Dante e la sua ombra
di Maurizio Cucchi (La Stampa, 31.03.2011)
Guido Cavalcanti e Dante sono autori scrutati con passione e acribìa da sette secoli. Eppure continuano a invitarci a nuove indagini e approfondimenti. Lo vediamo nel ricco e complesso saggio di Noemi Ghetti, L’ombra di Cavalcanti in Dante (L’asino d’oro edizioni, pp. 230, 18), nel quale l’autrice compie un viaggio che parte dai poeti della Scuola siciliana, passando attraverso l’esperienza dei siculo-toscani, di Guinizzelli, senza dimenticare, sullo sfondo, i trovatori provenzali, per poi muoversi decisamente nei diversi passaggi di pensiero, vita e opera dei due grandi in questione. E producendo anche, in appendice, una sostanziosa antologia dei testi.
È il tema d’amore e della donna, il rapporto tra amore e conoscenza, nella varietà delle espressioni, a dominare la scena, mentre si andava «formando quella fitta rete di memorie intertestuali, echi, reminiscenze [...], riapparizioni di temi, sintagmi, parole chiave [...], che, tessuta di poeta in poeta, fu infine magistralmente rielaborata nel Canzoniere del Petrarca». È insomma il cammino che porta al crearsi di una tradizione che arriva fino a noi e che è quello della nostra grande poesia lirica.
Una poesia che si nutre profondamente di pensiero, come vediamo nel fondersi di poesia e filosofia dei grandi autori del ’200. E la figura della donna, della donna-angelo (che arriverà fino a Montale) è presente secondo diverse declinazioni dai siciliani a Dante, che ne farà infine un simbolo di mediazione tra uomo e Dio, mentre nell’altro grande, Guido Cavalcanti, l’amore è «passione che vive nell’oscurità, incomprensibile all’intelletto», che, come è detto in Donna me prega , «imaginar nol pote om che nol prova».
Il sodalizio tra i due poeti durerà un decennio, tra il 1282 e il 1292, prima che i loro percorsi intellettuali prendano strade diverse. Quella, umanissima, di Cavalcanti senza il conforto di un’ideologia definitiva, quella di Dante nella grandiosa costruzione del poema divino. Con la presenza costante, in lui, dell’«ombra» del nobilissimo amico, come ci dice Noemi Ghetti nel suo coinvolgente libro.