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Memoria della Liberazione e Costituzione...

PER UNA VERA PACIFICAZIONE, GIUSTIZIA E LIBERTA’. «Non fingiamo di credere che si tratti di un genuino desiderio di ottenere una vera unità nazionale sulla Liberazione. La prova? Dell’Utri che vuole riscrivere i libri di storia». Un’intervista a Giorgio Bocca di Paolo Conti - a cura di Federico La Sala

sabato 26 aprile 2008 di Maria Paola Falchinelli


Berlusconi: «è l’ora della pacificazione nazionale»
«Capire i ragazzi di Salò». Polemiche sull’incontro con Ciarrapico. Bagnasco fischiato a Genova
Giorgio Bocca: «E’ opportunismo, come Violante. Per questo contestai anche Pertini»
di Paolo Conti (Corriere della Sera, 26.04.08)
ROMA - Ha letto le dichiarazioni di Berlusconi sul 25 aprile e i ragazzi di Salò, Giorgio Bocca?
«Non fingiamo di credere che si tratti di un genuino (...)

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> PER UNA VERA PACIFICAZIONE, GIUSTIZIA E LIBERTA’. «Non fingiamo di credere che si tratti di un genuino desiderio di ottenere una vera unità nazionale sulla Liberazione. La prova? Dell’Utri che vuole riscrivere i libri di storia». ---- Il presidente della Repubblica ci ricorda che la Resistenza vive nella Costituzione. Ha ragione e infatti conviene spostare qui il discorso. Su un piano che finora è rimasto misteriosamente in ombra nei commenti al voto del 13 aprile, ma che urge riportare alla luce (La ciliegina d Roma di Ida Dominijanni)

domenica 27 aprile 2008

La ciliegina di Roma

di Ida Dominijanni (il manifesto, 26 aprile 2008)

È di moda essere post-ideologici ed è per questo che Silvio Berlusconi invoca la pacificazione nazionale attaccando la «memoria di parte» della Resistenza mentre Walter Veltroni (sull’Unità di ieri) salva la memoria di parte della Resistenza invocando la pacificazione nazionale. Sempre di deideologizzare si tratta, anche se per il primo inchinarsi alla memoria dei vinti è una tassa da pagare alla gratitudine per i vincitori mentre per il secondo la memoria dei vinti va ascoltata senza perdere il senso delle distinzioni. Del resto, non è per caso che Berlusconi può far leva, perorando oggi le ragioni dei «ragazzi di Salò», sullo storico discorso di insediamento di Luciano Violante alla presidenza della camera nel ’96. Così come non è per caso che, deideologizzando oggi deideologizzando domani, siamo arrivati dove siamo arrivati, cioè a festeggiare il 25 aprile con Alemanno che rischia di prendersi il Campidoglio il 28. Una prova della pacificazione nazionale avvenuta?

Il presidente della Repubblica ci ricorda che la Resistenza vive nella Costituzione. Ha ragione e infatti conviene spostare qui il discorso. Su un piano che finora è rimasto misteriosamente in ombra nei commenti al voto del 13 aprile, ma che urge riportare alla luce in attesa di quello del 28. Di cambiare la Costituzione si riparlerà in modo «tecnico» di qui a poco, non appena il governo si sarà insediato. Ma non si tratterà affatto di un cambiamento tecnico, qualche parlamentare in meno, le tasse alle regioni, la sanzione formale di un presidenzialismo già praticato. La destra che ha vinto nel 2008 è la stessa che ha vinto nel ’94, e oggi come allora, a onta di chi spera in qualche litigata fra Bossi e Berlusconi, è saldamente tenuta assieme, nelle sue componenti post, anti e extracostituzionali, dal progetto di cambiare la Costituzione formale dopo aver cambiato quella materiale del paese. Gli appelli generosi a un patriottismo costituzionale che dovrebbe prima o poi superare i conflitti sulla memoria del 25 aprile si infrangono su questa semplice evidenza: il patriottismo costituzionale non conquista questa destra, perché questa destra non si riconosce nella Costituzione nata dalla Resistenza.

Conviene spostare qui il discorso, invece di attardarsi esclusivamente sulle rivelazioni «territoriali» del voto del 13 scorso, perchè le divisioni territoriali dell’Italia non sono estranee alla sua tormentata storia costituzionale, come sa chiunque non ignori totalmente la vicenda repubblicana. E come dimostrano le litanie sulla «questione settentrionale», se solo facessimo lo sforzo di tradurle nel linguaggio costituzionale dell’uguaglianza, della solidarietà, del lavoro e via dicendo. Risulterebbe chiaro allora che l’unità materiale e valoriale del paese è già fortemente compromessa (nel Nord ricco come nel Sud preda delle mafie globalizzate), e che ogni appello al patriottismo costituzionale rischia di essere fuori tempo massimo.

E’ in questo quadro che il ballottaggio romano di domenica prossima acquista una valenza simbolica particolare, per quanto «deideologizzata» possa essere, in tempi di globalizzazione, la funzione di una capitale nazionale. Col voto del 13 aprile, la destra post-costituzionale s’è presa tutta intera la torta. Col Campidoglio avrebbe anche la ciliegina. Meglio sarebbe un boccone di traverso.


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