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Ragione ("Logos") e Amore ("Charitas"). Per la critica dell’economia politica ..... e della teologia "mammonica" ( "Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006)

L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. Cristianesimo, democrazia e necessità di "una seconda rivoluzione copernicana" - di Federico La Sala

domenica 9 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
FILOSOFIA, ANTROPOLOGIA E POLITICA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO ....
STATO DI MINORITA’ E FILOSOFIA COME RIMOZIONE DELLA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. Una ’lezione’ di un Enrico Berti, che non ha ancora il coraggio di dire ai nostri giovani che sono cittadini sovrani. Una sua riflessione
HEIDEGGER, KANT, E LA MISERIA DELLA FILOSOFIA - OGGI
PARRHESIA EVANGELICA: IL FARISEISMO CATTOLICO-ROMANO E LA NOVITA’ RADICALE DELL’ANTROPOLOGIA CRISTIANA. PARLARE IN PRIMA (...)

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> L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. ---- Unire Illuminismo e Romanticismo è la sfida del secolo. Rifondare l’umanesimo. Le cinque virtù dell’uomo nuovo (Edgar Morin - David Brooks).

domenica 3 aprile 2011


-  Viviamo in una dittatura del calcolo pur vedendone i limiti
-  Per questo abbiamo l’esigenza di rifondare l’umanesimo

-  Unire Illuminismo e Romanticismo è la sfida del secolo

-  di Edgar Morin (la Repubblica, 02.04.2011)

La cultura occidentale, da sempre prigioniera del mito della ragione, ha idealizzato una razionalità pura, radicalmente separata dalle emozioni e dalle passioni. Antonio Damasio ci ha però insegnato che la razionalità pura non esiste. Ogni attività razionale è sempre accompagnata da una dimensione emotiva. Anche il più razionale dei matematici è animato dalla passione della matematica. Non si può pensare - come faceva Hegel - che tutto sia riconducibile al dominio della ragione, al contrario dobbiamo essere coscienti che moltissimi aspetti del reale sfuggono alla comprensione razionale. Una razionalità aperta e non ottusa, dovrebbe cercare di comprendere e integrare quest’altra dimensione.

La nostra cultura, invece, ha sempre inseguito un illusorio dominio della ragione, favorendo - come ha ricordato Adorno - una razionalità puramente strumentale, spesso al servizio di progetti deliranti. Per questo, lo sviluppo della civiltà occidentale - tutto sotto il segno dell’efficacia economica e del dominio della natura - è spesso figlio dell’hybris nata da una ragione troppo sicura di sé. Lo sviluppo scientifico ed economico - che pensavamo essere perfettamente razionale - produce così risultati del tutto irrazionali, come ad esempio la distruzione della biosfera, che è la nostra condizione vitale.

Questa visione riduttiva e semplicistica della razionalità è all’origine dell’odierna dittatura del calcolo, che il razionalismo occidentale considera una condizione necessaria e sufficiente per dominare la realtà, dimenticando che molti degli aspetti essenziali della nostra vita - l’amore, l’odio, il desiderio, la gelosia, la paura, ecc. - sfuggono del tutto ad ogni logica quantitativa. E perfino negli ambiti in cui il calcolo dovrebbe trionfare, ad esempio l’economia, la dimensione irrazionale è spesso decisiva, come ha dimostrato l’ultima crisi.

A questa razionalità chiusa e ottusa, va contrapposta un’altra razionalità, aperta e autocritica, che è sempre stata una corrente minoritaria del pensiero occidentale. È la razionalità di Montaigne, ma anche di Montesquieu o Lévi-Strauss. Una razionalità critica che accetta l’idea che le sue teorie possano essere rimesse in discussione. Essa non solo riconosce i propri errori, come ha insegnato Popper, ma sa anche accettare ciò che sfugge al suo dominio e alla sua comprensione. «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce», ha scritto Pascal, ricordandoci l’importanza delle passioni, che devono essere integrate alle nostre modalità di conoscenza e di relazione con il mondo. Accanto alla lucidità razionale, occorre quindi valorizzare il potere conoscitivo delle passioni e delle emozioni (da sottoporre comunque a un controllo critico). Tra ragione e passione il dialogo deve essere continuo. Questa esigenza non è una novità. Basti pensare a Jean-Jacques Rousseau, che già ai tempi dell’Illuminismo sottolineava l’insufficienza del pensiero razionale e l’importanza dei sentimenti. Lo stesso vale per il romanticismo.

Oggi sarebbe importante tenere insieme le verità dell’illuminismo e quelle del romanticismo. Purtroppo non lo si fa quasi mai, perché siamo tutti prigionieri di una logica binaria che domina anche il mondo dell’educazione, dove si privilegia la razionalità, in nome di un universo fatto solo di certezze e una visione riduttiva dell’uomo. In realtà, accanto ad alcuni arcipelaghi di certezze incontestabili, noi ci muoviamo in un universo fatto da oceani d’incertezza. Se veramente volessimo insegnare ai giovani la complessità della realtà umana, dovremmo spiegare loro che, accanto all’homo sapiens, figura sempre l’homo demens, giacché il delirio e la follia sono da sempre una delle polarità umane. Come pure, accanto all’homo oeconomicus, non manca mai l’homo ludens, quello che adora il sogno e il gioco. Insomma, l’homo faber non è solo un inventore di macchine, ma anche un produttore di miti e di credenze che non poggiano certo sulla razionalità. Riconoscere questa ricchezza e questa complessità è oggi una necessità, perché solo così sarà possibile affrontare le sfide della contemporaneità.
-  (testo raccolto da Fabio Gambaro)


Le cinque virtù dell’uomo nuovo

-  L’Occidente è abituato a valutare gli uomini basandosi solo sulla razionalità, sull’efficienza e sulla competenza professionale. -Ma la storia dimostra che le società complesse hanno bisogno di altri criteri: bisogna tener conto delle relazioni tra le persone, delle loro aspirazioni, dei loro sentimenti, tentando di unire illuminismo e romanticismo.
-  Dalla sintonia al desiderio di trascendenza, ecco cinque punti per fondare un nuovo umanesimo

-  Dobbiamo puntare a una visione diversa più ricca e profonda
-  Che tenga conto dell’importanza dei rapporti tra le persone
-  Per la nostra società l’essere umano è una creatura divisa in due: ragione e sentimento.
-  Sappiamo parlare della prima ma siamo impreparati sul secondo
-  Dalla sintonia al desiderio di infinito ci salveranno le qualità emotive

di David Brooks (la Repubblica, o2.O4.2011)

Sono stato testimone di un buon numero di errori politici. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti inviarono sul posto un gruppo di economisti, senza mettere in conto il basso livello di "fiducia sociale" di quel mondo. Al momento dell’invasione dell’Iraq, i vertici americani si trovarono impreparati di fronte alla complessità culturale di quel Paese, e ai traumi psicologici di assestamento dopo il regime di terrore di Saddam.

Avevamo un sistema finanziario basato sull’idea che i dirigenti delle banche fossero esseri razionali, non soggetti ad abbandonarsi in massa ad azioni insensate. In questi ultimi trent’anni abbiamo tentato in vari modi di riformare il nostro sistema scolastico, sperimentando di tutto, dai megaistituti alle miniscuole, dai charter ai voucher. Ma per troppo tempo abbiamo eluso la questione centrale: quella del rapporto tra docenti e allievi.

Sono arrivato a credere che questi errori nascano tutti da un unico equivoco, dovuto a una concezione semplicistica della natura umana. La nostra società - e non mi riferisco solo al mondo politico, ma a numerose altre sfere - vede l’essere umano come una creatura divisa in due parti distinte: da un lato la ragione, di cui è giusto fidarsi; dall’altro le emozioni, che sono invece sospette. Si tende a credere che il progresso sociale sia portato avanti dalla sola ragione, nella misura in cui riesce a reprimere le passioni.

Questa concezione conduce a una distorsione della nostra cultura, che esalta il razionale e il cosciente, ma resta nel vago sui processi in atto negli strati più profondi. Siamo bravissimi a parlare di cose materiali, ma quando si tratta di emozioni la nostra abilità viene meno.

Cresciamo i nostri figli focalizzando tutta l’attenzione sugli aspetti misurabili attraverso i voti o i test attitudinali; ma spesso non abbiamo nulla da dire sugli aspetti più importanti, come il carattere o il modo di gestire i rapporti. Nella vita pubblica, le proposte politiche provengono spesso da esperti perfettamente a loro agio in correlazione con quanto può essere misurato, quantificato o aggiudicato, ma che ignorano tutto il resto.

Eppure, mentre siamo tuttora invischiati in questa concezione amputata della natura umana, vediamo emergere una visione nuova, più ricca e profonda, grazie all’opera di un gran numero di ricercatori delle più diverse discipline, dalla neuroscienza alla psicologia, dalla sociologia all’economia comportamentale e via dicendo.

Questo corpus di ricerche, disperso ma sempre crescente, ci richiama alla mente una serie di concetti chiave. Ricordiamo innanzitutto che la parte più importante della mente è quella inconscia, sede dei più straordinari prodigi del pensiero. In secondo luogo, l’emozione non è contrapposta alla ragione; sono anzi le nostre emozioni ad attribuire valore alle cose, e a costituire la base della ragione. Infine, noi non siamo individui che costruiscono relazioni reciproche, bensì animali sociali profondamente interpenetrati gli uni con gli altri, "emersi" proprio grazie alle nostre relazioni.

Alla luce di questo, la visione illuminista francese della natura umana, che pone in primo piano l’individualismo e la ragione, appare fuorviante, mentre sembra più vicina al vero quella dell’illuminismo britannico, che privilegia il senso sociale e non ci descrive come creature divise. Il nostro progresso non avviene solo grazie alla ragione e al suo dominio sulle passioni.

Evolviamo anche educando le nostre emozioni.

Una sintesi di queste ricerche apre nuove prospettive in tutti i campi, dal mondo economico alla politica, passando per la famiglia. E porta a non privilegiare più lo sguardo analitico sul mondo, ma piuttosto il modo in cui le persone lo percepiscono per organizzarlo nella loro mente. Si guarda un po’ meno ai tratti individuali, e si presta maggiore attenzione alla qualità dei rapporti tra gli esseri umani.

Cambia anche il modo di vedere quello che chiamiamo «capitale umano». Nel corso degli ultimi decenni si è affermata la tendenza a definirlo nel senso più restrittivo del termine, ponendo l’accento sul quoziente di intelligenza e sulle competenze professionali - che certo sono importanti. Ma le nuove ricerche pongono in luce tutta una serie di talenti più profondi, che abbracciano sia l’aspetto razionale che quello emotivo, fondendo insieme queste due categorie:

-  1) Sintonia: la capacità di immedesimarsi nella mente altrui, prendendo conoscenza di ciò che ha da offrire.
-  2) Ponderatezza: la capacità di osservare serenamente i moti della propria mente e di correggerne gli errori e i pregiudizi.
-  3) Metis (da Metide, dea greca della saggezza, ndt) : la capacità di individuare gli schemi e i modelli di sistemi aggregati (pattern) comprendendo l’essenza delle situazioni complesse.
-  4) Simpatia: la capacità di inserirsi nell’ambiente umano che ci circonda e di evolvere all’interno dei movimenti di un gruppo.
-  5) Limerence (termine coniato dalla psicologa Dorothy Tennov per descrivere lo stadio finale, quasi ossessivo dell’amore romantico, uno sorta di ultra attaccamento, ndt): più che un talento, è una motivazione. Se la mente cosciente è avida di denaro e di successo, quella inconscia ha sete dei momenti di trascendenza in cui, mettendo a tacere la skull line - la «linea del cranio» - ci abbandoniamo perdutamente all’amore per l’altro, all’esaltazione per una missione da svolgere, all’amore di Dio. Un richiamo che sembra manifestarsi in alcuni con potenza molto maggiore rispetto ad altri.

Le tesi elaborate sul subconscio da Sigmund Freud hanno avuto effetti di vasta portata sulla società, oltre che sulla letteratura. Oggi, centinaia di migliaia di ricercatori stanno facendo emergere una visione sempre più accurata dell’essere umano. E pur essendo di natura scientifica, il loro lavoro orienta la nostra attenzione verso un nuovo umanesimo, poiché sta incominciando a porre in luce la compenetrazione tra emotività e razionalità.

Mi sembra di intuire che questo lavoro di ricerca avrà effetti di vasta portata sulla nostra cultura, cambiando il nostro modo di vedere noi stessi. E chissà che magari un giorno non riesca persino a trasformare la visione del mondo dei nostri politici. (L’autore è un editorialista del New York Times, il suo ultimo libro, che ha ispirato questo articolo, si intitola "The Social Animal")

© 2011 The New York Times - Distributed by The New York Times Syndicate (Traduzione di Elisabetta Horvat)


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