Domani, i 614 membri dell’Assemblea del Poder Popular eleggeranno
il Consiglio di Stato (31 persone) che lo nomineranno Presidente
Cuba, Raul Castro sale al potere
ma non avrà tutte le cariche
La poltrona più importante, nella complicata geografia del potere cubano
è quella del segretario del partito. Era di Fidel, a chi toccherà adesso?
di OMERO CIAI *
ROMA - Per la prima volta dalle elezioni del dicembre scorso, domani mattina si riuniranno all’Avana i 614 membri dell’Assemblea del Poder Popular, il Parlamento cubano. Non si può sostenere che questi deputati rappresentino il paese in quanto sono stati votati in liste uniche bloccate, un tot in ogni provincia, senza che l’elettore avesse la possibilità di scegliere altre liste o altri candidati, ma certamente sono la crème de la crème dell’ampia burocrazia di regime. A loro spetta il compito di eleggere il presidente dell’Assemblea (quello uscente è Ricardo Alarcon), il vice e il segretario, ma soprattutto dovranno designare i 31 componenti del Consiglio di Stato che, a loro volta, eleggeranno il "Presidente del Consiglio di Stato" ovvero il Presidente di Cuba.
Nonostante alla vigilia del voto tutto sembri essere già deciso con la sostituzione di Fidel Castro con il fratello Raul Castro alla presidenza del Consiglio di Stato, quello di domani e dei giorni successivi è un passaggio istituzionale allo stesso tempo scontato e delicatissimo. E la ragione è molto semplice: fino a ieri tutte le cariche istituzionali di Cuba erano accumulate nella persona di Fidel che era nello stesso tempo: Presidente, segreterio generale del Partito comunista, capo del governo e comandante in capo (comandante en jefe) delle Forze Armate.
E’ altamente improbabile che Raul assuma contemporaneamente su di sé tutti questi incarichi e dalla loro distribuzione e dal nuovo equilibrio che ne uscirà, potremo incominciare almeno a sospettare - se non proprio a capire - il futuro molto prossimo del regime.
Seguendo i rumors degli ultimi giorni il Consiglio di Stato dovrebbe nominare come suo Presidente Raul e poi, su indicazione del Partito cui spetta la segnalazione del governo, designare Carlos Lage come nuovo Presidente del Consiglio dei ministri, ossia capo del governo. Fin qui tutto facile: ma poi bisognerà convocare un Congresso del Partito - l’ultimo risale ad undici anni fa - per eleggere il nuovo segretario (che nell’organigramma cubano è anche più importante del presidente del Paese) e scrivere una lista di ministri dalla quale capiremo quanto potere resta nell’ombra ancora nelle mani di Fidel e quanto invece è riuscito a sottrargliene Raul.
Un nome su tutti cui bisognerà stare attenti è quello di Felipe Perez Roque, il ministro degli Esteri. Roque è, di fronte a Raul e a Lage, l’uomo dell’ortodossia e della fede cieca nel dettato di Fidel (nessuna riforma, nessuno si muova) e non perché Lage e Raul siano "liberal", né tantomeno "democratici", ma semplicemente perché hanno capito che l’immobilismo strutturale del regime li porterebbe (senza il parafulmine di Fidel) solo al disastro definitivo. L’altra chiave sarà il nuovo ministro delle Forze Armate. Sarà un uomo tutto di Raul o l’ennesimo frutto di un compromesso con il fratello e il vecchio fronte dei fedelissimi della Sierra?
Infine la sorpresa. E cioè l’avvento alla massima carica della Presidenza del Consiglio di Stato di un uomo che non faccia di cognome Castro. Insomma, con Fidel che nonostante la rinuncia continua a muovere numerose pedine dietro le quinte con le sue "riflessioni" per Granma, la vera partita fra "immobilisti", "riformisti" e "dialogueros" (ossia "pontieri" con l’America e i cubani anticastristi in esilio) è appena cominciata.
* la Repubblica, 23 febbraio 2008.