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IN MEMORIA DI LORENZO VALLA, ERASMO, SPINOZA. LIBERTA’ E FILOLOGIA...

OXFORD. LUCIANO CANFORA AL CONVEGNO SUL "PAPIRO DI ARTEMIDORO". Una sintesi della sua relazione - a cura di Federico La Sala

Diceva il grande Paul Maas che un solo argomento davvero probante basta, cento deboli non servono.
venerdì 13 giugno 2008 di Maria Paola Falchinelli
L’intervento di Luciano Canfora oggi a Oxford testimonia il continuo interesse della comunità scientifica internazionale
Artemidoro, il falso nascosto nel proemio
L’introduzione, la nozione di «Lusitania», i brani di Marciano: le tracce di un testo «moderno»
Il testo pubblicato qui di seguito è una sintesi della relazione preparata dal professor Luciano Canfora per un convegno sulla vicenda del papiro di Artemidoro che si tiene oggi in Inghilterra. L’incontro, in programma presso il Saint (...)

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> OXFORD. LUCIANO CANFORA AL CONVEGNO SUL "PAPIRO DI ARTEMIDORO". - Terminata l’inchiesta di Spataro, non ci sono dubbi. E’ un falso. Venne pagato quasi tre milioni di euro (di Ottavia Giustetti).

lunedì 10 dicembre 2018

Il Papiro di Artemidoro è un falso. Venne pagato quasi tre milioni di euro

Terminata l’inchiesta di Spataro, non ci sono dubbi. Fu comperato nel 2004 dalla Compagnia di San Paolo

di OTTAVIA GIUSTETTI (la Repubblica, 10 dicembre 2018)

Che il Papiro di Artemidoro sia un falso non ci sono ormai più dubbi. Anche gli accertamenti disposti dal ministero dei Beni culturali sugli inchiostri utilizzati per tracciare la pergamena a lungo considerata documento di inestimabile valore storico, hanno invece decretato che i disegni sono di epoca certamente successiva al I secolo a.C., molto probabilmente un falso dell’Ottocento attribuibile al greco Costantino Simonidis.

Fu perciò una gigantesca truffa ordita dal mercante d’arte d’origine armena, nato in Egitto e residente in Germania, Serop Simonian, consumatasi grazie alla “leggerezza” dei suoi interlocutori, tra cui studiosi, politici e amministratori degli enti culturali, quella che portò la Fondazione per l’arte della Compagnia di San Paolo ad acquistarlo come autentico nel 2004, al prezzo di 2 milioni e 750 mila euro per esporlo al Museo Egizio. Il procuratore di Torino, Armando Spataro, pochi giorni prima di andare in pensione e lasciare la magistratura, rende ufficiale quel è l’esito di questa sua indagine, una di quelle a lui più care, avviata al proprio insediamento nonostante i fatti sui quali ha cercato delle risposte fossero probabilmente già prescritti all’epoca. Ma il valore della verità storico-culturale sull’autenticità del papiro va oltre la rigorosa ricerca dei reati e chiude un dibattito durato anni tra studiosi di opinioni differenti.

I punti dell’inchiesta sono moltissimi, ma uno su tutti fa sobbalzare: tra i documenti allegati all’acquisto del papiro (che si trovava in Germania) - che la procura ha acquisito nel corso della lunga indagine - c’è una lettera del 2 marzo 2004 con il cui il delegato del governo federale per l’Istruzione e la Comunicazione di Bonn, Rosa Schmitt-Neubauer, conferma che non è necessaria alcuna autorizzazione all’esportazione del documento che in effetti “non appartiene ai beni artistici di valore per la storia tedesca”. Non è considerato, insomma, patrimonio culturale da tutelare nonostante si trovi in territorio tedesco. Vi è poi allegata l’istanza per la concessione dell’autorizzazione all’esportazione di oggetti antichi presentata all’Istituto per la Cultura nazionale del Museo d’Egitto, nell’aprile 1971, con cui sarebbe stato esportato dall’Egitto, e nella traduzione si legge che il materiale è descritto come “sacco di carta in parte con immagini in oro” senza altri particolari. Vi si precisa anche che il suo valore è di 20 lire egiziane. .

Lo sviluppo di questa inchiesta, che potrebbe essere oggetto di un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio - dal I secolo a.C., all’Ottocento, a oggi, attraverso Italia, Germania, Grecia ed Egitto - prende le mosse da un esposto del 2013 dello studioso Luciano Canfora “circa la falsità del papiro di Artemidoro”. Molte perplessità sono state sollevate in questi anni sul caso, e la consapevolezza della truffa da record in cui le istituzioni piemontesi erano cadute, sembra essere affiorata pian piano, ma oggi è la stessa Compagnia di San Paolo a voler fare chiarezza sul reale valore del documento, e ad aver chiesto di sottoporre il papiro a un test definitivo sulla composizione degli inchiostri e su alcuni frammenti selezionati. “Si annunciano ulteriori approfondimenti - ha scritto Piero Gastaldo poco prima di lasciare la presidenza della Fondazione - ma diciamo che, pur non essendo di fronte alla “pistola fumante”, le evidenze preliminari sembrano supportare la tesi del falso più di quella dell’autenticità. Per quanto riguarda gli inchiostri la composizione appare decisamente diversa da quelli usati nei papiri egiziani del periodo dal I al VI secolo e i frammenti sembrano far emergere l’ipotesi che il papiro sia stato posizionato su una rete metallica zincata e sottoposto ad azione di acidi, un trattamento che ha determinato il trasferimento dello zinco alla rete metallica. Si chiude così definitivamente l’acceso dibattito che ha animato il mondo accademico negli ultimi dieci anni sul caso. Un dibattito che vendeva fin dall’inizio molte voci scettiche ma che, non si comprende perché, ha visto gli interessati propendere sempre per la tesi dell’autenticità, senza controlli né verifiche.

Canfora, filologo dell’Università di Bari, ha esaminato in dettaglio sia il testo greco che i disegni di cui il papiro è ricco, intervenendo in convegni di alto livello e con importanti e ampi studi pubblicati nel corso degli anni e ha dichiarato fin dal 2006 che il papiro era semmai attribuibile a un esperto falsario ottocentesco. Anche a livello internazionale molti studiosi hanno messo in discussione l’autenticità del documento. L’allora direttrice del Museo Egizio, Eleni Vassilika, che era entrata in forte contrasto con i suoi superiori per essersi opposta all’esposizione nel “suo” museo del documento donato dalla Fondazione, conosceva bene il mercante Simonian perché aveva venduto dei clamorosi falsi al museo di Hildesheim, l’istituzione che lei dirigeva prima di arrivare a Torino. Inoltre sapeva che Simonian faceva entrare in Germania i reperti, tramite “duty free” svizzeri, e che quelli più grandi li faceva addirittura segare. Eppure per molto tempo ha continuato a riscuotere maggior credito il gruppo degli storici che si sono schierati per difendere il valore dell’opera, come Salvatore Settis, che nel 1999 ne aveva già trattato l’acquisto per Getty Foundation di Los Angeles, di cui era direttore, e il papirologo dell’Università Statale di Milano, Claudio Gallazzi, che per primo insieme a Barbel Kramer dell’Università di Treviri segnò la scientifica attribuzione dei contenuti del papiro ad Artemidoro di Efeso.

Oggi l’indagine viene ufficialmente chiusa con una richiesta di archiviazione e solo per estinzione del reato di truffa, per prescrizione. Ma “la certezza del falso - scrive il procuratore - è abbondantemente provata, sulla base di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti”. Spataro chiude le 33 pagine del suo atto bacchettando direttamente la Fondazione per l’Arte della Compagnia cui dispone siano restituiti gli atti “ferma restando l’opacità assoluta dell’intera vicenda/trappola in cui la fondazione stessa è intercorsa e che sarebbe stata verosimilmente evitabile attraverso accertamenti, studi e consulenze affidabili prima dell’acquisto del” cosiddetto papiro di Artemidoro.


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