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PER LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICO-TEOLOGICA. IL DIO DELLA TEOLOGIA: "DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 8) E IL DIO DELL’ECONOMIA: "DEUS CARITAS EST" (Benedetto XVI, 2006). Una "confusione" epocale della Chiesa "cattolica", "universale"!!!

ORIGINI DEL CAPITALISMO. CONTRO L’USURA E IL CARO-PREZZO ("CARITAS"), LA BUSSOLA DELL’ AMORE ("CHARITAS") EVANGELICO PER IL "GIUSTO PROFITTO". Uno studio di Oreste Bazzichi sull’etica economica della Scuola francescana - a cura di Federico La Sala

Cadendo negli studi recenti l’associazione fra capitalismo e protestantesimo fatta da Max Weber, ora un saggio trova le radici nel francescanesimo
sabato 21 giugno 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] È un fatto che l’O­livi condanna il prezzo di monopo­lio e le esazioni dei prezzi effettua­te approfittando di eventuali stati di necessità e lega la nozione di ’prezzo giusto’
all’utilità oggettiva: virtuositas,
alla scarsità del bene: raritas
e alla sua desiderabilità, os­sia all’utilità soggettiva: complaci­bilitas,
oltre che ad altri elementi riconducibili al costo di produzio­ne [...]

Il Capitale del Poverello
Cadendo negli (...)

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> ORIGINI DEL CAPITALISMO. --- Weber, l’infanzia liberale del leader carismatico (di G.E. Rusconi) - Intervista a Dirk Kaesler (di T. Mastrobuoni -“Protestantesimo e capitalismo. Galeotta fu la Roma cattolica”)

lunedì 5 maggio 2014

-  Weber, l’infanzia liberale del leader carismatico
-  Nasceva 150 anni fa il sociologo tedesco che definì alcuni concetti della politica ancora oggi cruciali
-  L’attualità della sua concezione religiosa

di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 04.05.2014)

      • 1919-1933 La Repubblica di Weimar fu il primo tentativo di stabilire una democrazia liberale in Germania all’indomani della sconfitta nella Prima Guerra Mondiale. La stagione di Weimar si concluse nel 1933 con l’ascesa al potere di Hitler

«La politica come professione», «il capo carismatico», «l’etica della convinzione e l’etica della responsabilità» , «L’etica protestante e lo spirito del capitalismo», «la razionalità come essenza dell’Occidente» . A chi non capita oggi, in una dotta conversazione anche tra amici, di usare queste espressioni, sicuro di trovare approvazione? E’ l’eredità intellettuale di uno dei «classici» della scienza politica, della sociologia, della storia del secolo passato - Max Weber. Di lui si ricorda in questi giorni il centocinquantesimo della nascita. Il rito degli anniversari si presta a due operazioni. O è un ripasso di citazioni. O offre l’occasione di rivisitare qualche punto critico per verificarne la forza analitica, ancora oggi.

Cominciamo dalla politica. Weber coltiva un realismo politico che non lascia spazio a quella enfasi sulla «società civile», sui concetti di «cittadinanza» e di «partecipazione democratica» che è caratteristica del nostro tempo. La democrazia per lui è sostanzialmente un meccanismo di governo di interessi che richiedono una guida, un leader (ovvero con il termine tedesco storico, che alle nostre orecchie suona sinistro, un Führer). Il leader naturalmente deve essere espresso da meccanismi elettivi: «Un Parlamento forte e partiti parlamentari responsabili devono fungere da luoghi di selezione e di prova dei capi delle moltitudini come reggitori dello Stato». Ma il capo è tale soltanto se possiede il «carisma», se possiede doti di attrazione, consenso e «seduzione di massa». Si deve proprio a Weber l’utilizzo definitivamente positivo di questo concetto in politica, anche se ha ambigue componenti di tipo «demagogico».

E’ facile vederne oggi il potenziale pericoloso (la Führerdemokratie, che alcuni studiosi italiani traducono con imbarazzo oscillando tra «democrazia autoritaria» o «democrazia guidata»). Non c’è dubbio alcuno però che Weber, convinto liberale, non coltivasse alcuna tendenza autoritaria. Pensava ad una sorta di democrazia presidenziale che, lui vivente, si sarebbe potuto instaurare in Germania dopo la prima guerra mondiale. La scomparsa prematura (1920) di Weber gli ha impedito di verificare se la sua ipotesi avesse contribuito a portare alla crisi la democrazia tedesca, per l’abuso delle competenze presidenziali della Costituzione weimariana, aprendo le porte al Führer per antonomasia.

A questa problematica è dedicato il saggio La politica come professione. Solidamente inquadrate in un’etica politica (distinta tra convinzione e responsabilità), ancorate ad una robusta idea di professione/vocazione (di lontana matrice religiosa) le tesi weberiane sono esenti da ogni sospetto di tendenze fascistoidi o autoritarie o populiste (come diciamo noi oggi). Si può obiettare che la lezione weberiana rimane sostanzialmente di ordine etico, senza che abbia trovato una chiara formula politico-istituzionale. Ma come negare che di fatto oggi le democrazie più efficienti sono quelle che hanno esecutivi guidati da personalità che contano su forti competenze istituzionali e posseggono capacità decisionali? Che godono di un consenso di massa che utilizza anche spregiudicatamente il sistema mediatico (ignoto a Weber)? Insomma in qualche modo sono capi carismatici?

Certo: contro ogni deriva o tentazione populista vale la raccomandazione che il vero leader sa contemperare la determinazione all’azione che gli deriva dalle sue convinzioni con l’etica della responsabilità verso la pluralità degli interessi che deve governare. Compreso un oculato calcolo delle conseguenze non previste delle sue decisioni. Questo ci porta ad alcune considerazioni sull’altra tesi che fonda il pensiero di Weber: la razionalità o il razionalismo come tratto caratterizzante, anzi come «essenza» dell’Occidente. Alcune sue pagine sembrano l’apoteosi del razionalismo occidentale, che trova la sua realizzazione nello Stato moderno, dotato di una costituzione razionalmente promulgata, di un diritto razionalmente costituito, di un’amministrazione di funzionari specialisti, affiancato dalla scienza della politica e dalla organizzazione capitalistica dell’economia, che è definita «la potenza più fatale» dell’Occidente.

Weber naturalmente vede i lati negativi di questa costruzione. Da un lato la burocratizzazione del sistema che lo riduce ad una paralizzante «gabbia d’acciaio» e dall’altro la subordinazione della logica del capitalismo ad una visione e ad una pratica predatoria, mentre l’economia produttiva reale lascia il posto alla mera speculazione finanziaria. E’ l’esito che abbiamo sotto i nostri occhi.

Ma a questo punto dobbiamo allargare il discorso sull’idea di razionale e di razionalità che percorre il pensiero weberiano - dalla politica, all’economia, alla religione. La razionalità infatti convive sempre con il suo opposto, con l’irrazionalità. L’irrazionale è il polo di rimando del razionale e allo stesso tempo ciò che, nel suo nucleo profondo, è ad esso irriducibile. Esprime «la vita», nel cui ambito si genera l’elemento carismatico, profetico, demoniaco e l’erotico - tutte potenze attive e positive dell’esperienza vitale.

Il testo che tratta questa problematica è la Considerazione intermedia (nella Sociologia delle religioni) dove l’esistenza umana è presentata come un insieme di sfere vitali in conflitto tra di loro, perché ciascuna segue una sua propria logica specifica. Così è per la sfera dell’etica religiosa che entra in tensione con la sfera dell’economia e della politica che è la depositaria del monopolio dell’uso legittimo della forza. Ma non meno drammatica e radicale è la tensione tra la sessualità e l’etica della fratellanza, tra la sfera erotica e quella della religione. L’erotismo in particolare appare come una forza di rottura irresistibile verso l’irrazionale, «una porta verso il nucleo più irrazionale e insieme più reale della vita». Ma è nella sfera religiosa che si consuma il contrasto più radicale. «Con la crescita del razionalismo della scienza empirica la religione viene progressivamente cacciata dal regno del razionale nell’irrazionale e diventa la potenza irrazionale e antirazionale sovrapersonale tout court».

Sono frasi forti, un po’ enigmatiche nella loro perentorietà. Ma offrono uno sguardo enormemente più penetrante dei dibattiti oggi correnti sulla secolarizzazione o viceversa sul «ritorno delle religioni», sulla potenza dei nuovi carismi comunicativi delle personalità religiose. Il Weber studioso del fenomeno religioso si conferma intellettualmente stimolante come e più dello studioso del razionalismo capitalistico o della politica. Meriterebbe maggiore attenzione anche nel discorso pubblico e pubblicistico.


      • Dirk Kaesler II sociologo dell’Università di Marburg ha appena pubblicato una monumentale biografia di Weber

“Protestantesimo e capitalismo. Galeotta fu la Roma cattolica”

Il biografo tedesco: colse il nesso nel suo soggiorno italiano

intervista di Tonia Mastrobuoni (La Stampa, 04.05.2014)

È uscita ora in Germania la sua monumentale biografia su Max Weber, edita da C.H. Beck: il sociologo dell’Università di Marburg, Dirk Kaesler, è considerato da decenni tra i massimi conoscitori del padre della sociologia. E una sua vecchia monografia sul genio prussiano è stata pubblicata anni fa anche in Italia, dal Mulino. Ma Kaesler, pur riconoscendone la modernità in alcune, profetiche tesi - la burocratizzazione di tutto, il predominio del capitalismo d’impresa e della razionalità occidentale - invita sempre a considerare con grande cautela la presunta «modernità» di Max Weber. Infine, sull’intuizione più nota, quella sul presunto nesso tra etica protestante e capitalismo, lo studioso ha scoperto che l’Italia c’entra moltissimo. Anzi, paradossalmente, con la più famosa teoria economica sul protestantesimo, c’entra moltissimo la capitale mondiale del cattolicesimo: Roma.

Quanto è attuale il pensiero di Max Weber, ad esempio la sua analisi sul rapporto tra razionalità e Occidente?

«Io sono fra coloro che tentano di proteggere Max Weber da un’eccessiva modernizzazione. Non credo che si possa capire il suo pensiero slegandolo dalla sua epoca. E’ inutile chiedersi, per fare un esempio, “cosa avrebbe detto Max Weber sulla crisi in Ucraina”. Tuttavia esistono tre grandi temi che lo rendono eterno. Primo, il concetto del “betriebskapitalismus”, del capitalismo d’impresa razionale che è diventato poi imperante. Il secondo è quello della progressiva burocratizzazione di tutto. Ma forse è il terzo ad impegnarci di più, al giorno d’oggi: quello della razionalità occidentale e della posizione dell’Occidente rispetto al resto del mondo. Weber era convinto che prima o poi avrebbe prevalso su tutto. Oggi, invece, ci accorgiamo più che mai che ci sono forti resistenze a questo modello - basti pensare all’Islam. Però bisogna fare attenzione nell’adottare il pensiero di Weber senza filtri: va sempre calato nella sua epoca e interpretato con spirito critico».

Uno dei saggi più famosi ma anche più criticati è quello sul rapporto tra etica protestante e capitalismo. Quanto sopravvive oggi di quella tesi?

«Nella mia biografia cerco di raccontare quanto sono state importanti Roma e l’Italia per Max Weber. E sono il primo a farlo. Weber cominciò a scrivere quell’opera proprio a Roma: non è un dettaglio. Vivendo quotidianamente il cattolicesimo, Weber ha cominciato a riflettere su se stesso e sulla sua confessione, sul protestantesimo. E’ un nesso importante: l’Italia vissuta da Weber, la leggerezza degli italiani, la loro voglia di vivere, lo indussero a riflettere sulla sua identità di prussiano, sul protestantesimo, sulla sua “pesantezza”».

Molti, però, hanno messo in discussione la causalità tra etica protestante e capitalismo.

«Certo, ma al di là della critica sui singoli punti, quello dell’etica protestante e il capitalismo è divenuto un grande filone narrativo della sociologia moderna. E’ diventato talmente un luogo comune che in molti Paesi funziona come una profezia che si autoavvera. Quindi non conta più che Max Weber abbia avuto ragione a scrivere che il calvinismo abbia predestinato determinati popoli al capitalismo (o viceversa, come sostiene qualcuno). E’ una tesi che funziona perché la gente ci crede, negli Stati Uniti la “Weber thesis” funziona perché è nota a tutti, anche tra milioni di persone che non hanno mai letto una riga di Weber».


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