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Filosofia, Antropologia, e Letteratura....

A CLAUDE LÉVI-STRAUSS (CENTO ANNI IL 28 NOVEMBRE 2008). E AL SUO LAVORO "TRISTI TROPICI" - UN’OPERA UNICA, ASSOLUTA. Una nota di Antonio Gnoli - a cura di pfls

Sotto quel caos di emozioni e di avventure, regna un ordine nascosto, un sapere che fa appello alle semplici regole dello strutturalismo.
venerdì 23 maggio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Lévi-Strauss trascorse diversi anni nelle foreste del Mato Grosso. Vi giunse nel 1935 e ripartì nel 1939. Su quell’esperienza lasciò per anni calare il silenzio. Non una parola che ricordasse le difficoltà, i rischi, i timori, che gli incontri con civiltà indigene, remote e incontaminate gli avevano procurato. Poi, quindici anni più tardi, decise di raccontare quello che aveva visto e vissuto. E ne venne fuori Tristi Tropici, un’opera unica. Assoluta, come possono esserlo quei libri (...)

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> CLAUDE LÉVI-STRAUSS ---- Alla scoperta di noi selvaggi. Una conversazione di Lévi-Strauss con Marcel Hénaff (di Marino Niola)

venerdì 12 luglio 2013


Alla scoperta di noi selvaggi

Una conversazione di Lévi-Strauss con Marcel Hénaff

di Marino Niola (la Repubblica, 13.07.2013)

IL LIBRO Dentro il pensiero selvaggio di Claude Lévi-Strauss con Marcel Hénaff Medusa pagg. 96 euro 12

Lévi-Strauss colpisce ancora. A tre anni dalla sua scomparsa esce l’ultima grande intervista concessa dal più importante antropologo del Novecento. Una conversazione serrata e appassionante con un interlocutore d’eccezione come il filosofo francese Marcel Hénaff, professore all’Università della California. Titolo, Dentro il pensiero selvaggio. L’antropologo e i filosofi (Medusa, pagg. 96, 12 euro).

Argomento del libro è l’attualità di quell’ossimoro rivoluzionario che nel 1962 diede il titolo a uno dei livres de chevet del secolo breve. Di fatto il pensiero selvaggio mandava in pensione l’opposizione eurocentrica e rassicurante - egualmente cara agli idealismi e ai marxismi - tra primitivi e civilizzati. Questi logici e razionali, quelli prelogici ed emotivi. Praticamente non pensanti, impressionabili dalle cose ma incapaci di dominare il mondo con gli strumenti della ragione.

E in questo dialogo con Hénaff Lévi-Strauss torna sull’argomento e col senno di poi rincara addirittura la dose. Ricordando che gli indios dell’America centromeridionale senza provette, alambicchi e microscopi avevano inventato tecniche per detossificare la manioca a scopi alimentari. Erano riusciti a disidratare le patate alternando fasi di congelamento e di fermentazione. Ed è grazie a loro che abbiamo il mais, creato incrociando specie non commestibili. E per di più senza compromettere gli equilibri ambientali.

Come dire che la scienza non è prerogativa esclusiva di civiltà come la nostra. Perché in realtà il pensiero selvaggio non è il pensiero dei selvaggi, ma è una modalità del pensiero che fiorisce in ogni mente umana, contemporanea e antica, vicina e lontana. È un modo di rapportarsi alla realtà che si trova anche in noi e si manifesta tutte le volte che la mente si ricongiunge alle cose, fa corpo con la natura. È una logica del concreto. Simile a quella dell’arte, della musica, della poesia.

È questa la conclusione provocatoria del grande vecchio che poi spara ad alzo zero sulla filosofia che si ostina a far rientrare la realtà nei suoi schemi come in un letto di Procuste. Il mio pensiero, dice polemicamente l’autore di Tristi Tropici, ha sempre avvertito un senso di soffocamento di fronte a certe astrazioni. Invece “all’aperto l’aria nuova lo rinvigoriva”.

Come dire che l’esperienza dell’altro in carne e ossa è la sola cura contro un universalismo astratto ed eurocentrico. Eppure qualcosa di universale esiste. E l’antropologia indica la strada concreta per trovarlo. Quella che passa attraverso le umanità particolari, per arrivare a quel minimo comune denominatore che ci rende tutti umani. Quell’unità della specie che la modernità ha cominciato a cercare da quando le scoperte geografiche hanno allargato improvvisamente i confini del mondo.

Oggi che non siamo noi a viaggiare verso gli altri ma sono loro a viaggiare verso di noi, a colonizzare il nostro mondo, si ripropone alla rovescia il dilemma dei conquistadores. Cosa possiamo fare noi e loro per coabitare in un pianeta sempre più affollato. In cui un Lévi-Strauss novantaseienne confessa di sentirsi fuori luogo, quasi deportato, fotografando con oggettività da entomologo e visionarietà da profeta quella crisi sistemica che spaesa tutti noi. Perché avvertiamo che niente più sarà come prima. E viviamo con inquietudine una mutazione dagli esiti imprevedibili.

Eppure, ora come allora, si tratta di mantenere l’ordine. Ed è proprio questo il vero tratto universale, la vera natura di homo sapiens. In fondo le istituzioni umane, la cultura, le arti, le ideologie e le religioni stesse sono dispositivi per ordinare la realtà. E parare ogni volta i colpi del caos.


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