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Pianeta Terra. Olimpiadi 2008....

LAGYELO. PECHINO 2008: PER IL TIBET, UNA PAROLA. Con una parola si può fare molto. Un appello di Reinhold Messner - a cura di pfls

Vorrei che tutti gli atleti ai prossimi Giochi di Pechino - o almeno tutti quelli che saliranno sul podio - pronunciassero questa parola.
martedì 8 aprile 2008 di Maria Paola Falchinelli
Si pronuncia «laghielo», si scrive «lagyelo». È una parola
tibetana. Significa «gli dei sono stati clementi».
Io mi sento tibetano, perché la mia cultura, come la
loro, vive di montagna. Anche Milarepa, che è stato
il più grande poeta della montagna, era tibetano.
«Lagyelo» è
la parola con cui festeggiavo i miei ritorni dalle cime dell’Himalaya.
Perché solo gli dei possono accettare che qualcuno
salga nel loro regno.
Vorrei che tutti gli atleti ai prossimi Giochi di Pechino - o almeno (...)

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> LAGYELO. PER IL TIBET, UNA PAROLA. ---- PECHINO - Dopo giorni fermi a oltre ottomila metri di quota in attesa che il tempo migliorasse, una squadra cinese di alpinisti tedofori, a tre mesi dall’inizio dei Giochi di Pechino 2008, è riuscita nell’impresa senza precedenti di portare in vetta all’Everest la fiaccola olimpica. L’onore di tenerla tra le mani negli ultimi metri è toccato a una donna tibetana.

giovedì 8 maggio 2008

Ansa» 2008-05-08 20:54

LA FIACCOLA OLIMPICA SUL TETTO DEL MONDO

PECHINO - Dopo giorni fermi a oltre ottomila metri di quota in attesa che il tempo migliorasse, una squadra cinese di alpinisti tedofori, a tre mesi dall’inizio dei Giochi di Pechino 2008, è riuscita nell’impresa senza precedenti di portare in vetta all’Everest la fiaccola olimpica. L’onore di tenerla tra le mani negli ultimi metri è toccato a una donna tibetana.

L’impresa, che rappresenta un successo d’immagine per la Cina dopo settimane di contestazioni e violenze anti-cinesi e filo- tibetane che hanno costellato il percorso planetario della fiaccola, è stata realizzata alle 09:18 locali, le 03:18 italiane con l’arrivo in vetta a quota 8.848 metri dal versante cinese (tibetano). La tappa conclusiva dall’ultimo campo ("Camp Attack") a quota 8.300 metri - raggiunto da 19 alpinisti sui 36 (28 tibetani, 8 cinesi di etnia Han e 6 della minoranza Tujia) che componevano nel complesso la spedizione, attestatasi al Campo base il 27 aprile -, è stata completata in poco più di sei ore: la partenza, secondo l’ agenzia ’Nuova Cina’, è avvenuta alle 03:00 locali (le 21:00 italiane di ieri).

A una quarantina di metri dalla vetta la fiaccola, che era rimasta fino a quel momento chiusa nello zaino di uno degli alpinisti, è stata accesa. Questo tratto è stato coperto da cinque tedofori, l’ultimo dei quali era la tibetana Cering Wangmo. La torcia - distinta da quella che ha percorso il mondo e fatta per resistere in condizioni meteo estreme e dove è scarso l’ossigeno - è rimasta accesa nonostante il vento furioso e la temperatura di 30 gradi sottozero. I tedofori, che sulla vetta hanno esibito la bandiera cinese, quella olimpica e quella col logo di Pechino 2008, hanno esultato, dando il via alla festa: "Lunga vita al Tibet! Lunga vita alla Cina!", hanno gridato davanti a una telecamera collegata al campo base e alla Tv cinese. "Abbiamo realizzato una promessa al mondo intero e un sogno di tutti i cinesi", ha dichiarato il comandante del campo base, Li Zhixin. Ma non per tutti l’impresa è stata motivo di festa: per il governo tibetano in esilio a Dharamsala (India) si tratta di una "provocazione" da parte della Cina in un momento in cui la situazione in Tibet è "drammatica e tetra", mentre per gli esuli tibetani del movimento Students for a Free Tibet (Stf), si tratta di "una mossa politica per riaffermare il controllo della Cina sul Tibet".

Fra i critici anche l’alpinista altoatesino Reinhold Messner, che scalò l’Everest in solitaria e senza ossigeno: "E’ un’offesa per i tibetani. Una montagna che per la gente del posto è considerata sacra è stata strumentalizzata per un’operazione di marketing e propaganda". Un gruppo di alpinisti italiani che ha osservato la vetta da una montagna di fronte. sul versante nepalese dell’Everest, e che ieri aveva potuto seguire tutti i movimenti della fiaccola, ha espresso qualche dubbio. Nessuno ha visto niente, perché la vetta era coperta da nubi: "Dal versante nepalese comunque - ha detto l’alpinista italiano Gian Pietro Verza - sarebbe stato impossibile salire in vetta: il vento in quota soffiava a oltre 100 chilometri orari. Nessuno poteva farcela".


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