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COSTITUZIONE, EVANGELO, e NOTTE DELLA REPUBBLICA (1994-2016): PERDERE LA COSCIENZA DELLA LINGUA ("LOGOS") COSTITUZIONALE ED EVANGELICA GENERA MOSTRI ATEI E DEVOTI ...

VIVA L’ITALIA!!! LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico. Una nota (del 2006) - di Federico La Sala

La Costituzione è (...) la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea).
domenica 31 gennaio 2016 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e (...)

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> VIVA L’ITALIA!!! LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO ---- IL RICORDO DI PALMIRO TOGLIATTI A UN ANNO DALLA MORTE DI DON GIUSEPPE DE LUCA (da "Rinascita", 1963)..

giovedì 15 marzo 2012

DON GIUSEPPE DE LUCA

Il ricordo del Migliore

«Lui sacerdote io non credente»

Palmiro Togliatti stimava il prelato, tanto che scrisse un testo su don Giuseppe in occasione del primo anniversario della sua morte. In questa pagina dedicata a don De Luca ripubblichiamo quel testo, che apparve su «Rinascita» il 15 giugno 1963. Gli incontri. «Qualcosa di comune negli orientamenti della nostra cultura»

di Palmiro Togliatti, da Rinascita (l’Unità, 15.03.2012)

Con don Giuseppe De Luca io ebbi soltanto un certo numero di incontri. Non molti. Eppure bastarono a stabilire tra di noi una corrente che non era soltanto di comprensione e simpatia, ma di amicizia. Vi era qualcosa di comune, mi pare, negli orientamenti della nostra cultura. In questo senso, che entrambi avevamo vissuto, anche se partendo da posizioni diverse e con diverso punto di arrivo, la grande crisi e svolta del Novecento. Mi era sembrato strano, quando lo venni a conoscere, che la mente di quel sacerdote si fosse travagliata attorno alle stesse opere, agli stessi contrasti di idee e di costume, attorno al contenuto delle stesse riviste e rivistine, persino, che erano state l’oggetto del travaglio nostro, di Antonio Gramsci, mio, di altri giovani ora scomparsi, in anni da oggi tanto lontani. Mi è parso perciò di avere acquistato più precisa coscienza, nel contatto con lui, del fatto che una generazione è qualcosa di reale, che porta con sè certi problemi e ne cerca la soluzione, soffre di non averla ancor trovata e si adopra per affidare il compito di trovarla a coloro che sopravvengono. E in questo modo si va avanti.

Ma eravamo approdati a diverse rive. Lui sacerdote, io non credente. Ed ora mi chiedo, ciò che conversando e discutendo con lui non mi ero chiesto mai, perché noi potessimo così ampiamente e liberamente comunicare e trovare contatto. È vero, questioni di religione non ne affrontavamo. L’ultima volta che ci vedemmo ci fu una certa malizia, da parte mia (avevo da poco letto i Trattati antimanichei, nella recente edizione che ne è stata fatta in Francia), nel citargli una espressione di Sant’Agostino, nella quale coglieva il germe e un germe ben dispiegato di dottrine hegeliane. Lasciò cadere. Non era quello il terreno su cui dovevamo confrontarci. E non era neanche quello della politica, nel senso ristretto, tradizionalmente chiuso, di questa espressione.

La sua mente e la sua ricerca mi pare fossero volte, nel contatto con me, a scoprire qualcosa che fosse più profondo delle ideologie, più valido dei sistemi di dottrina, in cui potessimo essere, anzi, già fossimo uniti. Cercava e metteva in luce la sostanza della nostra comune umanità; lo interessava che vi fosse in noi una comune coscienza dei problemi che alla umanità si presentavano, oggi, in un momento così grave, così terribile della sua storia, come è il momento presente. Nel momento in cui ci attende o un nuovo inesauribile slancio di creazione, oppure la distruzione ad opera delle nostre stesse mani.

Ho sempre avuto la visione precisa ch’egli considerasse cosa certa che le fratture, gli abissi che oggi lacerano e contrappongono gli uni e gli altri, i gruppi sociali e le società umane saranno colmati. Penso sia normale, in un credente, questa aspirazione. Ciò che trovavo nelle sue parole era però anche la convinzione che per colmare questi abissi si può e si deve agire subito, e per agire subito, non basta essere vicini e conoscersi, ma bisogna comprendersi. E questo non è sempre facile. Richiede uno sforzo, uno scontro, talora, ma uno scontro che sia insieme ricerca comune di cose nuove. In questo modo io capisco, ora, e credo di collocare giustamente, nell’immagine che mi è rimasta di lui, quel suo acuto senso della realtà e quei suoi giudizi diretti, crudi, a volte persino violenti, e che colpivano in tutte le direzioni. Che non creavano una barriera, però, anzi, portavano a comprendersi meglio, creavano una condizione e un animo tali che consentivano di guardare assieme, lontano a mète comuni.

Conserverò in me sempre, profonda, circondata d’affetto e di venerazione, l’immagine di quest’uomo, la cui fiducia ferma nell’avvenire e nella salvezza dell’umanità ha dato maggior forza e tranqullità alla stessa fiducia che anch’io nutro.


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