De Gasperi e Togliatti: l’intreccio di due radici
di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 05.09.2012)
DECISIVO DIBATTITO QUELLO SU TOGLIATTI E DE GASPERI. E per nulla ozioso o passatista. Perciò ha fatto bene l’Unità ad aprirlo con Michele Prospero nell’anniversario della morte di Togliatti. Che cosa c’è in gioco? Non solo il giudizio storico sui due leader. Ma quello sull’identità del Pd, problema aperto. Visto che nel Pd confluisce l’eredità di entrambi.
In sintesi, De Gasperi incarnò un popolarismo di centro, aperto a sinistra. E perciò: interclassismo mobile e inclusivo nel leader trentino. Partecipativo. All’ombra dell’inevitabile ricostruzione capitalistica del dopoguerra (e dentro i blocchi geopolitici contrapposti).
Togliatti invece fu il nuovo Pci, gradualista e di massa, erede della tradizione socialista. In pratica il suo Pci fu l’avanguardia riformista del movimento operaio. E Togliatti il suo capo nazionale, con un forte legame con l’Urss, ma senza subalternità (di qui l’ambivalenza di quel Pci, fino allo strappo e al Pds).
Cosa significò tutto questo? Nent’altro che la costruzione, culturale e materiale, della democrazia italiana. Frutto precipuo di due spinte storiche contrapposte e convergenti: popolarismo e movimento operaio. Insomma al netto della guerra fredda e delle rispettive mitologie e lealtà internazionali Pci e Dc cofondarono la Repubblica. Raccogliendo sotto le loro bandiere il grosso del popolo italiano.
E questa è la storia passata. Ma il futuro? Il futuro, almeno per quel che riguarda il Pd, non può che partire dalle «radici», senza le quali cui non v’è prospettiva a venire. E le radici chiave restano due: movimento operaio e popolarismo. Oppure, se si preferisce, lavorismo e interclassismo partecipativo di cittadinanza. È dallo scontro e dall’incontro di queste due grandi correnti che dipende l’avvenire d’Italia, e quello del Pd. Scontro e incontro che deve produrre un grande partito di governo: vittorioso. Con un avversario comune: il neoconservatorismo liberale e populista.