L’intervista. Amedeo Quondam anticipa il suo intervento sul saggio del poeta
Il più classico dei rimedi nella ricetta di Petrarca
De remediis utriusque fortunae, un trattato sui diversi modi di affrontare sia la buona che la cattiva sorte
di Federico Pagliai (la Repubblica, 11.09.2010)
La conoscenza doveva salvarci, la conoscenza ci ha travolti come un fiume in piena. Declassata al rango di informazione, globalizzata, enfatica, tendenzialmente istantanea, ha snudato l’uomo davanti all’urto della storia. Una storia che ha la forza di sempre; l’identica cieca ineluttabilità. Perciò non sorprende che volentieri si torni ai pensatori del passato, alle loro domande fondamentali, alle poche ma solide risposte disponibili. Tanto meno sorprende il successo che - un’edizione dietro l’altra - riscuote la sezione che il Festivalfilosofia di Modena dedica alla Lezione dei classici.
Francesco Petrarca, con il suo De remediis utriusque fortunae, è uno dei grandi maestri della cultura occidentale che viene schierato quest’anno. Ad Amedeo Quondam il compito di renderlo accessibile al vasto pubblico della manifestazione. Grande esperto di cultura umanistica, Quondam dal 1978 è professore ordinario di Letteratura italiana all’università La Sapienza di Roma. è tra i fondatori dell’Associazione degli italianisti italiani, nonché suo presidente dal 2005. Tra le altre cose, è direttore del Centro interuniversitario biblioteca italiana telematica.
Ascoltarlo, nel pomeriggio di sabato 18 settembre, non sarà un’occasione da poco, vista anche la scarsa diffusione di questo testo di Petrarca. In maniera meno sintetica - dice Quondam - il titolo De remediis utriusque fortunae potremmo tradurlo con l’espressione "quali possono essere i rimedi per fronteggiare sia la buona che la cattiva sorte". Aldilà di tutte le possibili banalizzazioni e semplificazioni, di questo si tratta e non è affatto poco. Siamo davanti alla domanda fondamentale dell’uomo davanti al senso della propria esistenza.
Tra i testi di Petrarca, si tratta certamente di uno dei meno noti. Come lo ha incrociato?
«Sono arrivato al De remediis andando a ricostruire la tradizione dei moralisti e devo dire che è stata una scoperta per certi versi sconvolgente. Quando parlo di moralista, intendo non tanto un filosofo o un teologo quanto un letterato o in generale un intellettuale che riflette sulla condizione umana. Si tratta di una tradizione che normalmente viene riferita, in termini di primato, alla Francia».
E invece cosa ha scoperto?
«Ho scoperto che la paternità di questo tipo di testi, nella forma aforistica che per esempio rintracciamo in molti autori francesi o anche nello stesso Leopardi, è senza dubbio riconducibile al Petrarca. Nella forma, certamente. Ma anche nella sostanza. Nel tentativo di dare un certo tipo di risposta ai grandi dilemmi della vita».
Davanti ai colpi della sorte, quali rimedi offre Petrarca?
«La tradizione li ha spesso banalizzati, ma i suoi rimedi sono quelli di una forma del vivere fondata sulla consapevolezza, con tutte le tipiche categorie della tradizione stoica. Pur muovendosi in una prospettiva cristiana, che assegna all’uomo un destino eterno, Petrarca fa soprattutto riferimento alla lezione dei classici, prospettando un transito terreno con poche consolazioni, se non quella di un agire razionale e sempre consapevole».