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Europa. Letteratura medioevale ...

L’AMORE E LA PAROLA. Che cos’è l’amore, chi può amare, chi è massimamente degno di amore, come amare? Del "Gualtieri" di Andrea Cappellano (XII sec.), una recensione del prof. Federico La Sala

martedì 25 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] La contraddizione, quasi schizoide, del trattato di Andrea Cappellano è ancora più profonda di quanto non sembri; svela “le inquietudini di una cultura che era, insieme laica e clericale, spregiudicata e rispettosa dell’ordine sociale” (cfr. Storia e antologia della letteratura italiana, vol. I, Le origini, a cura di R. Antonelli, Firenze. La Nuova Italia, 1973, p.188) e la lacerazione che percorre la conoscenza dell’intellettuale europeo nel momento decisivo del suo (...)

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> L’AMORE E LA PAROLA. - Storia (dei discorsi) sulla sessualità (M. Foucault). Riflessioni su "Les aveux de la chair" (di Sergio Benvenuto).

domenica 13 gennaio 2019

CONTINUAZIONE - PARTE FINALE

      • La pastorale, antica e moderna Riflessioni a partire da: Michel Foucault, Les aveux de la chair 2018.

Significa questo che nella nostra cultura non c’è più alcuna pastorale? Foucault dedica molta attenzione al tema tradizionale, nelle culture antiche, del potere politico figurato come relazione tra il pastore e il suo gregge di pecore. Il buon re, e nel mondo cristiano il vescovo o il papa, è un buon pastore del suo gregge umano. Come nota Foucault, questo non implica affatto un’indistinzione degli individui nel gregge: il buon pastore sa che le proprie pecore non sono tutte eguali, che ciascuna ha bisogno di un trattamento specifico.
-  Omnes et singulatim, scrive Foucault: il gregge è considerato nella sua totalità ma ogni singolo è preso in carico. E il buon pastore, come nella parabola evangelica (Luca 15, 3-7; Matteo 18, 12-14), deve saper abbandonare il gregge per recuperare la singola pecora smarrita. L’immagine del re-pastore o del prete-pastore va trasposta anche all’interno del soggetto stesso: bisogna essere anche pastori di sé stessi, se consideriamo i nostri desideri un gregge di sensualità. Allora, nelle nostre società capitaliste e liberali, non c’è più alcuna pastorale?

Anche nella nostra cultura esiste una élite, intellettuale e scientifica. Come erano élites i filosofi antichi o teologi quali S. Crisostomo o S. Agostino - possiamo pensare che le larghe masse all’epoca, soprattutto contadine, non fossero granché ascetiche, che insomma la gente comune continuasse a comportarsi come nel passato. Foucault, abbiamo detto, analizza solo le opere delle élites. E allora, che cosa pensa l’élite liberal-libertina di oggi, incluso magari Foucault (e chi scrive)?

Credo che l’ideale moderno sia quello della creatività. Che si stia a letto con il proprio partner, che si lavori come manager in un ente, o che si faccia lavoro scientifico o informatico, l’importante è essere creativi. Non basta insomma massimizzare orgasmi, danaro, titoli: l’importante è avere una vita intellettuale, lavorativa, sessuale, familiare creativa. In questo senso l’accento posto dallo psicoanalista D.W. Winnicott sulla creatività, o la concezione surrealista di una creatività artistica di cui ciascuno sarebbe capace se solo desse libero corso al proprio inconscio, sono espressioni eloquenti delle idealità moderne. Ci si può quindi lasciar tranquillamente andare ai desideri dei sensi, purché la loro gestione sia creativa, non piatta e ripetitiva. La libido, le pulsioni (l’inconscio) non vanno rimossi ma assorbiti e integrati come occasioni e fonte di energia creativa.
-  Nel passato, fino a Ottocento inoltrato, il primato era dato alla forza della volontà. Oggi però il motto non può essere più quello di Alfieri, “volli, sempre volli, fortissimamente volli” ma piuttosto “creai, sempre creai, ampiamente creai”. Il creatore di opere estetiche o tecniche, il pensatore originale, lo scopritore scientifico sono tutte figure idealizzate oggi, anche se hanno condotto una vita sessuale alquanto sregolata. L’importante oggi, insomma, è essere originali, che è una ricaduta della creatività. La dicotomia non è più quindi tra sensibile e intelligibile, tra sensualità e volontà forte, ma tra creatività e ripetitività, tra originalità e conformismo.

L’ascetismo antico era, come ogni altra cultura sessuale, un tentativo di controllare il potenziale devastatore della sessualità. Siccome la sessualità umana ha un lato costruttivo (non foss’altro che come strumento di riproduzione) e un lato distruttivo, ogni cultura, ciascuna a proprio modo, cerca di ridurre al minimo questo secondo lato. Ricordiamo che anche Freud, in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, descrive la coppia innamorata come qualcosa di anti-sociale capace di sfaldare il legame sociale. Ogni cultura, dalla più primitiva alla più moderna, deve confrontarsi con un Unbehagen in der Sexualität, inscindibile dall’Unbehagen in der Kultur. La sessualità è fonte di grandi piaceri, ma anche di grandi dolori.

La morale cristiana, fondata sul matrimonio indissolubile e sulla monogamia, parte dal fatto biologico che c’è un numero quasi pari di donne e uomini: se ciascuno si contentasse di avere un partner dell’altro sesso, la vita sociale sarebbe del tutto tranquilla. Naturalmente questo è vero sulla carta, di fatto, lo sappiamo, ci sono uomini che hanno tante donne e uomini che non ne hanno nessuna, e per le donne può esser detta la stessa cosa. Di fatto, la sessualità è una mina vagante nelle società che distrugge famiglie, genera delitti passionali, fa sprecare a uomini e donne molto tempo nel corteggiamento, nei flirt, nei litigi, in penosi divorzi, ecc. Ma la morale cristiana tende all’optimum di una società sessualmente pacificata.

Comunque, anche la morale laica moderna tende a un optimum: è disposta a pagare il prezzo di una certa anarchia sessuale, purché la sessualità venga incanalata, per dir così, verso mete creative. In ogni caso, sia nell’ascetismo che nel permissivismo, ogni cultura sessuale tende a ottimizzare il commercio sessuale. Diciamo che la volontà di potenza liberal-libertina è più sofisticata dell’ascetismo, nel senso che è ancora più ambiziosa: bisogna lasciarsi andare ai sensi, abbandonarsi a essi, perché così il soggetto accede a una potenza superiore, quella creativa.

Ma la creatività è un ideale per tanti, forse per i più, non meno duro da soddisfare dell’ascesi penitenziale cristiana. Tanti, forse i più, non vogliono essere creativi, a loro basta una vita tranquilla, ordinarie soddisfazioni, imboscarsi in una sorta di benessere di massa. Le élite appaiono, agli occhi dei più, portavoce di una pastorale troppo esigente. Cosa che, forse, potrebbe spiegare le svolte politiche in Occidente degli ultimi anni.


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