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Europa. Italia....

G8. BOLZANETO. COME SE A GENOVA NON FOSSE SUCCESSO NULLA. Parla Marco Poggi, "l’infame". Intervista di Giuseppe D’Avanzo - a cura di pfls

giovedì 20 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Che cosa ha fatto la politica per sanare le ferite di Genova? Gianfranco Fini, che era al governo in quei giorni, disse che, se fossero emerse delle responsabilità, sarebbero state severamente punite. Perché non ne parla più, ora che quelle responsabilità sono alla luce del sole? Perché Luciano Violante si oppose alla commissione parlamentare d’inchiesta? Dopo sette anni questa pagina nera rischia di chiudersi con una notizia di cronaca che dà conto di una sentenza di condanna, (...)

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> G8. BOLZANETO. COME SE A GENOVA NON FOSSE SUCCESSO NULLA. --- «A Bolzaneto fu sospeso lo Stato di diritto». Le motivazioni della Cassazione )di Massimo Solani)

mercoledì 11 settembre 2013

«A Bolzaneto fu sospeso lo Stato di diritto»

Le motivazioni della Cassazione per le violenze del G8 nel 2001: ignorati principi-cardine del diritto

di Massimo Solani (l’Unità, 11.09.2013)

Un «completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto». La vergogna del G8 di Genova del 2001 e delle torture ai manifestanti fermati sta scritta anche nero su bianco nelle motivazioni con cui la Cassazione il 14 giugno scorso ha confermato le sette condanne e le quattro assoluzioni nei confronti di poliziotti, carabinieri, agenti e medici penitenziari responsabili delle violenze perpetrate a carico dei fermati nella caserma Bolzaneto.

E sono proprio i racconti di quanti trascorsero i giorni successivi nel centro di detenzione, secondo i giudici della Cassazione, a delineare un «trattamento» dei detenuti «contrario alla legge» e «gravemente lesivo della dignità delle persone» perpetrato attraverso «vessazioni continue e diffuse in tutta la struttura». «Non risulta scrivono i giudici della V sezione penale della Cassazione che vi fossero singole celle da riguardare come oasi felici nelle quali non si imponesse ai reclusi di mantenere la posizione vessatoria, non volassero calci, pugni o schiaffi al minimo tentativo di cambiare posizione, non si adottassero le modalità di accompagnamento nel corridoio (verso i bagni o gli uffici) con le modalità vessatorie e violenze riferite dai testi». Nella sentenza si ricorda, ad esempio il caso di una ragazza accompagnata in bagno, costretta a mantenere il «capo chino all’altezza delle ginocchia» con la «torsione delle braccia dietro la schiena», mentre, al suo passaggio «poliziotti ai lati» continuavano con «percosse e insulti». L’agente donna che accompagnava la detenuta non fece desistere i colleghi, ma invitò la ragazza a «stare attenta a non cadere quando un agente le aveva fatto lo sgambetto».

Secondo i magistrati della Cassazione chiunque si sia trovato a prestare servizio in quei giorni a Bolzaneto non poteva non essere perfettamente al corrente di quanto stava accadendo. Le violenze infatti «producevano fonti visive, sonore e olfattive del tutto inequivocabili per chi, operando in quel ristretto ambito spaziale e muovendosi al suo interno, in quegli stessi eventi si trovava immerso alla stregua di un testimone oculare».

Secondo i magistrati, infatti, era di fatto impossibile che «all’interno della struttura potessero sfuggire a chicchessia le risonanze vocali (cioè gli ordini, i pianti, le grida, i lamenti, i cori), le risonanze sonore (cioè i transiti, le cadute, i colpi), le percezioni olfattive (cioè la puzza dell’urina, l’odore del gas urticante spruzzato, l’odore del vomito, del sudore e del sangue) e le tracce lasciate sui volti, sugli abiti, negli sguardi, negli ansiti e nella voce delle vittime». La colpa degli imputati, poi, sta anche nell’«avere avuto consapevolezza di tutto ciò» e «nell’avere omesso di impedirlo».

È un vero e proprio «catalogo degli orrori» quello ricostruito dai giudici: «lesioni con gas urticante», «percosse con calci, pugni schiaffi e colpi di manganello», «minacce» di vario tipo: una «chiara visione» di quello che stava accadendo non poteva non emergere dall’«aspetto atterrito e sanguinante degli arrestati», dal «modo in cui venivano apostrofati e trattati dai loro seviziatori», dalle «urla di dolore delle vittime» e appunto, da «canti e suoni inneggianti al fascismo che provenivano ora dall’esterno della caserma, ora dal corridoio». Ai no-global fermati poi, ricostruiscono i magistrati della Cassazione, furono «negati cibo e acqua» mentre a «diversi detenuti» venne anche imposto di «orinarsi addosso per essere loro vietato l’accesso al bagno». Un «contesto di ingiustificate vessazioni», conclusono i magistrati, «non necessitate dai comportamenti» dei fermati e «riferibili piuttosto alle condizioni e alle caratteristiche delle persone arrestate, tutte appartenenti all’area dei no-global».


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