Inviare un messaggio

In risposta a:
LA FILOSOFIA, LA REALTA’ ... E "IL TEMPO DELLO SPIRITO CHE DOVREBBE PORTARE L’EVANGELO ETERNO" (Schelling).

FILOSOFIA DELLA RIVELAZIONE. 1841-1842, Kierkegaard a Berlino ad ascoltare Schelling - a cura di Federico La Sala

A seguire, un inedito di Karl Barth, su «Kierkegaard e i teologi» (1963): Oltre Kierkegaard.
mercoledì 11 giugno 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Søren Kierke­gaard accorse nel novembre 1841 a Berlino per seguire il primo corso berlinese di Schelling, tenuto sulla cattedra universitaria sino a pochi anni prima occupata da Hegel. Annotò Kierkegaard nel proprio Diario: «Io sono così con­tento di aver sentito la seconda le­zione di Schelling, indicibilmente contento. Tanto tempo lo sospira­vamo io e i miei pensieri in me. Ap­pena egli, parlando del rapporto fra filosofia e realtà, nominò la pa­rola ’realtà’, il frutto del mio (...)

In risposta a:

> FILOSOFIA DELLA RIVELAZIONE. ---- «In vino veritas». Kierkegaard fece la fortuna del motto (di Armando Torno - Un sorso di sincerità, da Platone a Erasmo)

venerdì 23 marzo 2012

Un sorso di sincerità, da Platone a Erasmo

Tra etica ed estetica, Kierkegaard fece la fortuna del motto «In vino veritas»

di Armando Torno (Corriere della Sera, 23.03.2012)

Pochi motti sono stati fortunati come il medievale In vino veritas, ovvero «Nel vino la verità». Nonostante gli sforzi dei filologi, non si trova in questi termini né in Orazio e in Plinio; casomai codesti autori utilizzarono un accostamento tra vino e verità che i Romani conoscevano grazie a un proverbio greco. Il quale, riportato da Alceo, passò anche dalle pagine del Simposio di Platone e nella Vita di Artaserse di Plutarco: «Vino, fanciullo mio, e verità».

L’unione delle due immagini si ritrova anche nei lessici bizantini (quello di Suda, per esempio), ma non è il caso di tormentarsi ulteriormente sulla sua fortuna, perché il vino è sempre stato amato e l’ebbrezza che genera gradita. Anzi a ben guardare talune opere classiche, magari proprio cominciando dal citato Simposio platonico, ci si accorge che il mondo pagano vedeva dietro queste parole una sorta di sacralità dei patti o delle verità pronunciate con l’aiuto del vino.

Non a caso, il corrispettivo del motto medievale si ritrova nelle lingue moderne, a cominciare dal francese: «Avant Noé les hommes, n’ayant que l’eau à boire, ne pouvaient trouver la vérité». Si tratta di una battuta ironica e si riferisce a un passo della Genesi biblica (9, 20-21), riguardante i momenti che seguono il Diluvio: «Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda». Comunque il frutto della vite è sempre piaciuto anche a letterati e filosofi moderni, non soltanto agli antichi così rispettosi di Bacco o del corrispettivo greco Dioniso, dio che ispirava le cerimonie sacre al nettare con perdite di ragione (non a caso il Senato romano ne proibì i riti nel 186 a.C.).

Se Nietzsche ricorda il suo maestro Friedrich Wilhelm Ritschl che «aveva sempre un bicchiere di vino sul tavolo dove lavorava», non dimentichiamoci che il letterato toscano Francesco Redi nel Seicento poteva scrivere nel suo Bacco in Toscana: «... e quando in bel paraggio/ d’ogni altro vin lo assaggio,/ sveglia nel petto mio/ un certo non so che,/ che non so dir s’egli è/ o gioia, o pur desìo:/ egli è un desio novello,/ novel desio di bere,/ che tanto più s’accresce/ quanto più vin si mesce:/ mescete, o miei compagni,/ e nella grande inondazion vinosa/ si tuffi...». Insomma, un vero e proprio inno alla crapula, fonte di verità.

Ma la vera fortuna contemporanea del motto medievale e dello spirito che lo permea, soprattutto nell’ambito del pensiero, si deve a Kierkegaard che intitolò In vino veritas la prima parte della sua opera Studi sul cammino della vita. Pagine scritte nel 1845, rappresentano nel sistema del filosofo danese i diversi gradi del momento estetico. Sono fascinose, seducenti. Kierkegaard ci fa assistere a un dialogo tra personaggi in un banchetto, evocando scene descritte da Petronio nel Satyricon.

Le figure si succedono in una specie di monologo sul tema dell’amore, contaminando etica ed estetica. Il vino aiuta le loro parole. Gli argomenti ruotano attorno alla donna. La quale viene via via definita contraddizione, scherzo, assurdo, creatura ridicola, gioco, ma anche - usando la traduzione di Icilio Vecchiotti pubblicata da Laterza - «una infinità di finitezze», o meglio una sorta di inganno che merita di essere ingannato. Ma se da essa si dovessero prendere le distanze, si giungerebbe a negare l’uomo. Un gioco ironico, perfetto, con comparse che riflettono le opinioni di Kierkegaard. E il suo sublime metodo.

Ci sarebbe da perdersi nel far vivere altre intuizioni. Ci basti chiudere con un’opera che sta a base della modernità: gli Adagia di Erasmo da Rotterdam. Ora che Les Belles Lettres hanno finalmente pubblicato la prima traduzione integrale in una lingua moderna (cinque volumi, con testo latino a fronte; a cura di Jean-Christophe Saladin) si potrà proseguire con le varianti del motto registrate dal meraviglioso umanista. Era convinto che non sempre la verità si contrappone alla menzogna, ma sovente agisce come antidoto alla simulazione. E il vino? Aiuta. Aiuta anche in tale caso.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: