La mafia e le sue bestemmie
di Carlo Lucarelli (l’Unità, 16 aprile 2010)
A Sant’Onofrio, vicino a Vibo Valentia, un parroco molto coraggioso, e soprattutto molto coerente, ha escluso alcuni affiliati alla ’ndrangheta dalla processione dell’Affruntata.
Capisco che questi si siano arrabbiati tanto da reagire come fa di solito la Mafia, con una serie di proiettili a scopo intimidatorio. Un posto in una processione, in un’associazione religiosa, in prima fila alla messa o a sorreggere un santo è uno status symbol importante, come un Rolex, un posto alla Scala o un titolo onorifico, al di là dell’essere un appassionato di orologi, un amante della musica o una persona che vale qualcosa. Apparire in una ricorrenza religiosa significa affermare il proprio potere, sopra tutti e anche sopra la Chiesa.
Se un mafioso fosse veramente cristiano e cattolico dovrebbe vivere la dolorosa contraddizione tra l’essenza del cristianesimo, tra quello che ha detto Gesù Cristo, e la prassi della sua organizzazione. Dovrebbe vivere la fede, e anche le ricorrenze religiose, con il tormento dell’Innominato dei Promessi sposi e non con l’arrogante affermazione del proprio status di cristiano d’elite. Per questo quel parroco coraggioso è stato anche molto coerente, come tutti i parroci dovrebbero essere. Lo aveva detto anche il Papa, lanciando una sorta di scomunica contro Cosa Nostra: gli uomini delle Mafie sono fuori dalla Chiesa.
Se mi sbaglio vorrei che qualche mafioso, o qualche uomo di chiesa che a me pare incoerente, mi scrivesse qui e mi spiegasse la sua posizione. Per adesso continuo a pensare che quel parroco ha fatto bene. Anzi, benissimo.