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A Rosa Luxemburg ...

ITALIA: STORIA E CINEMA. VOGLIAMO (IL PANE MA) ANCHE LE ROSE. Alina Marazzi racconta di circa 20 anni, dai sessanta agli ottanta, di turbolenta vita pubblica, di battaglie private, di ridefinizione del ruolo della donna nel nostro paese. Una "presentazione" di Pasquale Colizzi - a cura di pfls

“Siamo sconfitti, uomini e donne, dopo il ’77 e penso che gli effetti saranno lenti a insediarsi nelle nostre coscienze”.
giovedì 6 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...]
Alina Marazzi aveva incantato nel 2002 con la storia autobiografica Un’ora sola ti vorrei (parlava della madre con problemi mentali che perse piccolissima), utilizzando lettere, diari e filmati di famiglia (gli editori Adelphi).
Vogliamo anche le rose, presentato a Locarno e Torino, ne ricalca lo stile ed esce il 7 marzo nei cinema, come il doc Biutiful cauntri, impressionate viaggio nella Campania dei rifiuti tossici. Due lavori agli antipodi, però sintomatici della fiammata (...)

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> ITALIA: STORIA E CINEMA. VOGLIAMO (IL PANE MA) ANCHE LE ROSE. Alina Marazzi racconta ----- Niente mimose, meglio le rose (di Alessia Grossi).

venerdì 7 marzo 2008

Niente mimose, meglio le rose

di Alessia Grossi *

«Questo film nasce da una mia personale esigenza di ricerca. È del tutto casuale che esca in momento in cui si è concentrata una nuova attenzione intorno alle tematiche di cui il film parla». È Alina Marazzi, regista di Vogliamo anche le rose, a parlare dello straordinario tempismo dell’uscita del suo documentario. «Del tutto casuale, anche perché - spiega - non ho ancora doti di preveggenza». A Roma per la presentazione del documentario che uscirà nelle sale in 20 copie il 7 marzo, la regista spiega quale esigenza l’abbia spinta a mettere di nuovo le mani negli archivi e nei diari e a parlare ancora di donne dopo Un’ora sola ti vorrei e Per sempre e quanto la scelta dei temi dell’aborto, del divorzio, della contraccezione, della violenza, si sia rivelata appropriata.

«Ho iniziato a lavorare a Vogliamo anche le rose due anni e mezzo fa, in tempi non sospetti. Il film, che inizialmente voleva essere un documentario televisivo di circa un’ora è diventato un vero e proprio film e nell’agosto scorso l’abbiamo presentato al Festival di Locarno. Quindi niente ha a che vedere con il contesto attuale. La scelta di farlo uscire ora è stata dettata dalla ricorrenza dell’8 marzo. Però è vero che mentre lavoravamo al film ci fu la prima manifestazione delle donne del 14 gennaio 2006 le cui riprese avevamo pensato di inserire nel film. Quindi è vero che qualcosa già durante la lavorazione del film si stava muovendo».

Perché poi invece ha deciso di non inserire anche l’attualità in Vogliamo anche le rose?

«Ci siamo poste il problema di arrivare ad oggi con il racconto che invece va dalla fine degli anni ’60 alla fine degli anni ’70. Ma poi non abbiamo più inserito le immagini delle manifestazioni recenti perché ci siamo rese conto che le cose dette e fatte allora, anche se il film visivamente appare datato, sembrano dette e fatte oggi. In compenso il film si chiude sul montaggio delle immagini della Casa della donne del Governo Vecchio allora piena e oggi vuota. Ma c’è comunque nel documentario una cronologia delle date storiche che arriva fino ai giorni nostri».

Quel vuoto descritto attraverso le immagini della Casa delle donne è un vuoto simbolico?

«Il film un po’ lo spiega questo apparente vuoto passando dalla prima fase del femminismo degli anni ’60 e ’70, una fase più di massa, di piazza, alla seconda fase, quella dopo il ’79. Da lì il femminismo si è come incanalato, da una parte forse ripiegandosi su se stesso, dall’altra andando verso ambiti di riflessione, non più di piazza».

Lo scopo del film è quello di riportare alla memoria quella prima fase in un momento di vuoto?

«La mia esigenza è stata quella di ricordare cosa sono stati quegli anni. Anche perché dopo c’è stata una sorta di acquisizione diffusa dei valori che sono derivati da quelle lotte senza che si conoscesse la storia delle loro trasformazioni. Io ho 43 anni, sono più piccola di quelle femministe, ma con Vogliamo anche le rose vorrei fare da ponte tra quella generazione e le 20 - 30enni di oggi. Sono curiosa si vedere come recepiranno loro questo film, come inseriranno queste battaglie nel dibattito attuale. Ho cercato di creare un rispecchiamento, non di fare una mediazione del ricordo. Infatti nel film faccio parlare le voci delle donne, non dico la storia è andata così o poteva andare in un altro modo».

A proposito di voci, le donne del film sono state le prime a "riprendersi la parola" che parola è la loro?

«Dai filmati emerge una lucidità del proprio essere come soggetti sociali. Quelli delle donne intervistate allora sono ragionamenti lucidi, che portano il segno di una consapevolezza anche sociale della condizione femminile. Oggi è difficile sentire un ragionamento così consapevole da parte delle donne, soprattutto in televisione. Questo dipende un po’ da chi dovrebbe porre le domande, ma anche dalla incapacità di identificarsi in questa società da parte delle giovani donne. Ecco, credo non si sia ancora definito un modello con cui identificarsi. E credo ci sia stato un passaggio al privato che allora non c’era. Non credo che i giovani siano tutti superficiali, penso che sia l’immaginario collettivo a portare le donne ad identificarsi con un modello di individualità narcisista. Apparire per diventare star più che apparire per prendere la parola».

Che tipo di reazioni si aspetta da parte dei giovani?

«Le prime reazioni sono state positive. Alcuni licei di Milano durante l’autogestione mi hanno invitata e hanno voluto vedere il film. Credo che quelli trattati nel film siano temi che a loro interessano molto e che fanno porre loro delle domande. Sull’aborto poi...il tema li tocca dal vivo e hanno bisogno di discutere di questo in un momento in cui viene riproposta loro una dicotomia tra buoni e cattivi. E poi il film non è solo un documentario storico ci sono inserti di film, filmati privati, pubblicità, foto, animazione».

Questo sembra un momento propizio per il documentario sociale in Italia, che ne pensa?

Beh, questo mi dà una bellissima sensazione. Personalmente sono un po’ stufa delle fiction. Il fatto che un film documentario esca al cinema in Italia significa che un pubblico per questo tipo di cinema c’è. Vogliamo anche le rose poi esce in un contesto d’attualità tale che l’interesse verso il film non dovrebbe mancare.

Il film esce il 7 marzo. Il pubblico sarà solo femminile?

«Spero vadano a vederlo anche gli uomini. Ci sarà qualche "uomo nuovo" no? Spero sinceramente che vadano a vederlo più che altro in coppia perché il film chiama in causa l’altro. Parla delle relazioni interpersonali e per questo spero sollevi anche discussioni. Dico che si dovrebbe vedere in coppia o tra genitori e figli. Questo è un film per un pubblico trasversale anche per età».

Il titolo del film richiama un vecchio slogan, il linguaggio del femminismo è ancora lo stesso?

«Qualcosa anche nelle manifestazioni di piazza ancora è ripreso dal linguaggio delle prime battaglie femministe. Il titolo del film vuole essere un’attualizzazione dello storico slogan "Vogliamo il pane e vogliamo anche le rose". Le rose oggi però possono avere un’accezione diversa, possono significare altre cose. La traslazione di senso potrebbe stare nel passaggio dalla femminilità al femminismo. Lo slogan potrebbe essere "Basta mimose -che fanno dell’8 marzo una festa come quella di S.Valentino. Potete regalarci anche le rose", che sono il simbolo del romanticismo ma hanno anche un significato preciso per le donne».

Questo è il terzo film di una trilogia sulle donne. Progetti futuri?

«Per ora non sto lavorando che alla presentazione di Vogliamo anche le rose. Credo di continuare con la sperimentazione sul linguaggio del documentario. Ma penso che anche il prossimo film parlerà di donne. Altro che trilogia diventerà un decalogo».

* l’Unità, Pubblicato il: 05.03.08, Modificato il: 05.03.08 alle ore 17.08


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