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Democrazia e Capitalismo ....

PROFITTI, STIPENDI E SALARI: IL CASO SPECIFICO DELL’ITALIA (DALLA META’ DEGLI ANNI ’90 AL 2005). L’ATTACCO FORSENNATO ALLE TASCHE E AL CERVELLO DI TUTTI GLI ITALIANI E DI TUTTE LE ITALIANE. Un articolo di Maurizio Ricci - e una nota di Federico La Sala

martedì 6 maggio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni ’90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994, oltre il 31 per cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7 per cento nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per cento del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell’anno, è rimasto in tasca poco più del 68 per cento della ricchezza nazionale.
Otto punti in meno, rispetto al 76 per cento di vent’anni prima. (...)

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> PROFITTI, STIPENDI E SALARI: IL CASO SPECIFICO DELL’ITALIA (DALLA META’ DEGLI ANNI ’90 AL 2005). L’ATTACCO FORSENNATO ALLE TASCHE E AL CERVELLO DI TUTTI GLI ITALIANI E DI TUTTE LE ITALIANE. ---- Oltre il «voyeurismo fiscale». La privacy è importante, ma è altrettanto importante rompere un’imbarazzante tradizione: l’Italia è l’unica, tra le grandi democrazie, dove l’evasione è epidemica. Forse per questo negli Usa e in Gran Bretagna nessuno s’è mai sognato di mettere i redditi in Rete. Forse per questo ogni sondaggio (compreso quello di Corriere.it) dice la stessa cosa: la maggioranza, probabilmente a malincuore, è a favore della pubblicazione dei redditi. Tutti guardoni? Non credo (di Beppe Severgnini).

domenica 4 maggio 2008

Oltre il «voyeurismo fiscale»

Caccia agli evasori, la «via italiana» alla trasparenza *

Mai una volta che scegliamo la strada normale. La via italiana verso la convivenza civile è piena di buche, salti, scossoni, scontri, frenate e ripartenze. La nostra è una democrazia- rally, e la vicenda dei «redditi in Rete» ne è la prova. Non l’unica, né l’ultima. La più recente.

La retromarcia dell’Agenzia delle entrate, bacchettata dal Garante della privacy e indagata dalla procura di Roma, è tardiva: gli elenchi sono stati scaricati e adesso girano allegramente sulla Rete attraverso siti di condivisione, detti «p2p» («peer to peer», «da pari a pari»). È facile immaginare sviluppi della faccenda: aspettiamoci elenchi, per città o per professioni. Chi vorrà, saprà.

È solo «voyeurismo fiscale», o c’è dell’altro? La diffusione di quei dati è certamente irrituale, un altro modo per dire: discutibile. E, infatti, stiamo discutendo. Non perché «così si aiuta la criminalità organizzata », un argomento debole, che curiosamente accomuna Beppe Grillo, comico benestante, e Roberto Speciale, ex comandante della Guardia di finanza, ora parlamentare Pdl. I criminali, in certe parti d’Italia, guardano ai patrimoni reali, non ai redditi dichiarati.

Il motivo di perplessità è un altro. Molti cittadini considerano il reddito un «dato riservato», come un’informazione sanitaria o sessuale. Da anni i redditi vengono pubblicati dai giornali di provincia, nel silenzio del Garante e per la goduria dei provinciali. Ma questo non conta, apparentemente. Ora c’è Internet, che rende facile la consultazione. Quindi, stop! Fra trasparenza e riservatezza, tanti italiani scelgono la riservatezza. Molti di loro vanno capiti: perché un modesto 730 dev’essere di dominio pubblico? Anche gli uffici del personale sono irritati: il gioco del «divide et impera», basato sul segreto retributivo, diventa complicato. Ma più di tutti sono scocciati quelli che portano a casa 300 e dichiarano 40. Sono loro l’oggetto della curiosità e dell’indignazione: le migliaia di professionisti che dichiarano poco più della segretaria, non qualche dozzina di calciatori. È la stramba via italiana alla normalità, che passa attraverso le eccezioni. Per ripulire il calcio e la Banca d’Italia, s’è resa necessaria l’indiscutibile barbarie delle intercettazioni. Per arrivare alla decenza fiscale, dobbiamo passare attraverso l’indecenza dei dati in Rete?

Altra via non si vede. Non sono i controlli e le punizioni che spingono uno scandinavo, uno scozzese o un californiano a pagare le tasse. È la pressione sociale. La vergogna d’essere considerato - dai parenti, dai consoci al Lions Club, dagli amici del figlio - un evasore. Uno che costringe un altro a pagare di più. Uno che fornisce al fisco la giustificazione per alzare le aliquote, complicare le norme, aumentare i controlli. Uno che ti sorride, ma ti frega.

Chi s’arrabbia per la pubblicazione dei redditi va capito. Ma prima di regalargli la vostra solidarietà, chiedetegli - privatamente, s’intende - quanto dichiara, quante case ha in giro e che auto tiene in garage. La privacy è importante, ma è altrettanto importante rompere un’imbarazzante tradizione: l’Italia è l’unica, tra le grandi democrazie, dove l’evasione è epidemica. Forse per questo negli Usa e in Gran Bretagna nessuno s’è mai sognato di mettere i redditi in Rete. Forse per questo ogni sondaggio (compreso quello di Corriere.it) dice la stessa cosa: la maggioranza, probabilmente a malincuore, è a favore della pubblicazione dei redditi. Tutti guardoni? Non credo.

-  Beppe Severgnini
-  www.corriere.it/italians
-  04 maggio 2008


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