Apocalittici e disintegrati all’ombra dei Maya. Aspettando la fine del mondo
Venerdì 21 dicembre 2012 secondo un’antica profezia l’umanità scomparirà.
Migliaia di persone si preparano per quel momento
qualcuno con ironia ma molti altri seriamente
Feste, pacchetti new age negli hotel, arche anti-alluvione: tutto è pronto
di Angelo Aquaro (la Repubblica, 13.12.2012)
NEW YORK IL CARTELLO con il simbolo della Bomba è ingiallito e a malapena riesci a leggere il numero sotto la scritta “Capacity”. Fatica inutile. Cercare quaggiù rifugio sarebbe ancora più pazzesco che credere davvero alla fine del mondo in arrivo: «Erano già inservibili quando furono attrezzati per un attacco nucleare: cinquant’anni fa».
Qui a New York Andrew Gonsalves ne ha contati la bellezza di 139: 139 rifugi della Guerra Fredda che i nuovi fanatici vorrebbero per l’Apocalisse prossima ventura. «Ma se la fine del mondo dovesse davvero venire» ci dice il giovane studioso e blogger «chiudersi in una scatola sottoterra sarebbe ancora più inutile».
Fanno bene i ragazzi di Rochester che nell’attesa della fine del mondo hanno pensato di non farsi mancare niente: cinque dj e open bar, le danze che cominciano la sera del maledetto venerdì 21 dicembre e finalmente esplodono quando la mezzanotte sarà scoccata, segnando la fine del giorno che secondo la profezia Maya dovrebbe segnare la fine dell’universo.
Come dargli torto? Fanno bene i ragazzi di Rochester, lassù nell’Upstate, che nell’attesa della fine del mondo hanno pensato di non farsi mancare niente: cinque dj e open bar con cocktail a volontà, le danze che cominciano la sera di questo maledetto venerdì 21 dicembre e finalmente esplodono quando la mezzanotte sarà scoccata, segnando la fine del giorno che secondo la profezia Maya dovrebbe segnare la fine dell’universo.
La profezia di Frozen Oasis, il supergruppo di P. R. che ha organizzato questa “The End Of The World Convention” proprio lassù, dove lo stato di New York si affaccia sul gelo del Canada, è evidentemente molto più modesta: «Ci divertiremo da morire». Ma è proprio l’espressione usata - «da morire» - che fa venire ancora di più i brividi che la natura, questo è certo, non farà mancare: Weather Channel, che ha qualche strumento scientifico più raffinato che i Maya, prevede venerdì notte 5 gradi sotto zero - e neve, neve, neve, neve.
C’è poco da scherzare. La fine del mondo è così vicina che tre giorni prima, il 18 dicembre, la tv del National Geographic dedicherà proprio a New York la puntata di «Doomsday Preppers », il fortunatissimo show che indaga sui gruppi che si preparano all’Apocalisse. Basta un’esplosione a Indian Point, 60 chilometri a nord, la centrale nucleare disegnata con gli stessi crismi di Fukushima, e l’inizio della fine farebbe di Aton Edwards, un colosso nero che sembra la controfigura di Morgan Freeman, l’uomo più richiesto della Grande Mela: particolare peraltro poco significante in vista della fine. «Il piano prevede l’evacuazione di 20 milioni di persone da tutta la peak injury zone, cioè un raggio di 50 miglia dal centro del reattore », spiega il capo di International Preparedness Network al New York Post.
Evacuarli come? «Se vivi a Manhattan, Brooklyn, nel Queens o a Staten Island, mica potrai metterti in macchina: i ponti saranno intasati da tutti quello che fuggono». Ecco dunque a cosa serve essere prepper - preparati: allenandosi a fuggire in bici o scooter.
Prima che sia troppo tardi. Hai voglia a dire che non serve: o meglio non servirà. La Nasa ha messo in campo uno dei suoi migliori astrofisici, David Morrison, per spiegare in un video che sta scalando YouTube alla velocità di Gangnam Style che non c’è nulla da temere: il professor Morrison ha smontato una per una tutte le previsioni, partendo dalle 5mila domande che l’ente spaziale aveva ricevuto ancora prima della messa in onda del video. Niente.
I Maya Believers, i fedelissimi della fine del mondo, corrono a mettersi in salvo, novelli Noè, sulle vette dei nuovi monti Ararat identificate grazie a interpretazioni che si rincorrono senza nessuna verifica su Internet: provocando il caos.
Le autorità francesi hanno chiuso dal 19 al 23 dicembre l’accesso a Bugarach, il villaggio di 200 anime sui Pirenei indicato come uno degli ultimi rifugi. Sessantamila persone hanno preso d’assalto Sirince, il borgo in Turchia vicino a Efeso dove secondo la tradizione sarebbe stata assunta in cielo la Madonna.
L’ultimo domicilio conosciuto della salvezza è un monte che la natura ha disegnato a forma di piramide nei Carpazi, Mount Rtany, in Serbia. Mentre l’incontrastato eroe degli apocalittici è un cinese chiamato Lu Zhenghai, che ha speso la vita (e almeno 160mila dollari) a costruirsi la sua personalissima arca, l’Atlantis, nella convinzione che la fine del mondo si realizzerà appunto con una alluvione globale.
Ma che cosa nasconde davvero l’antica profezia? E perché i Maya avevano calcolato la fine del loro calendario dopo 5125 anni, nella data che tradotta nel nostro calendario ci accompagna appunto fino al 21 dicembre 2012? Geoffrey Braswell, il professore dell’Università di California che sui Maya è più che un luminare, giura all’Ap che «l’idea della fine del mondo appartiene piuttosto alla nostra cultura: storicamente non sappiamo neppure se i Maya credessero a qualcosa del genere ».
Un colpevole per la verità ci sarebbe. Michael D. Coe è l’archeologo e antropologo che nel suo fondamentale The Mayas ipotizzò per primo che «nell’ultimo giorno del 13esimo b’ak’tun - unità di misura del tempo della civiltà mesoamericana - l’Armageddon si sarebbe potuto portare via le genti degenerate del mondo».
Era il 1966: ed è da allora che gli autoeletti non degenerati hanno sincronizzato gli orologi nel conto alla rovescia. Occhio alle date però. La metà dei Sessanta vede anche il fiorire della civiltà New Age. E se gli apocalittici interpretano i Maya aspettando la fine del mondo, rilanciata anche dal successo del film “2012”, i fan dell’età dell’Acquario sognano invece un periodo di rigenerazione spirituale: due rette parallele che si incontreranno, irrimediabilmente, il 21 dicembre.
Così, mentre nella centralissima Karl Marx Street di Chelyabinsk, nel sud della Russia, l’ennesima setta millenarista oggi realizza un immenso arco Maya di ghiaccio, dall’altra parte del mondo, al sole di Culver City, Los Angeles, ci si prepara alla notte di rigenerazione spirituale, qui dove New Age è il nome perfino di un noto negozio di riparazione di automobili.
Naturalmente non poteva mancare chi della fine del mondo ha fatto addirittura un mestiere. John Kehne, un tizio di Louisville, Kentucky, la città finora famosa per essere la casa del grande Mohammed Ali, ha steso tutti gli avversari sul ring di Internet, allestendo dal niente un sito da 5 milioni di visitatori, avendo registrato per primo il nome “december2120012. com”.
Ma un business l’Apocalisse è diventata soprattutto dove avrebbero invece qualche motivo per preoccuparsene di più: cioè proprio nel Messico che fu dei Maya. Sì, Jose Manrique Esquivel, uno degli ultimi discendenti dell’antico popolo, corteggiato dalle tv di tutto il mondo, ora dice che la sua comunità, lì nella penisola dello Yucatan, la notte del 21 dicembre festeggerà «perché questa data segna la celebrazione della nostra sopravvivenza malgrado secoli di genocidi e oppressioni ».
Ma meno ai diritti umani e più al portafoglio pensano invece le grandi catene alberghiere che dal Marriott di Cancun al Fairmont di Playa del Carmen hanno messo a punto costosissimi pacchetti: tra una lezione di kundalini, che per la verità in quanto principio yoga arriva dall’India, e una cena tradizionale a base di yucca, verdolaga e chayote, dolce sarà l’attesa dell’Armageddon.
Sperando che abbia davvero ragione Dan Piraro, il celebre cartoonist Usa. Nella sua ultima vignetta c’è un giovane Maya che con un pizzico di imbarazzo mostra al sacerdote il calendario appena scolpito sulla ruota di pietra: «Avevo spazio solo fino al 2012... «. «Oh oh: un giorno questo farà andare fuori di testa qualcuno».
Un amico depresso accanto per sfidare la catastrofe
di Elena Stancanelli (la Repubblica, 13.12.2012)
La profezia dei Maya non lo dice, ma il segreto per affrontare con serenità la fine del modo è avere un amico, o un’amica depressi al proprio fianco. Chi ha visto il film di Lars Von Trier, lo sa: quando il futuro ha la forma di un pianeta gigantesco che si sta per schiantare contro la terra, la persona migliore con cui scambiare due chiacchiere è un nichilista accidioso, uno per cui tutto ha sempre fatto schifo, che nei momenti più allegri giudica la vita una galera, una condanna da scontare. Davanti alla catastrofe, saranno loro, il cui pensiero non sarà inquinato da alcun rimpianto, gli unici a prendere le decisioni giuste. In preda al panico, a loro chiederemo di leggere una favola ai nostri figli per tenerli tranquilli, un consiglio su cosa indossare, dove sistemarsi perché faccia meno male.
Il giorno della fine i depressi avranno finalmente ragione, si riveleranno nella loro essenza di alieni sapienti catapultati qui da un tempo più saggio, e non perderanno la testa. Faranno la guardia al nostro sconcerto, sorridendo. Ma quanto dovremmo resistere, quanto ci metterà il mondo a morire? Non lo sappiamo. L’asteroide farebbe scoppiare la terra come un palloncino nel momento dell’impatto, ma noi avremmo osservato per chissà quanto la sua forma minacciosa avvicinarsi, senza poter far nient’altro che lavarci i capelli per non farci sorprendere dalla morte in disordine. Epidemie, bombe nucleari, persino un cataclisma che ci spazzasse via a ondate avrebbe bisogno di un po’ di tempo per far piazza pulita. Qualche ora, un giorno? Diciamo che la mattina ci svegliamo vivi e a un certo punto della notte non ci sarà più niente.
Consegnate le chiavi di casa e i bambini al fidato amico depresso, cosa faremmo di quelle ore che restano, quali sarebbero i nostri ultimi desideri? Inutile dire che smettere di desiderare sarebbe la soluzione, sedersi a terra e farsi terra, bruco, vento ci permetterebbe di presentarci con dignità al giudizio finale. Ma chi ha smaniato per tutta la vita, chi ha voluto, perso, voluto di nuovo, chi ha immaginato che dietro l’angolo ci fosse ad attenderlo l’incontro migliore, non ce l’ha questa fermezza interiore, è inutile provarci. Voglio proprio vederlo uno come noi che si mette seduto tranquillo ad aspettare la fine del mondo. Siamo stati nevrotici, ossessivi, compulsivi, siamo stati occidentali alla fine dell’Occidente. Abbiamo scritto libri che parlavano solo di irrequietezza, fatto della dipendenza il nostro blasone, inventato i social network per mettere in un moto perpetuo planetario la nostra uggia... e in piedi di fronte al baratro dovremmo placarci? Lo escludo. Piuttosto, dal basso del nostro rimbambimento, ci prenderemmo le ultime, squallide soddisfazioni, sfuggendo alla sorveglianza dei nostri amici depressi. I quali, per definizione, non si occuperebbero di rincorrerci.
Se, come immagino, davanti all’asteroide che avanza, salteranno per primi i concetti di utile e sano, probabilmente trionferà la vendetta. Ma cose di piccolo cabotaggio. Abbiamo visto troppi film, video giochi, siamo stati incantati davanti alle immagini di decine di città trascinate via dall’apocalisse per prenderle sul serio. Finirà che ci comporteremo più o meno come sempre, solo un pochino peggio o un pochino meglio. Niente omicidi che oltretutto, per ovvie ragioni, sarebbero uno spreco di tempo. Si vedrà gente che sfonda macchine a martellate, scriverà spregevoli haiku sul muro della nuova fidanzata del proprio ex. Potremmo dar fuoco al ristorante sotto casa, la cui canna fumaria è puntata da anni verso la nostra camera da letto, devastare l’appartamento del vicino che non paga le rate del condominio, prendere a pugni il proprio capo.
Altri invece faranno pace con amici con cui non parlano da anni, restituiranno un libro preso in biblioteca nel 1984, diranno ti amo alla donna che li ha sposati comunque, anche senza esserselo mai sentito dire fino a quel giorno. Ma subito diranno che l’hanno detto così, per dire. Ci sono casi in cui la fine del mondo è ancora poco. All’ora di pranzo ci riempiremo la bocca di fette di roast beef e purè, scaveremo a mani nude dentro vassoi di pasta al forno e delicatissimi montblanc. Apriremo quella bottiglia che ci hanno regalato tanto tempo fa, e non era mai il momento giusto.
Oppure non la apriremo neanche questa volta, per scaramanzia. Fumeremo tutto quello che c’è da fumare, anche chi ha smesso ricomincerà. Gonfi e ubriachi proveremo malamente ad accoppiarci per l’ultima volta. Poi ci trascineremo di nuovo dal nostro amico depresso, che sarà rimasto sereno, a bada dei nostri averi, e ci addormenteremo nel suo grembo. Se proprio deve venire, speriamo che ci sorprenda così, la fine del mondo. Totalmente inconsapevoli, mentre un amico migliore di noi ci tiene la mano e ci osserva con indulgenza.