Omicidio europeo
di Loris Campetti (il manifesto, 12.06.2008)
C’è un nesso terribile tra la decisione dell’Unione europea di liberalizzare l’orario di lavoro e l’ennesima strage di ieri nella quotidiana guerra italiana sul lavoro, che ha lasciato sul campo almeno nove operai, nove persone. Il nesso si chiama liberismo.
Nella seconda metà dell’Ottocento, lotta dopo lotta, strage dopo strage, prese corpo la Festa dei lavoratori, il 1° Maggio. Il movimento partì negli Stati uniti e in Canada, sbarcò in Europa nel 1889, quando la festa venne ufficializzata dai delegati socialisti della Seconda internazionale. Il 1° Maggio aveva al centro un grande obiettivo strategico: la conquista delle otto ore. Nella primavera del 1906, novemila mondine sfilarono nelle strade di Vercelli insieme ai metallurgici cantando «Se otto ore/ vi sembran poche...». Il XX secolo è segnato dalla lotta per le 40 ore settimanali. Una battaglia di civiltà che segnò un salto epocale.
Chissà se i 27 ministri del lavoro dell’Ue hanno studiato la storia del Novecento, e se l’hanno capita? Due giorni fa, 22 di loro hanno votato una normativa che sentenzia la fine non delle 40 ma delle 48 ore, conquistate dall’Ilo nel lontano 1917. Del «secolo breve», della sua ferocia e delle sue conquiste, sappiamo ormai tutto. Cosa dobbiamo aspettarci da questo secolo, se ai suoi albori ci ributta indietro di 120 anni?
Se Strasburgo voterà il testo licenziato dall’Unione europea, la deregulation del lavoro andrà oltre le speranze dei peggiori governi liberisti. Tra i più entusiasti quelli italiano e francese, che hanno suggellato la loro vittoria schierandosi con il fronte della «modernità», cioè del mercato e del profitto come unici regolatori delle relazioni sociali, della vita delle persone. Si potrà lavorare anche 60, 65 ore a settimana, se solo il padrone lo vorrà. Sarà ancora più facile morire in fabbrica, nei cantieri, nei campi, o dentro le cisterne avvelenati come topi. Liberalizzare l’orario di lavoro è un crimine, un’istigazione a delinquere. Almeno ci risparmino, signori ministri e portaborse, le lacrime per gli ultimi omicidi di ieri, a partire dai sei operai siciliani uccisi dentro una vasca di depurazione dalle esalazioni tossiche. Così si moriva nell’Ottocento, così si muore nel Duemila. E le sopravvissute conquiste del Novecento? Bruciate sui banchi di Strasburgo, se non verrà fermata la marcia liberista.
Grazie alla nuova normativa si potrà persino cancellare ogni forma di contrattazione collettiva, sostituita dai rapporti di lavoro individuali, «fatti dal sarto su misura» come sogna la Confindustria che interpreta la vittoria della destra, l’evaporazione della sinistra e la «modernizzazione» del Pd, come un viatico per piegare ogni diritto alla logica d’impresa. Costi quel costi, fossero anche vite umane. Del resto, non hanno già detto padroni e ministri che le nuove leggi sulla sicurezza sono troppo onerose e vanno ammorbidite?
È vero, in Italia comunisti e socialisti non hanno più rappresentanza politica. Ma non c’è solo il Parlamento, non è scritto che le forze democratiche siano morte. La domanda è se esistano forze sociali, sindacali, civili e culturali, qui e in Europa, in grado di battere un colpo, di difendere una conquista di civiltà. Se non altro, in nome del diritto alla vita di chi lavora. Se la risposta fosse negativa, avrebbe vinto chi accusa di ideologismo ogni critica allo stato di cose presenti. Non sarebbe la fine della Storia, ma dovremmo prendere atto che bisognerà ripartire da molto lontano. Dalla fine dell’Ottocento.