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Filosofia, Antropologia, e Letteratura....

A CLAUDE LÉVI-STRAUSS (CENTO ANNI IL 28 NOVEMBRE 2008). E AL SUO LAVORO "TRISTI TROPICI" - UN’OPERA UNICA, ASSOLUTA. Una nota di Antonio Gnoli - a cura di pfls

Sotto quel caos di emozioni e di avventure, regna un ordine nascosto, un sapere che fa appello alle semplici regole dello strutturalismo.
venerdì 23 maggio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Lévi-Strauss trascorse diversi anni nelle foreste del Mato Grosso. Vi giunse nel 1935 e ripartì nel 1939. Su quell’esperienza lasciò per anni calare il silenzio. Non una parola che ricordasse le difficoltà, i rischi, i timori, che gli incontri con civiltà indigene, remote e incontaminate gli avevano procurato. Poi, quindici anni più tardi, decise di raccontare quello che aveva visto e vissuto. E ne venne fuori Tristi Tropici, un’opera unica. Assoluta, come possono esserlo quei libri (...)

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> A CLAUDE LÉVI-STRAUSS --- A lezione di pensiero selvaggio. Un antropologo a New York. "Chers tous deux". Note di M. Niola e F. Gambaro.

domenica 29 novembre 2015

ANTROPOLOGIA E FILOSOFIA. C. Lévi-Strauss, Chers tous deux. [Lettres à ses parents 1931-1942]

A lezione di pensiero selvaggio

di Marino Niola (la Repubblica, La domenica, 29.11.2015)

Scandiva le parole con la precisione di un metronomo. Seguiva il filo del discorso in un labirinto di cui conosceva alla perfezione le entrate e le uscite. La sua testa piccola e affilata somigliava a quella di un uccello che punta la preda. Il resto lo facevano la solennità gnomica dei toni e l’eleganza severa dei gesti, che rendevano le lezioni di Claude Lévi-Strauss al Collège de France delle performance intellettuali. Si aveva la sensazione fisica di assistere a un’opera che si produceva davanti ai nostri occhi. E qualche volta sembrava addirittura di sentire il ronzio del pensiero al lavoro.

Lui era tutto il contrario dell’antropologo alla Indiana Jones, quello sempre vestito di avventura. Era invece il più schivo e il più inimitabile dei maestri. Smontava e rimontava mondi lontani con l’acribia di un orologiaio cosmico. Rapito dalla logica incandescente del pensiero selvaggio, passava con la facilità apparente del poeta, dai miti degli indiani d’America allo sciamanesimo siberiano. Dai cacciatori di teste agli psicanalisti, che considerava i nostri riduttori di teste. La sua erudizione, sterminata e preziosa, lo faceva volare tra Montaigne ed Erodoto, tra Baudelaire e Wagner. Ogni volta dinamitava le nostre certezze con una calma olimpica. E con il gusto sottile dell’oscurità. Che è concessa solo ai grandi.


L’inedito. Tribù metropolitane

Lévi-Strauss. Un antropologo a New York

Fuggito dalla Parigi nazista l’autore di “Tristi tropici” si rifugiò tra i grattacieli di Manhattan. E in queste lettere ai genitori ne raccontò usi e costumi

di Fabio Gambaro (la Repubblica, La domenica, 29.11.2015)

PARIGI «DA QUESTE PARTI VEDO PERSONE che vivono da venticinque anni nella condizione d’immigrati. Sono già al loro quarto o quinto paese rifugio, e dappertutto hanno lasciato qualcosa. Tra di loro ci sono giovani, uomini o donne, che non hanno mai conosciuto altra esistenza». Nel maggio del 1942, quando scrive queste amare parole, Claude Lévi-Strauss è in esilio a New York, dove si è rifugiato l’anno prima fuggendo dalla Francia delle persecuzioni razziali e dell’occupazione nazista. La lettera è una delle duecentodiciassette scritte dal celebre antropologo ai genitori tra il 1931 e il 1942 e oggi pubblicate per la prima volta in Francia in un volume intitolato Chers tous deux. [Lettres à ses parents 1931-1942] (Seuil, La librairie du XXI siècle, 560 pagine, 25 euro).

Il libro si apre con una quarantina di missive scritte dal futuro autore di Tristi tropici durante il servizio militare, prima a Strasburgo e poi a Parigi. Lo studioso poco più che ventenne vi descrive con curiosità e distacco i riti dell’esercito, nei cui ranghi però soffre soprattutto «l’assenza totale di solitudine».

Appena terminato il servizio di leva, nel 1932, Lévi-Strauss ottiene il suo primo incarico come insegnante di filosofia a Mont de Marsan, una cittadina nel sud ovest della Francia. Da lì scriverà ai genitori un centinaio di volte, raccontando la vita di provincia, il mondo scolastico, le lezioni con le quali ad esempio fa scoprire Ibsen a studenti che non «non ne hanno mai sentito pronunciare il nome». Non mancano le gite in bicicletta e i piaceri della buona tavola, come pure le tracce delle sue letture, dove Viaggio al termine della notte - «un capolavoro lungo ma straordinario» - affianca la Storia della rivoluzione russa di Trotsky. In quei mesi infatti, il giovane professore s’interessa molto alla vita politica, milita nei ranghi della Federazione socialista e decide persino di candidarsi alle elezioni locali, progetto poi andato in fumo a causa di un incidente automobilistico.

A queste lettere - «testimonianza di un mondo che non esiste più», come scrive Monique Lévi-Strauss nell’introduzione - seguono quelle che Lévi-Strauss scrisse da New York nel primo periodo del suo esilio americano. Qui la tonalità è decisamente più cupa e preoccupata. Negli Stati Uniti l’antropologo deve affrontare la solitudine, la lontananza e le ristrettezze economiche, senza dimenticare le notizie inquietanti provenienti dalla Francia dove sono rimasti i genitori che lo studioso cerca in tutti i modi di far venire negli Stati Uniti.

A New York oltre a darsi da fare per aiutare gli altri esuli in fuga dal nazismo, partecipa attivamente alle trasmissioni radiofoniche destinate a mantenere viva la speranza nella Francia occupata. Sono anni difficili. Per fortuna però Lévi-Strauss può contare sull’appoggio di un gruppo di esuli, tra cui Breton e Masson, con cui condivide inquietudini e speranze.

Nelle lettere, dove spesso è costretto a utilizzare parole in codice per aggirare la censura, non c’è però solo la preoccupazione. Lévi-Strauss vi racconta con stupore la scoperta della società americana, così diversa e lontana da quella francese, e sempre ricca di sorprese.

I contatti con il mondo intellettuale newyorchese gli saranno estremamente utili anche sul piano scientifico. Basti pensare che proprio a New York incontrerà Roman Jakobson, il quale, iniziandolo ai segreti della linguistica, lo aiuterà a orientare le sue ricerche in direzione di quell’antropologia strutturale per cui lo studioso francese scomparso nel 2009 all’età di cent’anni è celebrato ancora oggi.


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