Sconfitto lo stato etico
Sono cadute alcune tra le norme più odiose e fortemente simboliche della legge 40
È stata imboccata una strada che ripristina il rispetto dei diritti della persona
Forse i disinvolti e ideologici legislatori, che ci affliggono da anni con la loro pretesa di
imporre un’etica di Stato, cominceranno a rendersi conto che dovrebbero finalmente andare a lezione di Costituzione.
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 02.04.2009)
La sentenza di ieri, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime alcune delle norme più significative della legge sulla procreazione assistita, conferma un orientamento già ben visibile negli ultimi mesi, e che ha fatto nitidamente emergere un insieme di criteri che precludono ai legislatori di impadronirsi della vita delle persone. Quando, con mossa incauta, nel settembre scorso la maggioranza parlamentare aveva sollevato un conflitto di attribuzione nei confronti della magistratura, sostenendo che aveva invaso le competenze del legislatori con la sentenza sul caso di Eluana Englaro, i giudici costituzionali l’avevano rapidamente bacchettata, dichiarando inammissibile la loro iniziativa. E a fine dicembre, quando le polemiche su quel caso erano ancor più infuocate, hanno con forza affermato che l’autodeterminazione costituisce un diritto fondamentale della persona. Una linea chiarissima, che rendeva prevedibile la decisione di ieri.
Ora cadono alcune tra le norme più odiose e fortemente simboliche della legge 40. Quella che imponeva l’unico e contemporaneo impianto degli embrioni, comunque in numero non superiore a tre: viene così battuto un proibizionismo cieco e ingiustificato, che infatti aveva provocato le critiche dei medici che operano in questo settore E quella che, sempre in relazione all’impianto, non teneva conto della necessità di salvaguardare la salute della donna, violando così un fondamentale diritto della persona. E non è vero, come ha frettolosamente osservato qualche parlamentare del Popolo della libertà, che la Corte ha comunque salvato altri articoli della legge, che pure erano stati impugnati. Su questi articoli, infatti, i giudici non si sono pronunciati per una ragione procedurale, perché non riguardavano le questioni trattate nei giudizi in cui l’eccezione di costituzionalità era stata sollevata. Sarà, quindi, possibile riproporre quelle eccezioni nella occasione più opportuna.
È stata così imboccata una strada che ripristina la legalità costituzionale e il rispetto dei diritti della persona. E, come ha saggiamente osservato Carlo Flamigni, si creano anche le condizioni per arrivare ad un "provvedimento più saggio", ad una riforma della legge 40 che ci faccia tornare in sintonia con le legislazioni degli altri paesi e, soprattutto, che disciplini le tecniche di riproduzione assistita in modo da renderle il più possibile aderenti alle effettive esigenze delle donne. Ma, invece di cogliere l’occasione offerta dalla Corte per avviare una nuova riflessione comune in una materia così difficile, la cecità ideologica continua a tenere il campo. Dai lidi della maggioranza si grida alla deriva eugenetica, si torna a parlare di attentato alla sovranità del Parlamento, si riecheggiano i toni populisti di questi giorni intonando di nuovo la canzone dei giudici che si sostituiscono alla volontà del popolo.
Chi ragiona in questo modo (si fa per dire) mostra di ignorare la logica stessa del controllo di costituzionalità, finalizzato proprio a garantire che le leggi votate dai rappresentanti del popolo non violino i principi e le garanzie che, democraticamente, proprio il popolo si è dato attraverso l’Assemblea costituente, e la Costituzione frutto del suo lavoro. Il Parlamento, dunque, non è sciolto dal rispetto di questi principi, ma a questi deve sottostare. Nella Corte costituzionale i cittadini trovano così non il guardiano di una astratta legalità, ma il garante dei loro diritti e delle loro libertà. Garanzia tanto più importante quando si legifera sulla vita, perché il Parlamento non può espropriare le persone del potere di prendere in libertà le decisioni più intime. E non si può dire che siamo di fronte ad una inattesa prepotenza della Corte. Proprio durante la lunga discussione parlamentare sulla legge sulla procreazione assistita molti avevano messo in guardia contro il rischio di approvare norme incostituzionali, com’era evidentissimo considerando proprio il modo in cui la Corte aveva già affrontato in particolare il tema del diritto alla salute.
Se torneranno un minimo di ragione e di cultura della legalità, la sentenza di ieri potrà aiutare anche nel difficile esame del disegno di legge sul testamento biologico, di cui deve ora occuparsi la Camera. Quell’insieme di norme, infatti, è perfino più sgangherato, dal punto di vista della costituzionalità, della pur sgangheratissima legge sulla procreazione assistita. I legislatori, lo ripeto, apprendano le lezioni di costituzionalità che la Corte, legittimamente, impartisce.