Il presidente francese pone alla Cina tre condizioni per la sua partecipazione all’apertura
"Fine delle violenze, apertura di Pechino, rilascio dei prigionieri"
Olimpiadi, monito di Sarkozy
"Dialogo con Tibet o non verrò"
Nuovi scontri nella regione cinese del Sichuan: la polizia spara, ci sarebbero 8 vittime Il Dalai lama: "Se sarò invitato, potrei partecipare all’inaugurazione delle Olimpiadi" *
PARIGI - L’apertura della Cina al dialogo con il Dalai Lama, la fine delle violenze in Tibet e un chiarimento su quanto accaduto, la liberazione dei prigionieri politici. Senza il rispetto di queste condizioni, il presidente francese Nicolas Sarkozy non parteciperà alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino. Lo ha reso noto la segretaria di Stato per i diritti umani, Rama Yade, oggi a Roma. Intanto in Cina continuano gli scontri, e la International Campaign for Tibet fa sapere che almeno 8 tibetani sarebbero rimasti uccisi dopo scontri con la polizia nei pressi di un monastero del Sichuan, nella Cina orientale.
Sarkozy deciderà con la Ue. Il titolare dell’Eliseo, ha spiegato Yade, "prenderà la sua decisione in base all’evoluzione degli attuali avvenimenti, e si esprimerà dopo aver consultato i partener europei, perché in quel momento parlerà in quanto presidente in carica dell’Unione europea. Il presidente francese aveva già cercato, ma senza successo, di convincere i partner dell’Unione europea a un boicottaggio collettivo dell’inaugurazione delle Olimpiadi.
"Condizioni imprescindibili". Poste le condizioni, Sarkozy fa sapere che il loro rispetto è "indispensabile" affinché partecipi, il prossimo 8 agosto, all’apertura dei Giochi. Quanto al dialogo, esso dovrà essere "realmente costruttivo - spiega Yade - e vertere sul riconosimento dell’autonomia per la regione himalayana, e dell’identità spirituale, religiosa e culturale dei tibetani".
Nuovi scontri nel Sichuan. Almeno 8 tibetani sarebbero stati uccisi a colpi di arma da fuoco dalla polizia, durante disordini scoppiati giovedì sera nei pressi di un monastero del Sichuan, nella Cina sud-occidentale. Lo afferma la International Campaign for Tibet. Ieri l’agenzia ufficiale Nuova Cina aveva parlatio solo del ferimento di un funzionario della locale assemblea del popolo. Gli incidenti sono avvenuti vicino al monastero di Donggu, che ospita 350 monaci, nella contea di Garze. Secondo Nuova Cina, i manifestanti avrebbero "attaccato la sede del governo locale", costringendo la forze di sicurezza a reagire. Secondo la versione dell’organizzazione pro-Tibet, la polizia avrebbe aperto il fuoco su una folla di alcune centinaia di monaci e di civili, che protestavano in seguito a un incidente in cui alcuni monaci erano stati arrestati per essersi opposti alla campagna di "educazione patriottica" condotta dalle autorità cinesi.
"Dalai Lama: se mi invitano, andò a Pechino". Prove di dialogo dal governo tibetano in esilio. Il primo ministro, Samdong Rinpoche, ha dichiarato che il Dalai Lama è pronto a partecipare alle Olimpiadi se verrà invitato dalla Cina. Ma a una condizione: "Che vi sia un allentamento della repressione. La Cina deve rilasciare tutti i prigionieri e prestare cure mediche ai feriti".
Quasi un mese di proteste. L’ondata di proteste tibetane contro il governo di Pechino è iniziata il 10 marzo scorso, con manifestazioni condotte dai monaci buddisti sfociate in violenze, nelle quali sono morte 20 persone secondo la Cina e circa 140 secondo gli esuli tibetani. La rivolta si è estesa alle zone a popolazione tibetana di tre province confinanti con la Regione Autonoma del Tibet: Sichuan, Gansu e Qinghai.
* la Repubblica, 5 aprile 2008.