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EUROPA. Società e Cultura ....

ITALIA RICORDA: «IL RAZZISMO PORTA CATASTROFI». Dibattito straordinario al Parlamento europeo - a cura di pfls

I rom non possono diventare il bersaglio di chi porta avanti politiche estremamente populiste (Martin Schultz).
martedì 20 maggio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] l’europarlamentare rom Viktória Mohácsi, che nei giorni scorsi ha visitato i campi nomadi di Roma e Napoli. Il suo è un affondo pesante: «In Italia - racconta - i rom sono diventati il capro espiatorio elettorale: l’emergenza rom è stata causata da un presunto rapimento di una bambina a Napoli. A me - sostiene - sembra che la storia sia falsa: la polizia non ha visto nessuna denuncia, non ci sono indagini in corso. Il 13 maggio poi ci sono state le molotov a Ponticelli e sulla base (...)

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> ITALIA RICORDA: «IL RAZZISMO PORTA CATASTROFI». ---- Intervista a Alain Touraine: "Vi racconto come pensa uno xenofobo" (di fabio Gambaro)

martedì 20 maggio 2008

Intervista a Alain Touraine: "Vi racconto come pensa uno xenofobo"

Perché ci sentiamo sempre più minacciati.

di Fabio Gambaro (la Repubblica/DAIRIO, 20.05.2008)

PARIGI. «Viviamo in una società in cui ci sentiamo spesso minacciati. La mondializzazione, le catastrofi naturali, la crisi economica, le difficoltà della vita quotidiana. Abbiamo la sensazione di non riuscire più a far fronte a minacce che sono spesso indefinite e imprevedibili. Ci sentiamo senza difese e incapaci di agire, di conseguenza abbiamo paura. Una paura indistinta che trasferiamo sugli altri, soprattutto sugli stranieri». Alain Touraine non ha dubbi, la xenofobia è una reazione che rivela le contraddizioni di una società sempre più disgregata e incerta. «Attraverso la xenofobia si manifesta la paura di chi, al di là del passaporto, è diverso da noi fisicamente, ma anche sul piano della cultura, della religione o degli stili di vita. Le caratteristiche dell’altro però sono solo un pretesto per poter proiettare su di esso le nostre angosce», spiega il sociologo francese che ha appena pubblicato La globalizzazione e la fine del sociale (Il Saggiatore), un volume che viene ad aggiungersi ai molti altri già tradotti in italiano. «Rifiutando l’altro a partire da questa o quella caratteristica, la xenofobia mette in moto una dinamica che giunge perfino a negare l’umanità dell’altro, dichiarandolo non umano in quanto integralmente diverso da noi. La disumanizzazione dell’altro è una delle conseguenze più gravi della xenofobia».

Significa che lo xenofobo irrigidisce e assolutizza la nozione di altro da sé?

«Per lo xenofobo diventa impossibile vivere insieme agli altri, nei confronti dei quali agisce un vero e proprio tabù. Gli altri sono percepiti come essere impuri, la cui presenza minaccia una comunità idealizzata come pura e quindi da preservare da eventuali contaminazioni. In questo modo, nasce lo straniero assoluto, che diventa una minaccia globale da cui ci si deve difendere. Condotto alle estreme conseguenze, tale ragionamento produce il razzismo, vale a dire la forma più radicale della xenofobia. Naturalmente, chi è xenofobo si muove sempre sul piano generale, stigmatizzando un’intera comunità, anche se poi, sul piano personale, avrà sempre un amico arabo, senegalese o rumeno da esibire per respingere ogni accusa di xenofobia».

Le sembra che oggi la xenofobia sia in crescita?

«Sì e naturalmente ciò mi preoccupa molto, perché si tratta di un segno inquietante per la nostra società. Certo, se ci si colloca in una prospettiva storica, dobbiamo riconoscere che la storia del mondo è spesso stata dominata dal rifiuto degli altri, dei barbari, dei diversi. In passato, abbiamo avuto situazioni molto più gravi di quelle odierne, come quelle nate dalla tratta degli schiavi e dal colonialismo. Oggi però, dopo un lungo periodo in cui la xenofobia sembrava progressivamente arretrare, mi sembra che si stia tornando indietro. Si ritorna alla barbarie. E la xenofobia è una delle sue manifestazioni».

Quali sono le cause di tale evoluzione?

«Viviamo in una società più aperta e mobile, nella quale i contatti tra popolazioni differenti sono più facili e costantemente in crescita. È una situazione che produce conseguenze contraddittorie. Accanto all’apertura e alla disponibilità, si manifesta anche l’esasperazione dell’inquietudine che alimenta il rifiuto degli altri. Ma quando un’intera comunità viene osteggiata e respinta, finisce per ripiegarsi su se stessa, sprofondando nel risentimento. Il riflusso comunitario e la xenofobia sono strettamente intrecciati. Si alimentano vicendevolmente».

La xenofobia nasce anche da una crisi d’identità?

«Certamente, ma non è combattendo chi è diverso da noi che si rafforza la nostra identità. Al contrario, la coscienza della propria identità si accresce nel dialogo con l’altro da sé. In ogni caso, è vero che la xenofobia nasce quando un’identità si sente fragilizzata da minacce non immediatamente riconoscibili. Oltretutto, la mondializzazione, oltre a rimettere in discussione la nostra identità, minaccia la nostra capacità di agire. Sempre più spesso ci sentiamo deboli e impotenti. In alcune situazioni, come ha sottolineato il sociologo Alain Ehrenberg, assistiamo a un vero e proprio crollo dell’io. Allora diventa facile scaricare la responsabilità di tale situazione su qualcun altro che è riconoscibile attraverso questa o quella caratteristica specifica. La minaccia imprecisa e sfuggente diventa così immediatamente identificabile e quindi più facile da respingere. È la dinamica del capro espiatorio».

Di fronte a queste problematiche, la sinistra è spesso accusata d’ingenuità e d’eccessiva comprensione per gli stranieri. Che ne pensa?

«In passato, in nome dei valori dell’Illuminismo, la sinistra ha giustificato la colonizzazione. Quindi non è vero che essa sia sempre stata dalla parte degli altri. Detto ciò, è vero che oggi la sinistra viene spesso accusata di essere troppo accondiscendente nei confronti degli immigrati. Personalmente, non credo sia vero. Semplicemente cerca di resistere a un discorso dominante che utilizza il tema della sicurezza per giustificare un discorso xenofobo. Naturalmente, la sicurezza è un diritto di tutti che va garantito, specie alle popolazioni più deboli e precarie. Non bisogna però cadere nella demagogia, rendendo responsabile delle nostre difficoltà interi gruppi di popolazioni. Oggi tutte le statistiche ci dicono che la criminalità è opera soprattutto di giovani non immigrati. La minaccia criminale quindi viene dall’interno del paese, non dall’esterno. Non sono gli immigrati che vivono nell’insicurezza a minacciare la nostra sicurezza. Bisogna continuare a ripeterlo e cercare di elaborare politiche in grado di tenere insieme accoglienza degli altri e diritto alla sicurezza. Anche se certo ciò non è sempre facile».

Cosa si può fare concretamente per far arretrare la xenofobia?

«Al di là del discorso classico che tenta d’intervenire sulle cause sociali ed economiche che alimentano la paura, mi sembra importante favorire il dibattito e le decisioni politiche a livello locale. È importante che ci sia un dialogo diretto tra i cittadini e gli amministratori politici, perché solo così diventa possibile elaborare politiche efficaci che non siano xenofobe. La discussione è insostituibile, perché consente di smontare e decostruire il discorso della xenofobia, mostrando ai cittadini che gli immigrati non sono una minaccia. La riflessione e la discussione consentono di evitare le reazioni irrazionali. Solo così si sfugge alla paura».


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