergata - allievi di Paolo Rossi (1923-2012), grande storico della scienza e delle idee, a cui è dedicato il lavoro - hanno avuto il merito di mostrare come i termini «natura» e «naturale», ambigui e sfuggenti, siano stati utilizzati, nel corso dei secoli, nelle accezioni più diverse.
Dagli esordi della filosofia (i pensatori «presocratici») fino alle più recenti riflessioni sulle questioni ambientali (Vandana Shiva), il dibattito sulla natura non ha mai conosciuto pause: non sarebbe stato possibile discutere sui principi e sulle finalità, sulla creazione e sul panteismo, sulla matematizzazione e sul meccanicismo, sul vitalismo e sull’organicismo, sulla morale e sulla bellezza, sull’evoluzionismo e sull’ecologia senza ricorrere a una necessaria prospettiva interdisciplinare, in cui filosofia e teologia, estetica e etica, biologia e cosmologia, matematica e fisica interagiscono (mi verrebbe da dire «naturalmente») tra loro.
Nel volume non mancano riferimenti alle opposte personificazioni della natura: benigna e matrigna (ma sulle abusate formule scolastiche si veda ora Gaspare Polizzi, Io sono quella che tu fuggi. Leopardi e la Natura, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 144, e 7), generosa e avara, trasparente e occulta. Ne viene fuori un affascinante percorso, in cui la problematicità e la polisemia dei termini «natura» e «naturale» si pongono come un necessario invito a evitare qualsiasi tentativo di semplificazione.
Molti filosofi e studiosi della natura (si pensi, per esempio, al rogo di Giordano Bruno o alla sofferta abiura di Galileo) hanno sacrificato la libertà e la vita per difendere l’eliocentrismo, per ribadire che chi vuole conoscere la «natura» non deve ricorrere alle metafore dei libri sacri ma allo studio scientifico della natura stessa.
Quegli errori commessi nel corso della storia tornano oggi in forme diverse quando vengono contrabbandate come «naturali» posizioni (etiche, religiose, comportamentali) che sono solo soggettive. Chi parla, insomma, in nome della «natura» confonde, spesso, le proprie regole morali (che riguardano esclusivamente le scelte di una microcomunità) con ciò che dovrebbe essere da tutti riconosciuto come una oggettiva legge, indipendente dalla volontà degli uomini.