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Pianeta Terra. Tibet, Cina, e....

OLIMPIADI DI PECHINO. INDIA. PREFERISCO DI NO. Bhaichung Bhutia, capitano della nazionale, rinuncia a fare il tedoforo il prossimo 17 aprile a Nuova Delhi: "Questo è il mio modo di essere accanto al popolo tibetano" - a cura di pfls

La nazionale di calcio indiana non partecipa alle Olimpiadi di Pechino.
sabato 5 aprile 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] "Questa è una mia decisione personale. Penso che quanto stia accadendo in Tibet non sia giusto e nel mio piccolo voglio dimostrare la mia solidarietà". La rinuncia del capitano della nazionale di calcio è la prima dopo che ieri un gruppo di esuli tibetani aveva manifestato a Nuova Delhi chiedendo ai tedofori di manifestare solidarietà verso la loro causa rinunciando a portare la torcia, oppure sventolando la bandiera tibetana durante la corsa o facendo dichiarazioni per il Tibet prima (...)

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> OLIMPIADI DI PECHINO. INDIA. PREFERISCO DI NO. ----- Quando il mondo si fa sentire (di Luigi Bonanate).

martedì 8 aprile 2008

Quando il mondo si fa sentire

di Luigi Bonanate *

La fiaccola olimpica deve fare ancora 130.000 chilometri: se ogni sua tappa sarà come quelle di Londra e Parigi c’è da temere che non arriverà mai a Pechino per incendiare il braciere olimpico che deve ardere nel periodo delle gare. Rischia invece di incendiare le opinioni pubbliche di quei paesi ai quali il Comitato, scegliendo la Cina come sede olimpica, intendeva mostrare i progressi civili e sociali di quell’immenso e appetibilissimo Paese. Inizia ora una specie di calvario lungo ancora 130 giorni di viaggio: altro che il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne! Questo inutile circuito mediatico della fiaccola mira(va) a suscitare simpatia per lo spirito olimpico, che doveva a sua volta veicolare la benevolenza verso un grande Paese che sta rinnovando profondamente la sua pelle, che sta preparando un’accoglienza turistico-spettacolare che non ha precedenti nel mondo, e proprio nel Paese che un tempo si era costruito una Grande muraglia per starsene al sicuro al di là! Naturalmente le buone intenzioni degli organizzatori erano rivolte, nello stesso tempo, anche al tentativo di liberare la popolazione da certe strettoie.

Strettoie nelle quali un governo comunista/capitalista (un bel nodo!) cerca di tenere sotto controllo uno sviluppo sociale, economico e produttivo talmente impetuoso che potrebbe rivelarsi uno tsunami per chiunque cercasse di incanalarlo e regolarne il flusso. In altri termini, la Cina oggi è di fronte all’alternativa tra repressione (anche se non siamo più ai tempo dello stalinismo, né a quelli di Pol Pot) e liberalizzazione (che potrebbe rivelarsi incontrollabile travolgendo ogni governo).

La prima soluzione ha suscitato l’opposizione dell’opinione pubblica contro quei governi che vedono nella Cina uno straordinario grande magazzino nel quale tutto si può vendere e tutto si può comprare. La liberalizzazione, che è la seconda alternativa, farebbe felici tutti noi, ma creerebbe una tensione politico-sociale in Cina ingestibile dall’attuale potere, che quindi se ne tiene ben lontano. L’ha dimostrato, purtroppo, con una chiarezza che non teme smentite, con la repressione in Tibet, tanto scomposta e brutale quanto simbolica ed esemplare, avvisando tutto il mondo (ivi compresa la parte di osservanza cinese) che la Olimpiadi non potranno a nessun titolo essere trasformate in una tribuna internazionale dei diritti umani.

I dirigenti cinesi forse non sanno però che lo sport è politica (ricordate quando il mito della superiorità socialista era incarnato negli anabolizzati atleti della DDR che vincevano quasi tutto, ma morivano pochi anni dopo?), ma neppure che intrecci perversi e anche violenti tra Olimpiadi e politica hanno già seminato morte e devastazione. Basta il ricordo di Monaco 1972 per farci rabbrividire; ma anche Mosca 1980, se pensiamo che quell’Olimpiade fu boicottata dai Paesi occidentali (Italia esclusa) per condannare davanti all’opinione pubblica mondiale l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Sembra preistoria... E ora, siamo di fronte a una suggestiva novità: di fronte ai vari governi, da quello cinese a quelli di Paesi come la Francia che promettono di partecipare ai giochi ma fingono di porre delle condizioni, si erge, con una carica di pura e semplice verità, un movimento d’opinione popolare che, di capitale in capitale, ripete la sua scoperta: gli “abiti nuovi dell’imperatore” non solo non sono nuovi, anzi non li ha neppure addosso. Sta succedendo in altri termini che la contestazione, sostanzialmente pacifica (e speriamo rimanga tale), mette in mora i governi che speravano di arrivare fino ad agosto in incognito, per così dire, facendo finta di niente; gli atleti si preparano, i dirigenti prenotano i biglietti, e poi via tutti ai Giochi.

I manifestanti stanno rompendo le uova nel paniere anche alla Cina, alla quale diventa ogni giorno più difficile tenere tutto nascosto. Dopo il Tibet, ora li aspetta un tragitto di più di centomila chilometri con 21 tappe, ciascuna delle quali può trasformarsi nel palcoscenico della contestazione della Cina e della volontà occidentale di andare ai Giochi: insomma, rischia di venirne fuori un’immensa frittata. Ma essa ci dice anche una cosa interessantissima: al black-out che la Cina si ostina a estendere a tutto il Paese fa riscontro una crescente apertura mediatica planetaria, che mostra quella è che la straordinaria forza comunicativa che le pubbliche opinioni, quando spontanee, sincere e non organizzate, hanno: esse sono la democrazia in cammino. Che cosa altro è la democrazia se non quella circostanza che vede in piazza (nella agorà greca) i cittadini (del mondo) che civilmente, ostinatamente, vivacemente espongono le loro critiche al proprio governo, a quello degli altri Paesi e anche a quello della Cina?

Un movimento democratico come questo potrebbe venir contrastato dalla Cina e dai governi dei principali Paesi con l’argomento della sicurezza: i disordini metterebbero in difficoltà gli Stati partecipanti, priverebbero di spontaneità e di gioiosità le varie gare, che dovrebbero venire blindate, nel timore di attentati, contestazioni, manifestazioni rivolte alla società cinese e non ai suoi Giochi. Insomma, non vorrete mica che l’opinione pubblica rovini i Giochi? Ma quando è in azione, la democrazia è irrefrenabile. Potremmo scoprire un bel paradosso: quanto più la Cina cercherà di calmare le acque aiutata dai governi occidentali, tanto più l’opinione pubblica internazionale si mobiliterà e alzerà la sua voce. Fino a farla sentire anche ai cinesi...

* l’Unità, Pubblicato il: 08.04.08, Modificato il: 08.04.08 alle ore 8.31


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