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IN MEMORIA DI LORENZO VALLA, ERASMO, SPINOZA. LIBERTA’ E FILOLOGIA...

OXFORD. LUCIANO CANFORA AL CONVEGNO SUL "PAPIRO DI ARTEMIDORO". Una sintesi della sua relazione - a cura di Federico La Sala

Diceva il grande Paul Maas che un solo argomento davvero probante basta, cento deboli non servono.
venerdì 13 giugno 2008 di Maria Paola Falchinelli
L’intervento di Luciano Canfora oggi a Oxford testimonia il continuo interesse della comunità scientifica internazionale
Artemidoro, il falso nascosto nel proemio
L’introduzione, la nozione di «Lusitania», i brani di Marciano: le tracce di un testo «moderno»
Il testo pubblicato qui di seguito è una sintesi della relazione preparata dal professor Luciano Canfora per un convegno sulla vicenda del papiro di Artemidoro che si tiene oggi in Inghilterra. L’incontro, in programma presso il Saint (...)

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> OXFORD. LUCIANO CANFORA AL CONVEGNO SUL "PAPIRO DI ARTEMIDORO". --- Il papiro è una patacca. Spataro e Canfora replicano a Settis.

venerdì 21 dicembre 2018

Artemidoro

IL DIBATTITO. Spataro e Canfora replicano

L’accusa: il papiro è una patacca

di RQuotidiano (Il Fatto, 21.12.2018)

Nel 2004, la Compagnia di San Paolo acquista per 2,7 milioni il Papiro di Artemidoro datato Primo secolo dopo Cristo. Il professor Salvatore Settis lo considera autentico e ne consiglia l’acquisto. Ma nel 2013, lo storico Luciano Canfora presenta un esposto alla Procura di Torino sostenendo che è un falso. Si occupa dell’inchiesta per truffa direttamente il procuratore Armando Spataro. Pochi giorni prima di andare in pensione, Spataro chiede l’archiviazione: i possibili reati sono ormai prescritti ma, scrive Spataro, è accertato che il papiro è falso. Risponde sul Fatto Salvatore Settis e osserva che la valutazione di Spataro si basa solo sulla denuncia di Canfora senza perizie di esperti terzi e che molti esperti internazionali hanno riconosciuto l’autenticità del papiro del Primo secolo. Settis non è stato ascoltato nell’inchiesta.

Spataro e Canfora replicano qui sotto.

      • [Armando Spataro] - Replica/1 “È impossibile ignorare le prove della sua falsità”

Caro Direttore,

ho letto il lungo articolo del prof. Salvatore Settis che, giovandosi di ampio spazio, si è diffuso in “quasi offese” nei confronti di chi scrive, di cui, evidentemente, non conosce il metodo di lavoro. Anzi, mostra di non conoscere neppure come la giustizia procede nell’accertamento dei fatti. Soprattutto, non elenca o non approfondisce, gli elementi posti a base del giudizio di falsità del Papiro Artemidoro.

Il magistrato - è vero - non può sostituirsi allo studioso o allo storico, non avendone capacità e cultura. Ma deve obbligatoriamente, in caso di notizia di reato, approfondire - come è stato fatto nel caso in questione - le conclusioni cui sono pervenuti tutti gli esperti, pur se di diverse opinioni. E deve anche arricchire il quadro delle notizie da valutare, come è stato possibile nella inchiesta torinese, con altri accertamenti e dichiarazioni fuori dalla portata degli studiosi, i quali, insomma, non bastano e non hanno l’ultima parola. Anche loro, infatti, possono essere truffati, ma spesso non se ne accorgono o non lo ammettono se legati a doppio filo alle proprie incrollabili convinzioni. Queste, però, possono fare la fine del ponte Morandi di Genova, se lo studioso dimostra disinteresse per l’iter di accertamento dei fatti: in questi casi, anzi, incorre inevitabilmente in una possibile colposa presunzione.

Non intendo ribattere alle “quasi offese” del Settis, che alla fine mi interessano poco (ne ho ricevute di peggiori in oltre 40 anni di lavoro), né riprodurre la storia delle indagini e l’iter argomentativo del mio Ufficio (cioè di tre pubblici ministeri), peraltro condiviso da un giudice. Voglio invece manifestare la mia sorpresa per come il professore non prenda in considerazione molti argomenti sottoposti al vaglio del giudice: dalla inesistenza di qualsiasi documentazione attestante la provenienza del reperto (il che depone per la sua falsità) agli ammonimenti di competenti Autorità Egiziane che hanno fatto rilevare l’impossibilità di esportare legalmente dall’Egitto, nell’anno dichiarato, un bene autentico di valore culturale (il che avrebbe violato la Convenzione Unesco del 1970 e basterebbe di per sé a configurare la truffa); dalla accertata falsità del fotomontaggio del cosiddetto Konvolut “contenitore” da cui il papiro proverrebbe (affermazione avente il fine di documentare l’origine dell’“Artemidoro” e di sostenerne l’autenticità) al fatto che il reperto è stato tenuto a lungo “in cantina” (sei anni nel Deposito di Venaria Reale), circostanza anomala per un reperto di così alto valore e non altrimenti spiegabile se non con le forti riserve sulla sua autenticità; dalla circostanza che il Museo di Antichità Torinese di via XX Settembre, che dopo averlo “preso in carico” nel 2012 a seguito del rifiuto del Museo Egizio, lo espone con l’avviso che potrebbe trattarsi di un falso, fino all’esito dei primi accertamenti disposti dal Mibact sulla composizione degli inchiostri usati per il papiro Artemidoro risultata decisamente diversa da quella degli inchiostri usati nei papiri egiziani che coprono il periodo dal I al VI secolo.

Il Settis, inoltre, cita l’esito neutro delle indagini dei carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale di Roma, tacendo del tutto su quelle condotte da altro presidio dei carabinieri di Torino.

Potrei dire molto altro, ma mi limito a un commento sull’irridente chiusura del prof. Settis, il quale dice: “Se il il dr. Spataro, con la sua dissertazione, aspira a una laurea in papirologia, la sentenza è questa: bocciato”. Vero, finirebbe certamente così. Ma io non ho mai pensato a quella laurea, anche perché, talvolta, competenze e conseguenze che ne derivano e che si vedono in giro non mi paiono esaltanti.

Armando Spataro

      • [Luciano Canfora]. Replica/2 “Il testo rivela che è solo l’opera di un burlone”

L’inconsistenza dell’intervento apologetico del professor Settis pubblicato su questo quotidiano traspare già da alcune cifre. Evoca 200 studiosi sostenitori (a suo dire) dell’autenticità dello pseudo-Artemidoro. Ma questo stuolo rassomiglia alla fantomatica armata di 30.000 combattenti pronti a tutto che Alessandro Pavolini garantiva al Duce in fuga essere pronti alla lotta in Valtellina. Basta scorrere le pagine dell’Année Philologique per smentirlo.

Resta comunque in piedi la domanda: da quando in qua i problemi scientifici si risolvono a maggioranza? L’argomento - se così può definirsi - che scorre monotono da un capo all’altro dell’intervento apologetico è la “chiamata di correo” della cosiddetta “comunità scientifica”: va da sé dislocata tutta “a nord di Chiasso”. Vengono però chiamati per nome soltanto due colleghi purtroppo defunti, i quali - a onor del vero - erano intervenuti prima che la gran parte delle argomentazioni demolitrici dello pseudo-Artemidoro venissero pubblicate.
-  A ogni modo prendiamo atto che, evidentemente, studiosi quali Richard Janko, Germaine Aujac, Peter van Minnen, Herwig Maehler, Daniel Delattre, ecc. - che dallo pseudo-Artemidoro non furono abbagliati - non fanno parte della comunità scientifica (o forse sono nati a sud di Chiasso).

La fabbricazione di un fotomontaggio - il comicissimo Konvolut, che avrebbe dovuto raffigurare lo pseudo-Artemidoro in statu nascenti anzi nella vita prenatale ed è però effigiato su carta fotografica prodotta anni dopo lo smontaggio - resta uno dei punti più alti nella lunghissima storia dei falsi. Fare un falso per salvarne un altro. Un flop, autentico.

Non credo che valga la pena sprecare ancora tempo su di un testo (la colonna 1 dello pseudo-Artemidoro) che comincia con parole che si ritrovano in opere moderne: dalla ottocentesca Geografia di Carl Ritter al manuale settecentesco di pittura sacra di Dionigi di Furnà. Libro prediletto da Costantino Simonidis autore dello pseudo-Artemidoro. Il burlone volle poi anche disseminare qua e là nello pseudo-Artemidoro frasi tratte da suoi scritti.

Insomma, suggerirei al loquace difensore di seguire il consiglio cristianissimo del suo pseudo-Artemidoro: “Soppesare l’anima prima di accingersi alla geografia”, “tenendo ben strette intorno a tutto il corpo tali e tante armi mescolate”. Che mattacchione quello pseudo-Artemidoro, o, come mi scrisse un dotto collega, “un perfetto cretino”.

Luciano Canfora


Il vero papiro e i falsi esperti

di Salvatore Settis *

E poi dicono che la magistratura ha poco ascolto in Italia. È bastato che il procuratore Spataro diramasse alle agenzie una fatwa sul Papiro di Artemidoro perché i giornali italiani, senza eccezioni, celebrassero la chiusura del caso, la verità che trionfa, il crimine sgominato. Nemmeno uno si è chiesto se un magistrato abbia in proprio la competenza per pronunciarsi sull’autenticità di un reperto archeologico, ignorando la comunità scientifica di riferimento e dichiarando “inutile disporre una consulenza”.

Da Chiasso in su, tira un’ altra aria: quando Luciano Canfora, apostolo della falsità del papiro, ha postato su papylist, la mailing list per i papirologi di tutto il mondo, un comunicato sulla “definitiva chiusura del caso” nelle stanze della Procura torinese, Andrea Jördens, presidente dell’ Associazione internazionale papirologi, gli ha chiesto: “Ma che c’ entra questo con la scienza?”.Vediamo gli antefatti. Il Papiro di Artemidoro è un rotolo papiraceo emerso nel 1971 in mano al dott. Simonian (che ha venduto molti papiri alle università di Treviri, Heidelberg, e a Milano il famoso Posidippo).

Come spesso accade ai papiri, il luogo di rinvenimento non è noto: in Germania arrivò entro un ammasso di cartapesta. È un papiro singolare, per le dimensioni (è lungo due metri e mezzo), ma soprattutto perché oltre a cinque colonne di testo greco contiene una carta geografica e due serie di disegni, di animali e di figura umana. Seppi che era sul mercato verso il 1997, dopo i necessari accertamenti sull’ autenticità e la liceità della vendita provai ad acquistarlo per il Getty Research Institute (Los Angeles), di cui ero allora direttore.

Ma il prezzo richiesto era più alto di quanto disponevo in bilancio. Il grande paleografo Guglielmo Cavallo, a conoscenza del Papiro, mi mise in contatto con Claudio Gallazzi, papirologo dell’ Università di Milano, e questi con Bärbel Kramer, papirologa a Heidelberg.

Anni dopo, convinto come ero e sono che un documento di tale importanza debba essere in una collezione pubblica, ne parlai con Giuliano Urbani, allora ministro dei Beni culturali, che ne suggerì l’ acquisto alla Compagnia di San Paolo, perfezionato nel 2004. Prima dell’ edizione critica (2008), il Papiro fu presentato in tre mostre, a Torino e poi ai Musei Egizi di Berlino e di Monaco. Un articolo di Canfora sul Corriere della Sera (15 settembre 2006) ne sostenne la falsità, e io gli risposi su Repubblica.

Da allora parte una controversia: da un lato gli studi scientifici, centinaia in tutto il mondo, dall’ altro la campagna mediatica (quasi soltanto italiana). Canfora interviene sul tema con un’ intensità (qualcosa come 10 libri, 6 fascicoli di una sua rivista e 40 articoli di giornale) con cui non saprei mai scendere in gara.

Questa campagna, fortunata nei media nostrani, non ha avuto successo nella letteratura scientifica: dei circa 200 studiosi che se ne sono occupati, se si escludono da un lato Canfora e il suo gruppo di lavoro, dall’ altro gli editori del Papiro (me compreso) e collaboratori, la stragrande maggioranza si è espressa in favore dell’ autenticità.

Per citare solo due grandissimi grecisti, Martin West ha definito “disingenuous” (in mala fede) l’ argomentare di Canfora, e Wofgang Luppe ha scritto sull’ autorevole rivista Gnomon che la genuinità del Papiro è fuori discussione. Molti aspetti del Papiro sono oggetto di dibattito scientifico: Giambattista D’ Alessio ha dimostrato che i segmenti del rotolo vanno rimontati in un ordine diverso da quello del restauro eseguito a Milano; alcuni studiosi attribuiscono tutto il testo del Papiro ad Artemidoro di Efeso, altri ritengono che sia sua solo una parte. Temi specialistici, che non mettono in dubbio l’ autenticità del Papiro e la sua datazione al I secolo d.C., confermata da analisi paleografiche, fisiche e chimiche.

Ma che cosa ha da dire il procuratore Spataro? Il suo documento, che accusa di truffa Simonian fondandosi su un esposto di Canfora (2013), non è una “sentenza”, come qualche giornale ha scritto, ma una richiesta di archiviazione (accolta dal Gip): invitiamo a leggerlo online sul fattoquotidiano.it. La struttura argomentativa è tutto un ragionare sulle colpe dell’ accusato, per poi dire all’ ultima pagina che il reato (se c’ era) è caduto in prescrizione. Su 34 pagine, metà sono dedicate a divagazioni o a testimonianze su fatti che nulla hanno a che vedere con l’ autenticità del Papiro.

Fra i testimoni ascoltati, l’ unico papirologo è Gallazzi, che ne riafferma l’ autenticità. Ma in sede di conclusioni si assumono come inoppugnabili le asserzioni di Canfora (l’ unico di cui si citino le opere), in quanto “sostiene motivatamente” la falsità. Spataro confessa di non aver esaminato le 700 pagine dell’ edizione critica, bastandogli “alcune pagine, reperibili sul web, acquisite agli atti del procedimento”; né ha cognizione dell’ abbondante bibliografia e degli argomenti degli studiosi che si sono pronunciati a favore dell’ autenticità. Ricorda che i carabinieri del Nucleo Tutela del patrimonio culturale di Roma raccomandarono di “nominare un consulente scientifico ‘terzo’”, ma ci rivela che lo ritenne inutile.

Spataro proclama che la foto dell’ ammasso papiraceo “è risultata un clamoroso falso”, e che “tale conclusione non è più contestata”, ma cita solo l’ esperto di Canfora (il vicequestore Silio Bozzi) e ignora le confutazioni del grande filologo Jürgen Hammerstaedt e degli esperti di fotografia Paolo Morello e Hans Baumann. Sposa la tesi canforiana che il Papiro sarebbe l’ opera di un falsario del sec. XIX , tal Simonidis, quando poi lo svedese Tommy Wasserman, che ha studiato i papiri notoriamente falsificati dal Simonidis, lo esclude espressamente.

Valorizza la testimonianza di Eleni Vassilika, già direttrice del Pelizaeus-Museum di Hildesheim, perché “fece emergere dei dubbi sull’ autenticità di vari reperti lì allocati, che erano stati acquistati dal Simonian”, ma tace che il tribunale tedesco si pronunciò a favore di Simonian, e la Vassilika fu allontanata dalla direzione del museo (Die Welt, 25 marzo 2004).

Spataro eredita poi da Canfora un approccio schizofrenico: sostiene che il Papiro è un falso, ma anche che l’ Egitto dovrebbe rivendicarlo come autentico. Immagina che le illazioni di Canfora sugli inchiostri usati nel papiro siano confermate da “accertamenti tecnici recentemente disposti dal MiBAC”, per poi riconoscere una pagina dopo che “tali analisi sono ancora in corso”. E ignora i risultati delle analisi pubblicate da Pier Andrea Mandò e altri su riviste scientifiche internazionali, che vanno in direzione opposta a quanto asserito da Canfora.

È sulla base di questo zoppicante argomentare che Spataro si è convinto che ogni perizia è inutile, poiché “la certezza del fatto è abbondantemente provata, quanto meno sulla base di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti”. Ma tali indizi erano davvero abbastanza per non consultare esperti, per ignorare la letteratura scientifica, per non ascoltare nemmeno Simonian, accusato di truffa? Ed era proprio inevitabile far scattare i termini della prescrizione, impedendo così al Simonian di poter chiedere una perizia di parte? Emettendo di fatto, al riparo della prescrizione, un giudizio di colpevolezza senza ascoltare pareri terzi?

Insomma, il documento Spataro non aggiunge nulla a quel che si sapeva sul Papiro, e adotta l’ opinione di un solo studioso ignorando quasi tutta la bibliografia scientifica. Eppure è su questa base che molti hanno scritto sui giornali con vari gradi di stoltezza, fingendo di scambiare un pronunciamento di tal fatta per un meditato giudizio scientifico. Quanto al dottor Spataro, se con la sua dissertazione aspira a una laurea in papirologia, la sentenza è questa: bocciato.

* Il Fatto quotidiano 15 dicembre 2018


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