Alce Nero, il capo Sioux con la stoffa del santo
Alla vigilia della giornata che ricorda la campagna contro i nativi d’America cominciata il primo febbraio 1876 e culminata con il massacro di Wounded Knee, il giornalista-scrittore Luigi Grassia documenta l’autenticità della conversione di uno dei protagonisti di quel tempo. Oggi avviato all’onore degli altari.
di Alberto Chiara *
Questo non è un pezzo politicamente corretto. Se lo fosse, si allineerebbe ai tanti che hanno presentato il processo di beatificazione di Alce Nero (Black Elk, 1858 - 1950), il famoso stregone sioux, come una specie di risarcimento morale della Chiesa cattolica ai nativi americani per le sofferenze inflitte dalla civiltà occidentale ai pellerossa. Quelle sofferenze sono vere e documentate dalla storia.
Ma la petizione di 1600 sioux, fra cui molti familiari di Alce Nero e discendenti dai suoi discepoli, che di recente hanno chiesto ai vescovi americani di avviare l’iter che porti Alce Nero all’onore degli altari ha un significato esattamente opposto a quello che è stato spacciato: si tratta cioè della rivendicazione della natura cristiana del massaggio di Alce Nero, che non è morto da nostalgico della fede sioux ma da missionario cattolico; e che a suo tempo scrisse in una lettera: «Chiedo a voi, cari amici, che quel libro venga annullato».
«Quel libro» è il celeberrimo Alce Nero parla scritto dal poeta John Neihardt nel 1932; si tratta di un grandioso affresco della storia e della spiritualità dei sioux, ricostruite attraverso le parole di uno dei loro più grandi stregoni. Tranquilli, Alce Nero parla (negli Anni 60 una sorta di Bibbia della controcultura giovanile in America e in Europa) non sarà mai annullato, un po’ perché coi libri non si fa così, e soprattutto perché è troppo bello e lirico perché lo si possa cancellare; ma per ristabilire la verità storica, si tratta di un volume che ha un rapporto molto disinvolto e selettivo con la realtà dei fatti.
Quel che ha messo su carta Neihardt non è falso, ma è parziale. Il libro è assolutamente veritiero quando racconta di Alce Nero coinvolto da bambino nella battaglia di Little Big Horn contro Custer, poi nel massacro dei Sioux a Wounded Knee, e in seguito nella resistenza nazionale dei Lakota come popolo titolare di diritti. -Alce Nero parla è veritiero anche e soprattutto nel racconto della “visione” di Black Elk, una summa della cultura nativo-americana, riferita in termini diretti e spontanei, senza mediazioni da antropologi.
Ma lo stesso libro è incompleto, e anzi fuorviante nell’ ultimo capitolo, quello in cui il vecchio rimpiange la fine dell’ antica religione. Una cosa senza senso.
Alce Nero aveva concordato espressamente con Neihardt di scrivere tutt’ altro, e di menzionare che lo stesso Black Elk aveva rinnegato i valori del passato. «Ma lui non lo fece...» lamenta Alce Nero, profondamente amareggiato. Neihardt omise di riferire che Black Elk era stato per la maggior parte della vita non solo un convertito al cattolicesimo, ma un suo diacono e missionario.
«La preghiera della Chiesa cattolica è miglior della Danza degli Spiriti» ci ha lasciato scritto Alce Nero, per poi incalzare: «Forse ero un buon indiano, ma adesso sono migliore».
Da più di ottant’ anni Black Elk è un’ icona dei nativi americani e della rivendicazione dei loro sacrosanti diritti. Lo è stato davvero e continuerà ad esserlo, a giusto titolo, per la storia e per la politica. Però non sta per diventare un santo della spiritualità sioux, ma di quella cristiana.
* Famiglia Cristiana, 31/01/2019 (ripresa parziale).
La preghiera dal cuore del diacono Alce Nero
Torna in libreria la vera biografia del capo Sioux di cui è in corso la causa di beatificazione. Un classico dell’antropologia e della spiritualità
di Luca Gallesi (Avvenire, domenica 21 marzo 2021)
Era il 1932 quando il capo sioux Alce Nero (1863-1950), ultimo custode dei riti sacri degli Oglala, divenne famoso grazie al libro di John G. Neihardt Alce Nero parla, tradotto in italiano da Adelphi nel 1968, circostanza per la quale, da noi, divenne rapidamente un livre de chevet dei contestatori per la sua carica antiborghese ed ecologista. In realtà, quella che era passata per la sua autobiografia risultò essere stata fortemente manipolata dall’antropologo dilettante che lo aveva intervistato, e che aveva omesso fatti importantissimi, come ad esempio la conversione di Alce Nero al cattolicesimo.
Il nativo americano, infatti, si era fatto battezzare nel 1904, aveva insegnato il catechismo e battezzato a sua volta centinaia di Sioux, era diventato diacono, e oggi è in procinto di diventare il primo santo ’pellerossa’, dopo la santa Kateri Tekawitha, Mohawk vissuta, e morta giovanissima, nel Seicento.
Alce Nero fu profondamente amareggiato dal comportamento di Neihardt, che in una lettera aveva definito un «bugiardo» che aveva scritto un libro «nullo e di nessun valore». È dunque da considerare un’impresa straordinaria quella compiuta quindici anni dopo da John Epes Brown e raccontata nel libro La sacra pipa e i sette riti dei Sioux Oglala pubblicato in una nuova edizione italiana dopo quasi mezzo secolo dalle Mediterranee (pagine 150, euro 15).
Nel 1947, J.E. Brown, allora giovane assistente universitario di antropologia, si mise sulle tracce dell’anziano Oglala per raccogliere e riportare fedelmente le testimonianze della tradizione spirituale di cui Alce Nero era l’ultimo custode. Il vecchio sacerdote viveva nella riserva di Pine Ridge, nel Nebraska, e condivise per otto mesi la propria piccola casa di tronchi con il giovane studioso, il cui arrivo gli era stato predetto da una visione.
Alce Nero, infatti, prima di diventare missionario e diacono cattolico, era un ’uomo di medicina’, investito in tale ruolo da una visione, avuta a soli nove anni, che gli aveva indicato tale ruolo all’interno della sua tribù. Gli era stata, quindi, tramandata la storia della ’sacra pipa’ da Testa d’Alce, ultimo custode dei sette riti che legano gli uomini al Grande spirito, e che in questo libro vengono dettagliatamente riportati.
Arricchito da una sapiente Premessa di Marco Toti, La sacra pipa non è ’soltanto’ la testimonianza di una antica sapienza tradizionale, ma è, nelle intenzioni dell’autore, un tentativo di contribuire a portare la pace sulla terra, non solo tra gli uomini, ma anche dentro di essi e in tutto il creato: «Questa è la mia preghiera, che tramite la nostra sacra pipa, la pace possa giungere a quei popoli in grado di capire, capire con il cuore e non solo con la testa».