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Pianeta Terra. Olimpiadi 2008....

LAGYELO. PECHINO 2008: PER IL TIBET, UNA PAROLA. Con una parola si può fare molto. Un appello di Reinhold Messner - a cura di pfls

Vorrei che tutti gli atleti ai prossimi Giochi di Pechino - o almeno tutti quelli che saliranno sul podio - pronunciassero questa parola.
martedì 8 aprile 2008 di Maria Paola Falchinelli
Si pronuncia «laghielo», si scrive «lagyelo». È una parola
tibetana. Significa «gli dei sono stati clementi».
Io mi sento tibetano, perché la mia cultura, come la
loro, vive di montagna. Anche Milarepa, che è stato
il più grande poeta della montagna, era tibetano.
«Lagyelo» è
la parola con cui festeggiavo i miei ritorni dalle cime dell’Himalaya.
Perché solo gli dei possono accettare che qualcuno
salga nel loro regno.
Vorrei che tutti gli atleti ai prossimi Giochi di Pechino - o almeno (...)

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> LAGYELO. PER IL TIBET, UNA PAROLA. Con una parola si può fare molto. -- Il presidente della Repubblica ha salutato al Quirinale gli atleti italiani: ’Liberi per aiutare i diritti umani’ (di Massimo Razzi).

martedì 8 luglio 2008


-  Il presidente della Repubblica ha salutato al Quirinale gli atleti italiani
-  "La decisione di assegnare le Olimpiadi alla Cina ha grande valore storico"

-  Napolitano agli azzurri olimpici
-  ’Liberi per aiutare i diritti umani’

-  Antonio Rossi ha ricevuto la bandiera dalle mani del capo dello Stato
-  Lucio Dalla ha cantato l’inno degli azzurri. L’emozione degli atleti

di MASSIMO RAZZI *

ROMA - Finisce con Antonio Rossi, il grande canoista, visibilmente emozionato, la bandiera in mano, che ascolta il presidente parlare di diritti umani e della "la libertà di partecipazione attiva" che è "il miglior contributo che lo sport può dare alla causa dei diritti umani". Finisce così, la festa di oggi al Quirinale e parte da qui, dai giardini del palazzo sul Colle l’avventura azzurra alle Olimpiadi di Pechino. Parte dallo scambio di battute tra il presidente del Coni, Petrucci e Napolitano sul "diritto alla sconfitta" e la voglia di vittorie, parte sulle note dell’inno composto e cantato da Lucio Dalla: "Un uomo solo può vincere il mondo". Parte, soprattutto, da quei duecento ragazzi e ragazze (a Pechino saranno più di 300) seduti sulle seggiole di plastica sotto il grande platano. Alcuni sono famosi, famosissimi come Andrew Howe, Sebastian Giovinco, Igor Cassina, Vanessa Ferrari, Alessia Filippi e Alessandra Sensini, altri quasi nessuno li conosce. Alcuni tra questi diventeranno notissimi fra un mese perché, forse, vinceranno le medaglie italiane a Pechino.

Una cerimonia semplice, anche se, per la prima volta, gli atleti azzurri sono stati portati fino al Quirinale in parata, sui bus scoperti come si usa ormai con i campioni da osannare. Lungo il tragitto dallo stadio Olimpico al Colle hanno ricevuto gli applausi della gente per strada. Petrucci, nel suo breve discorso, ha sostenuto il concetto davvero decoubertiano del "diritto alla sconfitta", ma, ovviamente, ha chiesto e, in fondo, previsto, un buon numero di medaglie. Napolitano, si diceva, gli fa notare che "quella parola lì che non voglio pronunciare, va bene.." ma anche le vittorie non guasteranno. Già che c’è ribadisce il suo punto di vista sul "finanziamento automatico" allo sport "che ho già sostenuto, ma che posso solo auspicare". Petrucci abbozza, sorride e gli regala una tuta della nazionale con la scritta "Giorgio" sulla schiena.

Rossi, davvero sente il suo ruolo quando il presidente gli consegna la "bandiera tricolore con asta" (così la definisce il protocollo ufficiale) e quando, subito dopo, presenta i capitani delle squadre di specialità al presidente della Repubblica.

E sorride, il plurimedagliato canoista, quando Dalla canta l’inno appositamente composto per la squadra olimpica azzurra. Lo sentiremo all’inizio e alla fine di ogni trasmissione Rai da Pechino e in chissà quante altre occasioni. Parla di un "uomo solo" che "può vincere il mondo". Dalla è contento di aver composto ("è la prima volta che mi capita") un inno e di cantarlo nei giardini del Quirinale davanti a Napolitano: ""Mi lusinga, presidente, cantarlo qui davanti a lei che, in fondo, rappresenta tutta l’Italia".

ASCOLTA L’INNO DI DALLA

E mentre Dalla canta, i ragazzi sulle seggiole di plastica, costretti, fino a quel momento a un’intimidita immobilità, prendono vita, sorridono e battono il tempo. C’è la Filippi, bionda e apparentemente sempre più alta, la più sicura nel dare la mano al capo dello Stato con un gesto quasi affettuoso, l’affascinante pallavolista Gioli e Galiazzo, l’arciere di Atene seduto tra la bionda tiratrice Torresin e la rossa triatleta Charlotte Bonin. Chissà se, questa volta, a Pechino, Galiazzo trova l’anima gemella.

I ragazzi ascoltano attenti Napolitano che parla di cose molto serie: "La decisione del Cio di far ospitare alla Cina i prossimi Giochi non è stata facile ma assume un grande valore storico per una piena integrazione di questa grande nazione nella comunità internazionale". La Sensini, nel prologo, interrogata sul tema da Sandro Bragagna, dice: "Le Olimpiadi hanno fatto sì che situazioni non belle siano venute a galla sotto gli occhi del mondo. Già questo è positivo. Speriamo che chi di dovere intervenga". Ha ragione, la grande velista azzurra (38 anni, alla quarta Olimpiade, due bronzi e un oro nel suo palmares): i ragazzi sulle seggiole di plastica con la maglietta azzurra e la scrItta "Italia" un po’ psichedelica hanno le idee abbastanza chiare. Forse anche più di quanto si pensi: "Andremo a gareggiare - vogliono far sapere - E ad aiutare la causa dei diritti umani. Ma non strumentalizzateci, si va a Pechino per correre e saltare, non per predicare".

Lucio Dalla li saluta: "Vai... vai... vai...il tuo cuore non si ferma mai.. Ti porterà in mezzo al cielo tra le stelle. E la tua stella è quella là, la più lucida e più bella, quella della libertà".

* la Repubblica, 7 luglio 2008


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