L’invisibile dentro la materia
Il testo che pubblichiamo verrà letto stasera da Nicola Cabibbo al Festival della Milanesiana.
I passi della fisica dalla lezione di Colombo, alle esplorazioni di Galileo sulla ricerca del "troppo piccolo per essere visto", fino alla meccanica dei quanti
Le tecniche sperimentate nei laboratori di Frascati e quelle future di Ginevra
Le nuove infinite possibilità offerte nello studio delle particelle elementari
di Nicola Cabibbo (la Repubblica, 25.06.2009)
«Ci sono più cose nei cieli e nella terra, Horatio, di quanto sogni la tua filosofia». Con Amleto, rappresentato tra il 1599 e il 1600, siamo alla soglia della transizione dal mondo della filosofia a quello della scienza. I segnali sono nell’aria, dalla nuova astronomia di Copernico e di Tycho Brahe alla filosofia di Giordano Bruno. Per guardare in faccia l’invisibile bisognava però seguire la lezione di Cristoforo Colombo: muoversi, andare a cercare, sporcarsi le mani, passare dal pensiero all’azione.
Spetta a Galileo fare il primo passo. Galileo aveva seguito la lezione di Colombo, si era sporcato le mani per perfezionare le lenti del suo telescopio. Con la scoperta dei satelliti di Giove - le Stelle Medicee - delle montagne sulla luna, di una miriade di stelle mai viste prima, delle fasi di Venere e delle macchie solari, si era lanciato nella conquista dell’invisibile. Il telescopio di Galileo apre l’esplorazione del "grande ma troppo lontano", e pochi anni dopo, nel 1624, lo stesso Galilei inaugura la ricerca del "troppo piccolo per essere visto" con un nuovo strumento, il microscopio, che affida ai naturalisti della Accademia dei Lincei.
Dobbiamo ricordare un’altra invenzione della scuola di Galilei, il barometro di Torricelli. Al di sopra della colonnina di mercurio si forma il vuoto, e nasce così una tecnologia essenziale per i moderni acceleratori, strumento di elezione per lo studio dei nuclei e dei loro componenti elementari, ma che hanno tante applicazioni nell’industria e nella medicina.
Il telescopio e il microscopio acuiscono la vista, ma la rivoluzione si compie combinando questi strumenti con un’idea più antica: sostituire alla visione diretta quella mediata da una immagine, sia essa una pittura, una scultura, o una fotografia. Si apre così una infinità di nuove possibilità, fino ai metodi di visualizzazione usati nello studio delle particelle elementari. L’immagine può essere prodotta dalla luce visibile, ma anche da radiazione di lunghezza d’onda minore - raggi ultravioletti, raggi X, raggi gamma - o di lunghezza d’onda maggiore - gli infrarossi o addirittura le onde radio, in un radar o in un radiotelescopio. E ancora possiamo usare onde sonore, nell’ecografia, o fasci di elettroni, nel microscopio elettronico.
Una semplice spruzzata di limatura di ferro permette di visualizzare le linee di forza di un campo magnetico. Qualsiasi cosa che possa essere misurata - la pressione o l’umidità dell’atmosfera, le quotazioni della borsa, la febbre di un malato - può trasformarsi in immagine, e dato che un’immagine vale più di tante parole, la visualizzazione di dati scientifici si sta affermando come una disciplina a sé, dovunque in rapido sviluppo. La lunghezza d’onda della radiazione determina i limiti alle dimensioni degli oggetti che si possono vedere. Se la distanza tra due dettagli in un oggetto è molto minore di una lunghezza d’onda, essi rifletteranno la luce, o altra radiazione, con la stessa fase e saranno quindi indistinguibili. Con la luce visibile, ad esempio, che si estende dai 0.38 micron (millesimi di millimetro) per il violetto ai 0.75 micron per il rosso, si potranno vedere distintamente batteri, di qualche micron, ma non dei virus che sono tipicamente cento volte più piccoli. Immagini più dettagliate richiedono lunghezze d’onda più piccole. Per superare i limiti della luce visibile bisogna quindi passare alla luce ultravioletta, o ai raggi X, o a fasci di elettroni.
La ricerca del piccolo ci ha rivelato una struttura complessa. Anzitutto gli atomi, i blocchetti del grande Lego della materia. Partendo dagli atomi si formano le molecole, dalle più semplici alle più complesse, come il Dna che codifica la materia vivente, o quelle nanostrutture, assemblaggi di centinaia o migliaia di atomi che sono alla base delle più promettenti tecnologie dei materiali.
Gli atomi sono essi stessi strutture complesse, composti da elettroni che ruotano intorno a un nucleo centrale, diecimila volte più piccolo. I nuclei sono composti da protoni, dotati di una carica elettrica positiva, e neutroni, elettricamente neutri. Il nucleo più semplice, quello dell’idrogeno, contiene un singolo protone. All’estremo opposto i nuclei più pesanti, come quello dell’uranio, che contengono oltre duecento tra protoni e neutroni. A loro volta protoni e neutroni sono composti da quark, particelle che allo stato delle conoscenze sono considerate elementari, cioè non ulteriormente scomponibili.
Con gli atomi, i nuclei e le particelle elementari entriamo nel regno della meccanica quantistica, un mondo strano e diverso, in cui non possiamo guardare un oggetto senza disturbarlo. La radiazione luminosa è composta da quanti, la cui energia è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda: a lunghezza d’onda più piccola corrisponde un’energia più elevata. Ed ecco il problema: per studiare un atomo dobbiamo usare quanti di luce la cui energia è sufficiente a disturbarne la struttura.
Nel regno dei quanti l’osservazione modifica necessariamente l’oggetto osservato. Ma c’è di più: tutte le particelle, elettroni inclusi, si comportano come onde. C’è quindi una confusione di ruoli tra l’elettrone che circola in un atomo e il quanto di luce che usiamo per osservarlo. Ambedue sono particelle che si comportano come onde, osservatore ed osservato si confondono.
Guardare una particella significa farla scontrare con altre, siano esse quanti di luce, elettroni, o anche protoni, e registrare le conseguenze dell’interazione. Tanto maggiore l’energia delle particelle, tanto minore sarà la loro lunghezza d’onda, e di conseguenza più piccoli i dettagli che potranno essere rivelati. Per massimizzare l’energia totale delle particelle che si scontrano, la soluzione più efficace è rappresentata dai collisori, macchine in cui si fanno scontrare frontalmente due fasci di particelle di alta energia.
Questa tecnica è stata sperimentata per la prima volta nei Laboratori di Frascati dell’INFN all’inizio degli anni Sessanta in una piccola macchina, ADA, realizzata sotto la direzione di Bruno Touschek, e la sua ultima espressione è LHC, il gigantesco collisore di protoni - 27 chilometri di circonferenza - che sta per entrare in funzione al CERN di Ginevra. L’energia dell’urto può trasformarsi in nuove particelle, tra cui molte che per la loro vita effimera non si trovano in natura.
Tra le scoperte più sensazionali, i quanti delle interazioni deboli, i bosoni W e Z, e tre nuovi quark, l’ultimo dei quali, il quark t (top) è la più pesante particella sinora nota, quasi duecento volte la massa di un protone.
Lo sviluppo della fisica delle particelle ha offerto il campo a una eccitante gara tra teoria ed esperimento. In molti casi la teoria ha sopravanzato l’esperimento, prevedendo ad esempio le caratteristiche e la massa dei bosoni W e Z. Altre volte l’esperimento ha portato a scoperte inattese, come quella di una asimmetria tra materia ed antimateria.
L’insieme dei fatti sinora accertati si inquadra nel cosiddetto Modello Standard, affinato e verificato con grande precisione negli ultimi decenni. Molti indizi mostrano però che il lavoro è ben lungi dall’essere completo. Il Modello Standard è ancora imperfetto, perché non comprende una corretta descrizione quantistica della forza di gravitazione. Un secondo indizio proviene dalla cosmologia: gran parte della materia nell’universo, la cosiddetta materia oscura, è composta da particelle mai osservate nei nostri laboratori. I teorici stanno mettendo a punto le possibili teorie del futuro, prima tra tutte la cosiddetta teoria delle stringhe. Ma solo l’incontro tra teoria ed esperimento, come ha insegnato Galilei, porterà un progresso decisivo, ed è quindi forte l’attesa per quanto il nuovo collisore LHC del CERN potrà rivelare.