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Dopo l’apartheid e dopo Mandela...

IN SUDAFRICA UNA PERICOLOSA ONDATA XENOFOBA. Almeno 6 mila persone hanno cercato rifugio nelle chiese e nelle stazioni di polizia. Sono soprattutto cittadini dello Zimbabwe. Una corrispondenza di Massimo A. Alberizzi - a cura di pfls

mercoledì 21 maggio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Mentre il presidente sudafricano Thabo Mbeki ha annunciato un’inchiesta «per capire cos’ha provocato l’ondata di violenza», Jacob Zuma, presidente del partito al potere, l’African National Congress e futuro candidato alla presidenza l’hanno prossimo, è andato giù pesante con dichiarazioni che hanno marcato la distanza politica che separa i due uomini (nella corsa alla nomination Zuma ha battuto il candidato di Mbeki): «Dobbiamo vergognarci del nostro comportamento - ha detto - . Noi (...)

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> IN SUDAFRICA UNA PERICOLOSA ONDATA XENOFOBA. ---- Xenofobia in salsa sudafricana e sospetti di complotto.LE VIOLENZE TRA LOCALI E IMMIGRATI A JOHANNESBURG (di Giulio Albanese).

mercoledì 21 maggio 2008

LE VIOLENZE TRA LOCALI E IMMIGRATI A JOHANNESBURG

Xenofobia in salsa sudafricana e sospetti di complotto

di GIULIO ALBANESE (Avvenire, 21.05.2008)

Leggendo i giornali sudafricani in questi giorni viene da pensare quanto sia vero che «tutto il mondo è Paese». In effetti, le rimostranze dei ceti meno abbienti nei quartieri popolari di Johannesburg che accusano gli immigrati - provenienti in gran parte da Zimbabwe e Mozambico - di togliere loro il lavoro e di incrementare il tasso di criminalità in Sudafrica, sono per certi versi le stesse del quartiere Ponticelli a Napoli. Una sorta di guerra tra poveri che sta contagiando ampi strati della popolazione. L’unica differenza sta nell’intensità degli scontri che a Johannesburg hanno causato oltre 24 morti e 300 arresti, mentre nelle periferie delle nostre città non si è registrato un simile bollettino di guerra. Il tanto agognato «rinascimento africano», che doveva caratterizzare la svolta del dopo apartheid, non pare avere ancora generato i risultati promessi sia dal «padre della patria» Nelson Mandela, sia dal suo delfino ed attuale presidente, Thabo Mbeki. Stiamo parlando di un Paese che, quanto a risorse naturali e potenzialità umane, potrebbe raggiungere livelli di benessere pari se non addirittura superiori agli standard occidentali, se non fosse ancora ostaggio di una irrisolta questione sociale, legata in gran parte ai suoi trascorsi coloniali.

Se da una parte è innegabile la crescita dell’economia nazionale con un prodotto interno lordo che nel 2006 ha segnato un tasso di crescita del 5%, dall’altra si registra un crescente divario tra ricchi e poveri, per non parlare dei tassi di mortalità infantile dovuti in gran parte all’Aids, che secondo l’Unicef sono quasi raddoppiati durante gli ultimi 10 anni, mentre il livello di disoccupazione è attestato attorno al 25%. Nel frattempo i giovani senza lavoro, angosciati dalla preoccupazione di sbarcare il lunario, vanno a ingrossare le file della criminalità comune.

Sta di fatto che il rapporto 2006-2007 della polizia sudafricana rileva un incremento del 3,5% negli omicidi, del 118% nelle rapine a mano armata alle banche, del 25,4% nei furti di appartamenti e del 6% nei sequestri di veicoli. Basti pensare che già dagli anni ’90, su alcuni modelli di autovetture, sono stati installati sistemi di autodifesa (addirittura lanciafiamme) per i conducenti, contro ogni forma di aggressione. Emblematico è il caso di Lucky Dube, star sudafricana della musica reggae, freddato a Johannesburg nell’ottobre scorso da due uomini armati, che gli hanno sparato mentre si trovava al volante.

Detto questo, è chiaro che la xenofobia di questi giorni è sintomatica dello scontento popolare generato dalla crescente disoccupazione e soprattutto dalla mancanza di interventi da parte dello Stato nell’arginare lo sfruttamento degli immigrati, assunti e pagati molto meno degli stessi sudafricani. Un fenomeno sperequativo che richiama alla mente un certo caporalato che affligge alcune realtà territoriali italiane.

Ma come spesso accade in simili circostanze, quando il malcontento popolare diventa strumento di coercizione dei poteri occulti, alcuni osservatori a Johannesburg non hanno escluso che dietro le quinte qualcuno stia complottando contro il governo di Mbeki. Forse per mettere in difficoltà chi più di altri in questi anni ha tentato di mediare e per certi versi ha difeso il regime del vicino di casa, Robert Mugabe. Una politica, quella di Pretoria, all’insegna del temporeggiamento, che ha acuito il flusso migratorio di profughi dallo Zimbabwe con una lunga serie di complicazioni a livello d’integrazione.


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