Lettere. Raccolto e pubblicato il monumentale epistolario di uno tra i maggiori studiosi di storia della Chiesa: le osservazioni sulla Curia, le notizie sul Friuli, il caso Galileo
Quei giudizi pungenti di Pio PASCHINI
di GIANPAOLO ROMANATO (Avvenire, 24.07.2018)
Il cardinale Tisserant? «Un francese fanatico politicante. Un contadino vestito da festa». Il Sacro Collegio? «Non brilla certo per persone colte». Padre Gemelli? «Non vede che quanto interessa la sua Università». Sono alcuni dei giudizi impietosi che si possono leggere nell’epistolario di Pio Paschini, appena pubblicato a Udine in due tomi di oltre mille pagine complessive (L’epistolario di Pio Paschini (1898-1962), Forum, pagine 1.198, euro 48,00).
Tra i maggiori studiosi di storia della Chiesa della prima metà del Novecento, Paschini contribuì in maniera decisiva a trasformare la storiografia ecclesiastica da strumento apologetico-difensiva in disciplina scientifica.
Era nato a Tolmezzo nel 1878, aveva studiato e insegnato nel seminario di Udine e al suo Friuli rimase sempre tenacemente attaccato (quando poteva, scriveva in friulano), anche se dal 1912 alla morte, avvenuta nel 1962, visse sempre a Roma, dove, fra molteplici incarichi e docenze, fu rettore dell’Università Lateranense, fondatore e primo presidente del Pontificio comitato di scienze storiche, direttore dell’Enciclopedia Cattolica.
Nel 1978 il vescovo di Udine Alfredo Battisti ne ha voluto onorare la memoria intitolando al suo nome l’Istituto storico - appunto Istituto Pio Paschini - fondato in diocesi, al quale si devono numerose importanti pubblicazioni e ora questo monumentale epistolario curato da Michela Giorgiutti (un migliaio di lettere trascritte e oltre cinquemila regestate in un cd annesso), che copre tutta la prima metà del Novecento.
Le lettere più significative (circa metà di quelle pubblicate) sono indirizzate a Giuseppe Vale, un sacerdote amico d’infanzia del Paschini. Sono due friulani - e i friulani, notoriamente, non hanno peli sulla lingua - che dialogano in totale confidenza, sapendo di potersi fidare ciecamente l’uno dell’altro.
Ne escono un’infinità di informazioni di prima mano sull’Italia del tempo (il fascismo, la guerra, la ricostruzione, la politica) e sul Friuli. Ma soprattutto possiamo leggervi fiondate di straordinario interesse sull’ambiente curiale romano nel quarantennio dei due pontefici Pio, XI e XII. Vale, che scrive da Udine, informa l’amico di quanto accade in Friuli, mentre Paschini, che gli risponde da Roma, lo aggiorna sulle piccole e grandi vicende vaticane e romane.
Ci sono personaggi che il nostro storico proprio non sopporta. Uno di questi è il cardinale Giuseppe Pizzardo, esponente di spicco della curia di papa Pacelli: «Non ne ha mai azzeccata una», scrive nel 1939, raccontando della sua nomina a prefetto della Congregazione dei seminari. Quando poi si diffonde la voce che sia prossimo un concistoro, cioè un’infornata di nuovi cardinali, i suoi commenti sono al vetriolo. Se sfugge il «bramato cardinalato», ci sono prelati che ci fanno «una malattia».
«Questi eminentissimi - scrive - vivono con la testa nei loro capricci», soprattutto se sono stati a capo di nunziature. «Tutti questi nunzi a spasso, che valgono quel che valgono» mirano «al cardinalato come ad una pensione». Paschini osserva queste ossessioni per la carriera e il potere (qui a Roma, osserva, «il potere è una croce che tutti o quasi portano volentieri») e se la ride con il suo amico: «Lasciamoli friggere nel loro grasso e stiamo un poco alla finestra a vedere».
Da storico esperto non può fare a meno di confrontare il presente con il passato: «Una volta, nel disprezzato Cinquecento, si trovavano in buon numero cardinali di valore e di virtù; non so se possa dire altrettanto (almeno per il valore) di quelli di oggidì, sebbene siano in numero tanto maggiore e se qualcuno se ne può trovare, sono di statura assai minore di quelli». Ma lo studioso friulano sapeva distinguere, non faceva di tutto un fascio.
Quando morì il cardinale Ermenegildo Pellegrinetti, già nunzio in Iugoslavia, le sue parole sono di tutt’altro tenore: «Era tanto una brava persona, molto alla mano e molto colta, sapeva il fatto suo in campo di storia».
È inevitabile che un personaggio tanto ruvido («sto diventando sempre più selvaggio», ammette) di carriera ne abbia fatta poca, come gli rimproverava la sorella Anna, che visse sempre con lui: divenne vescovo in extremis, due mesi prima di morire.
E i papi? Di fronte alle somme chiavi cede qualche volta a benevola ironia, indicando il pontefice come «il principale», ma non gli viene mai meno né il rispetto né la sincera devozione. Per Pio XI e Pio XII, i papi sotto i quali compì il suo servizio, i giudizi positivi si sprecano, con dovizia di informazioni sulla salute (apprendiamo da queste lettere che il declino fisico di Pio XI fu lungo e penoso, sopportato con stoicismo da Achille Ratti), sugli spostamenti, sui ritmi di lavoro.
L’operato di Pacelli a favore di Roma negli anni tragici della guerra sono qui documentati con larghezza di informazioni e notizie inedite. Ci sono poi numerose lettere di due futuri pontefici, Angelo Roncalli e Giovanni Battista Montini, che gli dimostrano la massima considerazione, pienamente ricambiata da Paschini.
Non manca un riferimento a Ernesto Buonaiuti, il sacerdote modernista mai pentito, che si spense nel 1946. La sua morte senza sacramenti colpì dolorosamente quel prete all’antica che era Paschini. Questo il suo triste commento: «Se il Signore non gli ha usato misericordia all’ultimo momento, c’è tutto da temere per la sua salute eterna».
Pescando qua e là nel pozzo senza fondo di queste lettere si trovano poi innumerevoli notizie e valutazioni sulla situazione politica, anche in rapporto alla sorte del Friuli, a lungo in bilico, dopo la Seconda guerra mondiale, fra Italia e Iugoslavia. Paschini si esprime con distacco rispetto al fascismo, mostra piena fiducia nella Democrazia Cristiana e in De Gasperi, disistima e disprezzo per la sinistra, in particolare per Togliatti e Nenni.
Al referendum del 1946 votò per la monarchia, «solo in odio alla repubblica, troppo bramata dagli estremi e che non mi pare promettere alcunché di buono».
L’epistolario paschiniano permette poi di fare finalmente luce sull’increscioso episodio - di cui fu la vittima incolpevole - della biografia di Galileo, come chiarisce nella prefazione a queste lettere Sandro Piussi. Alla fine del 1941 l’Accademia Pontificia delle Scienze, attraverso il suo presidente Agostino Gemelli, gli commissionò, in vista del terzo centenario della morte di Galileo Galilei, uno studio storico-biografico sullo scienziato pisano volto a far luce sui torti e le ragioni del celebre processo.
Paschini, pur consapevole di avventurarsi in un terreno a lui quasi sconosciuto, lavorò alacremente e consegnò tre anni dopo il lavoro finito. Dall’Accademia delle Scienze il voluminoso manoscritto passò al Sant’Uffizio e si arenò. Inutili le proteste e le rimostranze di Paschini, in queste lettere minuziosamente documentate, soprattutto nei confronti di Padre Gemelli (di qui la disistima nei suoi confronti). Inutile anche l’intervento in suo favore di Montini, qui pure documentato. Alcuni giudizi dell’autore parvero inopportuni e il testo della biografia fu accantonato.
Ma dopo la morte del Paschini, nel 1964, durante il Concilio Vaticano II, lo studio fu frettolosamente recuperato e venne pubblicato, purtroppo con innumerevoli censure e modifiche, tali da svisare o da capovolgere, nei punti essenziali, il giudizio di chi lo aveva scritto.
Nulla però avvertiva il lettore che quel libro non corrispondeva all’originale di Paschini. Solo il confronto fra il manoscritto, conservato insieme con le lettere nella biblioteca capitolare di Udine, e il testo a stampa, permise, nel corso di un convegno svoltosi a Udine nel 1978, nel centenario della sua nascita, di documentare l’increscioso episodio e il torto fatto allo studioso. Inutile aggiungere che la vicenda ebbe una scia di polemiche storiografiche che non giovarono certamente alla credibilità di chi aveva provocato il caso. La pubblicazione di queste lettere permette ora, almeno, di restituire a Paschini la sua piena onorabilità di studioso e di storico.
Pio Paschini storico e biografo
E papa Paolo VI su Galileo
di Gianni Gennari (Avvenire, giovedì 26 luglio 2018)
Qui martedì Romanato (p 20: «Quei giudizi pungenti di Pio Paschini») sulle Lettere dello storico, rettore dell’Ateneo Lateranense e direttore dell’Enciclopedia Cattolica (1878-1962), ove trovi lucidità del ricercatore e vivacità del polemista, stimato da alunni e docenti del tempo. Di lui, e del suo coraggio quasi prepotente, racconti dei giorni di guerra. Quando su Roma suonavano le sirene per l’invito ai rifugi la sua reazione imperturbabile continuando la lezione: "Tirate le tende!". Romanato per Paschini ricorda anche la vicenda Galileo. Ho davanti a me il suo libro "Vita e Opere di Galileo Galilei" (Herder, 1965, II Edizione) introdotto da Michele Maccarrone. In copertina la firma del cardinal Vincenzo Fagiolo (1918-2000) che me lo ha donato, e quel libro ha un segreto, qui ieri accennato da Romanato. Nel 1964 in Concilio si preparava la Gaudium et Spes e, per il testo sulla vicenda Galileo, Paolo VI in persona chiese alla Commissione se non si poteva segnalare "almeno un libro" cattolico che rispettasse persona e genio di Galilei. Imbarazzo...
Maccarrone timidamente ricordò che uno c’era, scritto da Paschini, anni 40, subito bloccato in bozze dalla censura del Sant’Uffizio. Paolo VI lo volle stampato ed edito immediatamente dalla Pontificia Accademia delle Scienze e al n. 36 della GS fece aggiungere in nota citazione del libro, l’anno dopo ristampato dalla Herder ora nelle mie mani. Libero, Paschini, e capace di individuare i rischi del carrierismo clericale attorno a lui nella Curia del tempo e attorno a noi come sempre: sarebbe piaciuto a papa Francesco. Posso ricordare che qui nel corso degli anni ho già rievocato più volte la figura e l’opera di Paschini, uomo schietto, storico consumato, prete, professore, capace di libertà e di verità insieme... Riposi in pace. In compagnia di Galileo Galilei.