Fummo tutti nomadi
di ARRIGO LEVI (La Stampa, 10/6/2008)
Aquanto sembra» - ha scritto questo giornale, che ha giusta fama di credibilità - la candidatura a nuovo vicegerente del vicario del Papa per la diocesi di Roma di monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, esponente della Comunità di Sant’Egidio, è stata scartata, pur essendo stata «ripetutamente richiesta dalla base ecclesiale». E la ragione sarebbe che Sant’Egidio dimostra «troppe simpatie per i rom» e per gli extracomunitari. Non sono in grado di confermare, ancorché vecchio amico di don Vincenzo (se le cose siano andate così, e se effettivamente gli verrà preferito un altro degnissimo sacerdote, monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano, vicino ai Focolarini).
Debbo fra l’altro a un suggerimento degli amici di Sant’Egidio se il cardinale Ruini, ora vicario uscente del Papa nella diocesi romana (a cui mi legano sentimenti di stima), mi volle come dialogante laico sul tema della fede con il cardinale Biffi, dall’altare della Cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano: e fu un’esperienza emozionante. Se ho qualche dubbio sulla notizia del «siluramento» dall’alto di don Paglia è solo perché, negli stessi anni in cui l’eminenza Ruini, ancora assai influente, fu «vicario del vicario di Cristo», mons. Paglia fu ambasciatore viaggiante di Giovanni Paolo II a Mosca, a Bucarest e in altre capitali ortodosse; e so che fra i due vi è rispetto e amicizia.
Quello che è fuori dubbio è che la Comunità di Sant’Egidio è dal lontano 1982 impegnata nell’assistenza ai rom e agli extracomunitari di Roma; e che nella loro presenza, come è stato scritto su questo nostro giornale, essa «vede solo sfide pastorali e sociali e non minacce». Lo conferma ancora una volta il libro Il caso zingari (ed. Leonardo International) che comprende scritti di Andrea Riccardi, Marco Impaglazzo, Amos Luzzatto, Giovanni Maria Flick, Paolo Morozzo della Rocca e Gabriele Rigano. Questo libro ho presentato qualche tempo fa, insieme col cardinale Crescenzio Sepe, vescovo di Napoli. Questi ha fra l’altro fatto notare che a zingari ed extracomunitari prestano (purtroppo) concreta assistenza la Chiesa e i suoi movimenti, più dello Stato e delle sue istituzioni. Quanto alle popolazioni delle periferie a più diretto contatto con gli zingari, esse hanno nei loro confronti atteggiamenti contraddittori: sono (cito il card. Sepe) «quelle più sensibili all’apertura all’altro, anche se nello stesso tempo hanno mostrato la più totale chiusura, fino alla violenza».
Lo hanno provato ancora una volta le reazioni al progetto di costruire un decente campo residenziale per i Sinti di Mestre, cui si oppongono violentemente i leghisti. A un autorevole senatore loro simpatizzante si dovrebbe questa battuta: «Sono nomadi, o no? Perciò devono fermarsi nelle città solo per brevi periodi». Condannati, cioè, ad essere nomadi, senza possibilità di trovare lavori rispettabili, anche se aspirano solo ad integrarsi pacificamente in una città dove risiedono da decenni, essendo tra l’altro molti di loro, come una buona parte degli zingari oggi in Italia, cittadini italiani! Ma questo è impossibile se non si creano condizioni di vita accettabili, con la possibilità di mandare regolarmente a scuola i loro bambini, che così domani saranno rispettati cittadini, come hanno diritto di diventare.
Parlando degli zingari, ammetto di avere anch’io, come ebreo, un pregiudizio (nel mio caso favorevole) nei loro confronti. Non posso dimenticare che nei lager nazisti, insieme con sei milioni di ebrei, furono sterminati anche centinaia di migliaia di zingari. Se gli zingari sono o furono nomadi, lo furono anche molti miei antenati per effetto delle persecuzioni subite in quanto «diversi». La cosa di cui non mi do ragione è che tanti italiani abbiano dimenticato le discriminazioni, le accuse di essere sporchi, ladri e criminali, di cui furono bersaglio tanti nostri compatrioti, costretti, tra l’Otto e il Novecento, a emigrare. (E non fu dapprincipio molto più favorevole l’accoglienza all’ondata di immigranti dal Sud nel dopoguerra, nel civilissimo Piemonte. Lo ricordate? Col tempo, i pregiudizi scomparvero e gli immigrati divennero bravi piemontesi, come tutti gli altri).
Ora l’Italia è ricca, ed è diventata da terra d’emigranti terra d’immigrazione. Ma come possiamo dimenticare che anche noi fummo, almeno per un periodo, un poco zingari? Come non nutrire comprensione per coloro che lo sono ancora? Come non impegnarsi per favorire, e non ostacolare, un loro insediamento stabile, oltre che per loro, per i loro figli?