E D I TO R I A L E - AGORA’
INTELLETTUALI: LA CASTA DIFENDE IL «COPIONE »
di EDOARDO CASTAGNA (Avvenire, 24.04.2008)
I casi dei ripetuti ed estesi plagi condotti dal filosofo Umberto Galimberti sui lavori di Giulia Sissa e Salvatore Natoli, evidenziati negli ultimi giorni da diverse testate tra cui «Avvenire», pongono un problema che va ben al di là della situazione contingente e delle persone implicate. Si tratta della questione della proprietà delle idee. Non si parla, banalmente, di diritti d’autore (benché anche questo sia in ballo), ma del fondamento stesso dell’attività intellettuale, della ricerca e dell’elaborazione del pensiero.
Sorprende leggere la difesa d’ufficio di Galimberti condotta ieri, sulle colonne del «Corriere della Sera», da Gianni Vattimo: «I nostri sono solo pensieri... Il sapere umanistico è teorico. Non dico che sia aria fritta, ma è tutto argomentativo... È tutto un glossare». Sorprende che lo spirito di casta possa prendere il sopravvento sull’orgoglio per il proprio lavoro - che, parlando di filosofia, è indissolubile dalla propria vita.
Ben più profondamente, ieri su queste pagine Natoli ha invece additato il vero nocciolo del problema: «Davanti al successo, la comunità scientifica si intimidisce... Invece, dovrebbe reagire». È questo che dobbiamo chiederci: come reagirebbe a un caso simile una comunità scientifica «sana», retta da quell’«etica della scrittura» invocata da Natoli? Come si comporterebbe un Paese dove le credenziali della propria autorevolezza sono una cosa seria?
Il rischio è che in Italia tutto si riduca alla solita bolla di sapone, davanti alla quale fare spallucce dopo pochi giorni. Il successo mediatico, fatto di apparizioni televisive e impegnati interventi sulle pagine più blasonate, è uno scudo formidabile, soprattutto quando si sposa a una certa consorteria culturale che - non è vicenda solo di oggi - in Italia ha sempre avuto la granitica capacità di elevare al di sopra di ogni ombra le proprie icone. «La comunità scientifica dovrebbe reagire», spera Natoli.
In pratica? In pratica la prima a doversi fare domande dovrebbe essere l’università. Le cattedre vengono assegnate - si suppone, si spera - in base ai meriti scientifici degli aspiranti, misurati in termini di quantità e qualità di pubblicazioni. Se queste pubblicazioni sono, in tutto o in parte, copie, plagi, appropriazioni indebite di idee - perché questo, e non banale «dimenticanza» di virgolette, è ciò che accade quando si spacciano per propri lunghi brani di altri autori, malamente o per nulla citati -, che si fa? Può un sistema accademico serio ignorare la cosa? E poi la stampa, l’editoria.
In quel Paese immaginario dove le cose funzionano come dovrebbero, è difficile immaginare che un autore «pizzicato» con le mani nella marmellata - intellettuale - altrui continuerebbe a trovare credito e spazio. A chiosa, un nostro «plagio»: come ha scritto Galimberti, «diventa legittimo chiedere a chi ha successo le credenziali della sua fortuna. E non è detto che chi ha successo riesca sempre a esibirle». O come qualche anno prima (lo abbiamo sottolineato ieri su queste pagine) ha scritto Natoli: «Legittimo richiedere all’altro le credenziali del suo successo. E non è detto che chi ha successo riesca sempre a esibirle».