Per il Colle si è consumato uno strappo
di Vincenzo Vasile *
Che ha detto Berlusconi a Napolitano nel chiuso di quella sala del Quirinale? «È venuto per chiarire le sue posizioni», (insomma: la lettera a Schifani con cui ha dichiarato guerra ai magistrati e motivato i suoi emendamenti surgela-processi). E Napolitano che cosa ha risposto? «Ha riproposto le sue note posizioni, recenti e passate: l’aver presentato da parte del governo emendamenti ai decreti legge in corso di discussione parlamentare, significa far venire meno i poteri di controllo costituzionale da parte del Quirinale e insieme rischia di aprire un conflitto con l’opposizione». Due posizioni antitetiche. Che non si sa quale raffinata diplomazia istituzionale potrà prevedibilmente sciogliere e smussare.
La giornata del «vis-a-vis» tra i due presidenti ha avuto un andamento frenetico e contraddittorio. Un rimbombante tam tam da palazzo Chigi avvertiva sin dal primo pomeriggio: Berlusconi sta salendo al Colle, e ora «si spiegherà» con Napolitano (si intende: non solo sugli emendamenti, ma sulla sempre più evidente intenzione dello stesso premier di improntare in chiave muscolare i suoi rapporti non solo con l’opposizione e i magistrati, ma con la presidenza della Repubblica). Dagli uffici del Quirinale, pressati dai cronisti, si confermava in un primo tempo semmai una prossima visita, a orario imprecisato, del ministro Giulio Tremonti, sui temi dell’economia. Passavano le ore, e in effetti «il presidente del Consiglio, con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, on. Giulio Tremonti, e il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, dott. Gianni Letta», informava un freddo comunicato.
Solo la visita di Tremonti, vale a dire, era calendarizzata, e Berlusconi si è presentato un po’ a sorpresa nell’ufficio di Napolitano, con un brevissimo preavviso, e per allentare la tensione le fonti del Quirinale preferiscono cogliere anziché le modalità irritali dell’incontro, l’atto di riguardo di Berlusconi nei confronti del presidente. Staranno lì fino al tramonto - pressappoco due ore, dalle 17 fino a quasi le 19 - e in tutto quel tempo - anche se viene riferito che gran parte del tempo si è discusso di economia e di finanza - ci sarà stato evidentemente modo di diffondersi sui temi caldi dello scontro politico e sui risvolti istituzionali del blitz di Berlusconi.
Ma il comunicato della presidenza gela qualsiasi curiosità e illazione, con un’improbabile delimitazione dell’ordine del giorno della riunione all’illustrazione da parte degli esponenti del governo delle «linee dell’imminente manovra economica e finanziaria», che saranno importantissime, ma che allo stato dei fatti non sembrano costituire il cuore del problema. Non una parola di più dell’ufficialità, dunque. Napolitano non vuole interferire sulla discussione parlamentare.
Il motto «quando il Parlamento discute, il presidente tace», lo aveva coniato a metà del suo settennato Carlo Azeglio Ciampi. Ma presto era stato costretto dall’aggressività politica e mediatica dello stesso Berlusconi ad aprire le maglie delle sue esternazioni per non rimanere sommerso dalle indiscrezioni di parte governativa, tese ad alimentare lo scontro con il Colle.
Il copione si ripropone ora con Napolitano, che chiude a riccio la comunicazione. E dal Colle si lascia intendere che la presentazione degli emendamenti congela-processi ha costituito un fatto destinato a pesare. Il governo ha fatto venire meno, aggirandola, e su materie così delicate e senza le rituali e informali preconsultazioni la prerogativa presidenziale di valutazione di legittimità dei provvedimenti del governo. Che in questo caso, infatti, è rimasta ristretta nei confini del testo del decreto originario, che come si sa è stato firmato da Napolitano. In linea teorica, entro sessanta giorni in sede di eventuale conversione del decreto legge, la palla tornerebbe, però, al Quirinale. Che dovrebbe, anche, valutare gli effetti di una eventuale sua bocciatura (integrale o parziale).
Il testo e la prassi costituzionale consentono, infatti, al capo dello Stato di rinviare alle Camere per una nuova deliberazione quelle norme che palesemente violino la carta fondamentale; ma pure impongono di valutare effetti e opportunità di un simile gesto. Si tratterebbe di un atto estremo e foriero di una situazione di braccio di ferro istituzionale, che proprio durante la presidenza del predecessore di Napolitano vide il centrodestra impegnarsi in un furbesco ping pong con il Colle, ripresentando le leggi contestate dal presidente - non solo sull’informazione televisiva ma anche, per l’appunto, sulla giustizia - con l’espediente del barocco abbellimento di un restyling formale e illusorio. E se c’è una cosa certa è che Napolitano non si rassegnerà a certificare un progressivo irrimediabile e definitivo strappo della tela del dialogo tra maggioranza e opposizione, e tanto meno tra i poteri dello Stato che controcorrente e cocciutamente non si stanca di auspicare. Da palazzo Chigi sinora si avvertono solo timidissimi segnali di resipiscenza. E i due presidenti si sono freddamente «chiariti», ieri nel senso che la pensano - in senso formale e sostanziale - in maniera radicalmente opposta. Da ora in poi, dunque, stando così le cose dalle parti di Palazzo Chigi niente più preconsultazioni con il Colle sulle procedure. Napolitano si riserva di valutare le leggi dopo l’approvazione parlamentare.
* l’Unità, Pubblicato il: 18.06.08, Modificato il: 18.06.08 alle ore 12.58